190) La Scomparsa di Josef Mengele ( Olivier Guez)

“La scomparsa di Josef Mengele” è un romanzo scritto da Olivier Guez e pubblicato nel Marzo 2018 da Neri Pozza Editore.
Sinossi:
Buenos Aires, giugno 1949. Nella gigantesca sala della dogana argentina una discreta fetta di Europa in esilio attende di passare il controllo. Sono emigranti, trasandati o vestiti con eleganza, appena sbarcati dai bastimenti dopo una traversata di tre settimane. Tra loro, un uomo che tiene ben strette due valigie e squadra con cura la lunga fila di espatriati. Al doganiere l’uomo mostra un documento di viaggio della Croce Rossa internazionale: Helmut Gregor, altezza 1,74, occhi castano verdi, nato il 6 agosto 1911 a Termeno, o Tramin in tedesco, comune altoatesino, cittadino di nazionalità italiana, cattolico, professione meccanico. Il doganiere ispeziona i bagagli, poi si acciglia di fronte al contenuto della valigia più piccola: siringhe, quaderni di appunti e di schizzi anatomici, campioni di sangue, vetrini di cellule. Strano, per un meccanico. Chiama il medico di porto, che accorre prontamente. Il meccanico dice di essere un biologo dilettante e il medico, che ha voglia di andare a pranzo, fa cenno al doganiere che può lasciarlo passare. Così l’uomo raggiunge il suo santuario argentino, dove lo attendono anni lontanissimi dalla sua vita passata. L’uomo era, infatti, un ingegnere della razza. In una città proibita dall’acre odore di carni e capelli bruciati, circolava un tempo agghindato come un dandy: stivali, guanti, uniforme impeccabili, berretto leggermente inclinato. Con un cenno del frustino sanciva la sorte delle sue vittime, a sinistra la morte immediata, le camere a gas, a destra la morte lenta, i lavori forzati o il suo laboratorio, dove disponeva di uno zoo di bambini cavie per indagare i segreti della gemellarità, produrre superuomini e difendere la razza ariana. Scrupoloso alchimista dell’uomo nuovo, si aspettava dopo la guerra di avere una formidabile carriera e la riconoscenza del Reich vittorioso, poiché era… l’angelo della morte, il dottor Josef Mengele.
Recensione:
8 Maggio 1945: La Germania nazista firma la resa incondizionata agli Alleati. La Seconda Guerra Mondiale è ufficialmente conclusa in Europa.
Resterà aperto il fronte Orientale e solamente l’utilizzo di 2 bombe atomiche saranno risolutive per costringere alla resa anche il Giappone.
I criminali nazisti saranno processati e condannati nel celebre processo di Norimberga.
Ma realmente le forze Alleate fecero tutto quello che era in loro potere per consegnare tutti gli alti ufficiali nazisti alla giustizia?
L’amara quanto angosciante risposta negativa arriva per il lettore terminando la sconvolgente lettura del romanzo di Olivier Guez.
Il Terzo Reich crollò, la Germania fu divisa in due, Adolf Hitler preferì il suicidio piuttosto che finire nelle mani dei sovietici, ma tanti, troppi gerarchi nazisti, responsabili di terribili e mostruosi crimini contro l’umanità, riuscirono a scappare in Sud America tra l’aprile e Maggio 1945 facendo sparire le proprie tracce.
“La scomparsa di Josef Mengele” è probabilmente il più chiaro, duro e dirompente atto d’accusa mai scritto e reso pubblico sulla lunga, colpevole ed articolata complicità dell’Argentina peronista nei riguardi dei criminali tedeschi.
Il governo peronista accolse, a braccia aperte, migliaia di nazisti in fuga, garantendogli immunità, protezione e false identità, convinto che con l’inizio della Guerra Fredda tra Usa e Urss, i “talenti” del Terzo Reich sarebbero risultati nuovamente utili ed indispensabili.
Una pagina di storia, se possibile, che rende ancora più grave ed evidente anche le responsabilità politiche degli Alleati, che un minuto dopo la vittoria, preferirono voltare la testa dall’altra pagina piuttosto che stabilire le verità sugli orrori compiuti dal nazismo nei campi di concentramento.
Josef Mengele alias l’Angelo della Morte o se preferite la vera nemesi di Ippocrate, fu nell’inferno di Auschwitz il responsabile d’ atroci e sconcertanti esperimenti su donne e bambine vaneggiando importanti scoperte scientifiche indispensabili al raggiungimento della pura razza ariana.
Josef Mengele scomparve nel nulla, diventando una sorta di fantasma o macabro Godot, apparentemente ad un passo dall’essere catturato per poi fuggire inspiegabilmente.
Olivier Guez utilizzando con talento e sapienza l’escamotage del romanzo racconta e mostra al lettore in che modo un macellaio travestito da medico riuscì ad evitare qualsiasi responsabilità financo  vivere una vita “quasi” normale” in Sudamerica, potendo contare sulla ricchezza della sua famiglia e sul fattivo aiuto ed omertà di seguaci nazisti in loco.
“La scomparsa di Josef Mengele” è un diario di una fuga vissuto nei panni dello stesso carnefice, costantemente sull’allerta, timoroso di poter essere tradito e consegnato alle autorità. Mengele nutre rancore e rabbia per la sconfitta del Terzo Reich non mostrando mai alcun segno di pentimento o colpa per quanto fatto ad Auschwitz.
Si è autoconvinto nel suo delirio narcisista d’aver agito in nome della scienza e della Germania. Semmai Mengele si rammarica d’aver dovuto interrompere bruscamente i propri importanti studi e come la nuova Germania abbia tradito gli ideali nazisti in nome dello sviluppo economico e come sia possibile che alti gerarchi del regime siano diventati ora pilastri del nuovo corso e lui invece sia ridotto ad un misero fuggiasco
“La scomparsa di Josef Mengele” è un romanzo intenso, duro, spietato che provoca nel lettore un misto d’intense e contrastanti emozioni e soprattutto sollecitandogli una severa e profonda riflessione sulla gestione post bellica da parte degli Alleati.
Olivier Guez con questo suo lavoro, davvero necessario, urgente ed utile, offre l’opportunità soprattutto alle nuove generazioni, colpevolmente disinformate e manipolabili, di leggere e sentire quanto il male impersonificato dai nazisti fosse spaventoso oltre che banale.

189) La Casa dei Libri

Il biglietto da acquistare per “La casa dei libri” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“La casa dei libri” è un film di Isabel Coixet. Con Emily Mortimer, Bill Nighy, Hunter Tremayne, Honor Kneafsey, Michael Fitzgerald. Drammatico, 113′. Spagna, Gran Bretagna, Germania 2017

Basato sul romanzo di Penelope Fizgerald “La libreria” (1978)

Sinossi:

Fine Anni ’50. Hardborough, Inghilterra. Florence Green ha perso il marito nel secondo conflitto mondiale e ha deciso di aprire una libreria in quest’area culturalmente depressa. La sua impresa non sarà semplice perché nella cittadina c’è chi vuole utilizzare l’edificio per altre (presunte) iniziative culturali e farà di tutto per fermarla. Non sarà però del tutto sola perché troverà la collaborazione di una bambina e di un anziano appassionato lettore.

Recensione:

Nell’immaginario collettivo italiano alla parola Resistenza si associano i tragici momenti seguiti all’armistizio dell’8 settembre 1943, l’eroico sacrificio dei partigiani impegnati nella liberazione del Paese. Oggi, invece, va più di moda tirare in ballo la resilienza, la capacità di non soccombere ai colpi inferti all’animo più che al corpo.

Certo, quando si è giovani capita di sognare di vestire i panni del Che Guevara di turno, di fare la rivoluzione e la storia. In realtà le vere rivoluzioni sono quelle che si portano avanti ogni giorno, senza clamore, cercando ad esempio di resistere ai soprusi della burocrazia.

“La casa dei libri” di Isabel Coixet, vincitore di tre Premi Goya (i più importanti riconoscimenti cinematografici spagnoli), non è altro che la storia di una resistenza/resilienza letteraria, combattuta dalla vedova Florence Green (Mortimer) che decide di aprire una libreria nell’Inghilterra degli anni ’50.

Il suo lodevole tentativo di portare cultura nella cittadina di Hardborough viene osteggiato dall’élite cittadina, in particolar modo dalla signora Gamart (Clarkson), annoiata e miope di fronte ai cambiamenti.

La struttura narrativa, lo stile registico e soprattutto i tempi del racconto – lenti, in alcuni passaggi quasi esasperanti – sarebbero stati più adatti a uno spettacolo cinematografico che a un film. Lo spettatore avverte fin da subito un’eccessiva staticità nello sviluppo della trama, che penalizza il coinvolgimento emotivo. continua su

http://paroleacolori.com/la-casa-dei-libri-una-storia-agrodolce-sul-potere-della-cultura/

188) Mio Figlio

Il biglietto d’acquistare per “Mio Figlio” è: Di pomeriggio (Con Riserva)
Sinossi:
Julien e Marie hanno divorziato da qualche tempo, e in questo pesa il fatto che lui fosse sempre lontano per lavoro e lei non potesse contarci, né come marito né come padre di Mathys, che ora ha sette anni. La notizia della sparizione del bambino, durante la notte, dalla tenda dove dormiva insieme ai compagni di un campo invernale, richiama però immediatamente Julien sulle Alpi. E per ritrovare suo figlio, l’uomo si mostra disposto a tutto.
Recensione:
“Mio Figlio” è un film del 2017 diretto da Christian Carion, scritto da Christian Carion e Philippe Boëffard, con : Guillaume Canet, Mélanie Laurent, Olivier de Benoist, Antoine Hamel, Mohamed Brikat, Lino Papa.
Sono due i maggiori incubi per un genitore: dover assistere al funerale del proprio figlio o non aver avuto la possibilità di proteggerlo da un grave pericolo.
Due avvenimenti, che anche solamente immaginati, producono brividi di vero terrore e dolore nell’animo e cuore di qualsiasi genitore.
Se il genitore in questione è il padre che, a causa un sofferto divorzio si trova fisicamente lontano nel ricevere telefonicamente tale infausta notizia dall’ex moglie, ecco che l’incubo, se possibile. diventa ancora più spaventoso e devastante.
Parte da questa scioccante ed angosciante sequenza al telefono, la madre di tutti gli incubi per Julien (Canet) di professione geologo, richiamato d’urgenza in Francia dall’ex moglie Marie (Laurent) poiché Mathys, il loro unico figlio di 7 anni, è misteriosamente scomparso mentre si trovava in campeggio per la 1 volta
Lo spettatore sa poco e nulla dei motivi che hanno portato alla rottura del matrimonio di Julien e Maurice e perché il primo abbia deciso d’avere pochi e saltuari rapporti con suo figlio.
Ciò nonostante il pubblico si ritrova immerso in una storia misteriosa ed ambigua in pieno stile Twin Peaks, ambientata in una bella vallata di montagna innevata nel pieno dell’inverno.
Mathys sembra essere scomparso nel nulla e nonostante l’impegno della polizia non sembrano esserci tracce o speranze concrete per poterlo salvare.
Non ci sono né sospetti o indagati all’interno della comunità eppure Julien percepisce che qualcosa di sinistro all’interno di questa serena e pacifica comunità.
L’uomo inizia così una frenetica e concitata indagine personale che in alcuni momenti risulti sfociare in una disperata e folle individuazione di un colpevole a tutti i costi.
“Mio Figlio” è drammaturgicamente ideato e costruito intorno al personaggio di Julien ed alle sue improvvise reazioni emotive ed evoluzioni psicofisiche sempre a limite di un crollo.
Una scelta autoriale che si rivela vincente riuscendo fin da subito a creare un solido e sincero ponte emozionale con lo spettatore disposto a seguire e sostenere il protagonista nella sua rabbiosa, soffocante, angosciante e confusa indagine per capire che cosa sia accaduto al figlio. continua su

http://www.nuoveedizionibohemien.it/index.php/appuntamento-al-cinema-69/

187) Bogside Story

“Bogside story” è un film di Rocco Forte. Documentario, 75′. Italia 2017

Sinossi:

L’autorevole giornalista Fulvio Grimaldi, unico foto-reporter italiano a documentare la pacifica Marcia per i diritti civili del 30 gennaio 1972, a Derry, culminata con il massacro tristemente noto con il nome di Bloody Sunday, torna in Irlanda del Nord, 45 anni dopo, per testimoniare alla terza inchiesta sull’evento. A Derry scopre che sulle mura esterne delle case del Bogside, il più importante quartiere cattolico della città, sono dipinti dei murales che raccontano gli eventi più significativi della recente storia nordirlandese. Affascinato dalla potenza comunicativa dei murales, Fulvio entra in contatto con The Bogside Artists, gli autori dei dipinti, e con le persone che furono coinvolte negli eventi.

Recensione:

Sarà capitato a tutti, anche ai più ignoranti in fatto di musica, di sentire almeno una volta la canzone degli U2 “Sunday Bloody Sunday”, data 1983. Ma quanti sanno che il gruppo si è ispirato, per scriverla, agli eventi verificatisi il 30 gennaio 1972 nella cittadina di Derry, in Irlanda del nord?

Quanti sanno che la “domenica di sangue” del titolo provocò la morte di 14 persone innocenti e disarmate, tra cui bambini, donne e anziani, uccise dai fucili del reparto paracadutisti dell’esercito britannico? Quanti non inglesi ricordano la guerra civile tra protestanti e minoranza cattolica, iniziata alla fine dei Sessanta e conclusasi solamente il 10 aprile 1998 con lo storico accordo del “Venerdì Santo”?

Non voglio annoiarvi con un’interrogazione di storia contemporanea non programmata, ma queste domande e molte altre vi assilleranno dopo aver visto il documentario di Rocco Forte “Bogside story” (Bogside dal quartiere a maggioranza cattolica della cittadina in cui si svolse la manifestazione e il massacro), che porta sul grande schermo una pagina buia dell’Europa moderna, rinfrescando la memoria al pubblico meno giovane, vittima spesso di una pericolosa amnesia collettiva sul recente passato.

Grazie al coraggio, alla professionalità e al tempismo del fotoreporter italiano Fulvio Grimaldi, testimone oculare di quella strage, furono trasmesse notizie e immagini degli eventi, nonostante il tentativo di censura del governo britannico. continua su

http://paroleacolori.com/bogside-story-la-domenica-di-sangue-rivive-in-un-documentario/

186) Ora Dimmi di Te – Lettera a Matilda (Andrea Camilleri)

“Ora Dimmi di Te – Lettera a Matilda” è un romanzo di Andrea Camilleri, pubblicato da Bompiani il 30 Agosto 2018.

Sinossi:
Che cosa rimarrà di noi nella memoria di chi ci ha voluto bene? Come verrà raccontata la nostra vita ai nipoti che verranno?

«Matilda mia, ho imparato pochissime cose e te le dico»

Andrea Camilleri sta scrivendo quando la pronipote Matilda si intrufola a giocare sotto il tavolo, e lui pensa che non vuole che siano altri – quando lei sarà grande – a raccontarle di lui. Così nasce questa lettera, che ripercorre una vita intera con l’intelligenza del cuore: illuminando i momenti in base al peso che hanno avuto nel rendere Camilleri l’uomo che tutti amiamo. Uno spettacolo teatrale alla presenza del gerarca Pavolini e una strage di mafia a Porto Empedocle, una straordinaria lezione di regia all’Accademia Silvio D’Amico e le parole di un vecchio attore dopo le prove, l’incontro con la moglie Rosetta e quello con Elvira Sellerio… Ogni episodio è un modo per parlare di ciò che rende la vita degna di essere vissuta: le radici, l’amore, gli amici, la politica, la letteratura. Con il coraggio di raccontare gli errori e le disillusioni, con la commozione di un bisnonno che può solo immaginare il futuro e consegnare alla nipote la lanterna preziosa del dubbio.

Recensione:
Ho riflettuto lungamente se e che cosa scrivere sull’ultima fatica letteraria del Maestro. Chiedendomi quanto fosse lecito oltre che interessante “recensire” una lettera d’amore, di ricordi scritta da un bis nonno alla sua pro nipote.
Una lettera che profuma di malinconia, orgoglio e soddisfazione personale e professionale, tracciando cosi una sorta di testamento esistenziale del bis nonno più famoso ed amato d’Italia: Andrea Camilleri
Le mie tediose riflessioni sono state spazzate via dalla consapevolezza che il Maestro pur indirizzando ufficialmente questa lettera alla sua cara Matilda, di fatto si rivolga a tutti i nipoti e pro nipoti del nostro Paese.
Con la speranza che quest’ultimi, non soltanto abbiano “l’urgenza” di leggere gli scritti del Maestri per apprezzarne il talento e creatività, ma ne scoprano anche la passione e coerenza intellettuale e civile.
Non è la prima volta che il Maestro nei propri lavori scriva di sè e delle scelte compiute con coraggio e spesso in controtendenza rispetto ai tempi in cui viveva.
Eppure “Ora Dimmi di te” rappresenta qualcosa di diverso non soltanto a livello autobiografico e strutturale, ma soprattutto evidenzia una profonda e nuova necessità umana, affettiva e civile da parte del Maestro.
Ovvero trasmettere alle nuove generazioni quanto sia fondamentale poter esprimere liberamente le proprie idee e soprattutto difenderle e nel caso modificarle senza essere sottoposti a qualsiasi tipo di minaccia o violenza fisica o psicologica.
Essere capaci d’ascoltare e rispettare le altrui idee senza trincerarsi sciocchi pregiudizi ideologici, politici oltre che culturali.
Il Maestro invita tutte le Matilda a seguire i propri sogni ed ispirazioni con tenacia e testardaggine, ma studiando e lavorando sodo senza farsi tentare da scorciatoie fasulle quanto pericolose.
Camilleri si augura che la sua Matilda possa trovare un vero, romantico quanto solido amore incarnato dal compagno/a con cui vivere e costruire una vita insieme.
Il nonno Camilleri ha vissuto un’esistenza intensa, ricca e coerente e non può non augurarsi che quella della nipote sia altrettanto soddisfacente e stimolante.
Il Maestro scrivendo questa lettera racconta con passione e forza quali sono stati i suoi Maestri di vita, gli amici e le persone che gli hanno permesso d’essere oggi un bis nonno sereno quanto ancora battagliero.
L’ avanza età anagrafica impedirà al Maestro di vedere la pro nipote crescere, maturare, sbagliare ed infine diventare donna. Ma finché sarà possibile, le starà vicino con grande affetto e curiosità e pronto ad ascoltare le sue storie
Perché è tempo di Matilda e in generale delle nuove generazioni raccontarsi e farsi capire dal mondo.

185) A Voce Alta – La forza della Parola

Il biglietto da acquistare per “A voce alta – La forza della parola” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“A Voce Alta – La Forza della Parola”  è un film di Stéphane de Freitas, Ladj Ly. Con Souleila Mahiddin, Eddy Moniot, Bertrand Périer. Documentario, 109′. Francia 2017

Sinossi

Ogni anno all’Università di Saint-Denis viene eletto il miglior oratore. Partecipano al concorso gli studenti di una classe multietnica, un professore li istruisce ai segreti del linguaggio e all’arte dell’espressione. In gioco c’è il piacere di prendere la parola, per esistere sulla scena del mondo ma anche per cambiarla con la potenza delle idee.

Recensione:

Appello a tutti gli italiani egocentrici, vanesi, presuntuosi: non potete mancare l’appuntamento al cinema con “A voce alta – La forza della parola”. Ma il film di Stéphane de Freitas e Ladj Ly è anche perfetto per chi non ne può più dei talent che spuntano come funghi in tv e premiano, paradossalmente, il non talento dei concorrenti.

Siamo dietro le quinte di una gara che si tiene dal 2012 a Parigi, all’Università di Saint-Denis. Né canto né ballo, però, qui la materia d’esame è l’eloquentia!

Si, avete letto bene. In un’epoca in cui l’apparenza prevale sulla sostanza e l’immagine sulla parola, ci sono ancora giovani che studiano e si allenano duramente per seguire le orme di Cicerone e Demostene. continua su

http://paroleacolori.com/a-voce-alta-la-forza-della-parola-film-folgorante-futuro-e-valore-educazione/

184) Piazza Vittorio

Il biglietto da acquistare per “Piazza Vittorio” è:
Nemmeno regalato. Omaggio (con riserva). Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“Piazza Vittorio ” è un film di Abel Ferrara. Con Willem Dafoe, Matteo Garrone. Documentario, 82′. Italia 2017

Sinossi:

Sede di un mercato storico della Capitale, Piazza Vittorio è oggi l’emblema di un’integrazione interetnica problematica ma possibile, in una posizione centralissima, tra palazzi storici affascinanti e l’inurbamento di una popolazione così multirazziale da ricordare a tratti a quella newyorkese. Con troupe ai minimi termini, Abel Ferrara intervista per strada residenti di lungo e breve corso, commercianti, homeless e migranti che transitano o bivaccano nei dintorni. In arrivo da Nigeria, Afghanistan, Burkina Faso, Guinea, Bosnia, Perù, Bangladesh, Moldavia, dalla badante al griot (cantastorie africano), dal macellaio egiziano alla ristoratrice cinese al lavoratore a giornata sudamericano.

Recensione

Caro Abel, mi permetto di scriverle queste poche righe in italiano, fiducioso che le possa comprendere, almeno in parte, dato che da qualche anno ha scelto di trasferirsi con la sua famiglia in Italia, diventando a tutti gli effetti un cittadino della città eterna.

Sebbene lei sia un uomo e un regista intelligente, attento, sensibile ai cambiamenti della società, ancora non ha compreso un aspetto fondamentale del suo nuovo Paese. Anche se costituzionalmente l’Italia è una soltanto, nei fatti gli italiani sono rimasti fermi ai tempi dei Comuni!

Non è tenuto a conoscere la nostra storia, ci mancherebbe, ma in questo modo il suo “Piazza Vittorio”, per quanto interessante e a tratti divertente, presenta un grande limite, fin dalla sua genesi.

Lo spettatore medio che vive sopra la linea gotica potrebbe non avere grande interesse a vedere un film incentrato su una realtà romana tanto circoscritta. Mi spingo oltre, anche se le sembrerò provocatorio: temo che anche un residente di Roma Nord possa avere qualche difficoltà a entusiasmarsi per il suo documentario, non perché non apprezzi il suo talento, ma piuttosto per il fastidio di vedere messa in luce una situazione che gli crea disagio.

Caro Abel, lei ha voluto raccontare con i suoi occhi di straniero innamorato di Roma come una delle più belle piazze cittadine sia cambiata nel corso degli anni, diventando il simbolo dell’integrazione e della convivenza tra etnie diverse. continua su

http://paroleacolori.com/piazza-vittorio-un-documentario-su-integrazione-e-diversita/

183) Separati ma non troppo

Il biglietto d’ acquistare per “Separati ma non troppo” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto (con riserva). Sempre.

“Separati ma non troppo ” è un film di Dominique Farrugia. Con Gilles Lellouche, Louise Bourgoin, Manu Payet, Marilou Berry, Julien Boisselier. Commedia, 93′. Francia 2017

Sinossi:

Yvan e Delphine sono sposati da 15 anni e il loro rapporto è al capolinea. La donna decide di aprire la coppia ad altre relazioni, ma quando Yvan la prende alla lettera e nel giro di 24 ore ha un’avventura, lo caccia di casa e chiede il divorzio. Ma Yvan, procuratore calcistico con un solo potenziale cliente e una sfilza di grandi progetti mai portati fino in fondo, non sa dove alloggiare. Dopo un periodo passato a farsi ospitare dagli amici l’uomo propone un accordo all’ex moglie: poiché ha finanziato il 20% della casa in cui Delphine abita con i loro due figli, ha diritto a soggiornare presso di lei, nel 20% di spazio vitale che ha acquistato. Ma la convivenza forzata si rivela una pessima idea, e il rapporto fra gli ex coniugi si trasforma in un’escalation di dispetti e colpi bassi.

Recensione:

Ha ancora senso, per una coppia di oggi, sposarsi, mettere su casa insieme, fare dei figli? Nel 2018 “finché morte non ci separi” è una formula valida oppure ha perso la sua ragion d’essere? Ascoltando i racconti di amici e conoscenti e leggendo i dati su divorzi e separazioni in crescita verrebbe quasi da rispondere un convinto: no!

Il cinema, pur avendo raccontato nel corso del tempo, storie d’amore a lieto fine che hanno fatto sognare il pubblico sembra aver compreso la nuova piega presa dalla situazione. Basti pensare a successi come “Kramer contro Kramer” (1979), “La guerra dei Roses” (1989) e “Gli equilibristi” (2012), che certificano la crisi dell’istituzione matrimoniale e le conseguenze di ripicche e liti sul sentimento.

“Separati ma non troppo” di Dominique Farruggia, pur rientrando in questo “nuovo” genere, ha il merito di affrontare il tema in modo allegro, brioso e scanzonato anche nei passaggi decisamente più amari e malinconici sul piano emotivo.

La crisi matrimoniale si riflette anche sulla situazione economica di una coppia, e dire addio al partner quando in ballo c’è, ad esempio, una casa condivisa, è ancora più difficile, anche se ormai il sentimento si è spento e sembra rimasto solo il livore.

Il film della Farruggia è una commedia agrodolce, con un impianto narrativo semplice e lineare, ma anche scorrevole, intenso e brillante. La sceneggiatura – ispirata a una situazione vissuta oggi da molte coppie parigine – è equilibrata, autentica, profonda e allo stesso tempo ironica e provocatoria. Apprezzabile l’alternarsi di momenti drammatici e desolanti ad altri davvero comici ed esilaranti. continua su

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182) Gotti – Il Primo Padrino

Le persone normali trovano forse un po’ di conforto dalle loro quotidiane delusioni e disgrazie pensando a quanta verità si nasconde dietro la frase: anche i ricchi piangono.

Applicando la citazione al Festival di Cannes 2018, potremmo dire che anche alle star di Hollywood, qui, può capitare un passaggio a vuoto, una giornata no dove vieni rimbalzato, ignorato persino, quasi come fossi solo l’ultimo degli inviati nerd.

Prendete la giornata di ieri. Direttamente da una galassia lontana lontana è atterrato sulla Croisette l’intero cast di “Solo: a Star Wars story”, in uscita nei cinema italiani il 24 aprile. Non solo il pubblico pagante ma anche i giornalisti sono impazziti per Emilia Clarke, Woody Harrelson, Chewbecca e le guardie imperiali – tutti presenti sul red carpet per la proiezione in anteprima del film.

Nessuno ha voluto perdersi la parata di stelle, la première, se possibile l’esclusivo party successivo. E dire che il programma di Cannes proponeva anche interessanti alternative… A chi mi riferisco? Prima di tutto a John Travolta.

L’attore americano, ormai del tutto plastificato a eccezione dei celebri occhi azzurri ancora giovanili e vispi, non poteva scegliere giorno e momento peggiore per presentare il nuovo film, “Gotti”.

Non mi pronuncio sui motivi che hanno spinto il delegato Thierry a “volerlo fortemente”, ma sulla mission impossible degli addetti alla sala, che hanno cercato in tutti i modi di trovare pubblico per non lasciare le poltroncine tristemente vuote, sì.

Io c’ero, in quella sala, forse uno dei pochi “giornalisti” a vedere una pellicola talmente brutta, mal scritta, mal diretta e mal interpretata da spingerti a rivalutare alcuni film tv trasmessi in estate delle nostre reti nazionali.

Ma se il buon Travolta mi chiedessi un’opinione su questa sua debacle festivaliera gli direi: “Animo, John, un giorno da nerd non ha mai ucciso nessuno“. Io lo so bene.

181) Sulla mia Pelle

Il biglietto da acquistare per “Sulla mia pelle” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“Sulla Mia Pelle ” è un film di Alessio Cremonini. Con Alessandro Borghi, Jasmine Trinca, Max Tortora, Milvia Marigliano. Drammatico, 100′. Italia 2018

Sinossi:

L’ultima settimana nella vita di Stefano Cucchi è un’odissea fra caserme dei carabinieri e ospedali, un incubo in cui un giovane uomo di 31 anni entra sulle sue gambe ed esce come uno straccio sporco abbandonato su un tavolo di marmo. Alessio Cremonini ha scelto di raccontare una delle vicende più discusse dell’Italia contemporanea come una discesa agli inferi cui lo stesso Cucchi ha partecipato con quieta rassegnazione, sapendo bene che alzare la voce e raccontare la verità, all’interno di istituzioni talvolta più concentrate sulla propria autodifesa che sulla tutela dei diritti dei cittadini, sarebbe stato inutile e forse anche pericoloso.

Recensione:

Chi era Stefano Cucchi? Perché lo spettatore medio dovrebbe interessarsi alle cause della morte di un giovane detenuto, avvenuta il 22 ottobre 2009 nel reparto di medicina separata dell’Ospedale Pertini di Roma? E perché tanto clamore e attenzione mediatica hanno circondato le aule di tribunale dove si sono svolti i processi inerenti alla vicenda?

Perché, fino a prova contraria, l’Italia è uno Stato democratico oltre che di diritto e in quanto tale è sconcertante che un cittadino muoia “inspiegabilmente”, mentre si trova sotto tutela legale e giudiziaria.

Nel 2009 Stefano Cucchi è un 31enne con un diploma di geometra e una vita già segnata dalla tossicodipendenza. Probabilmente non l’immagine del bravo ragazzo da presentare ai parenti il giorno di Natale, eppure sta cercando di riprendere in mano la propria vita e lasciarsi alle spalle la droga.

La sera del 15 ottobre, viene fermato da una pattuglia dei carabinieri per sospetto spaccio di droga. Morirà in ospedale il 22 ottobre, vittima del sistema giudiziario ma anche delle sue reticenze, della mancata denuncia di quanto avvenuto sotto custodia.

“Sulla mia pelle” di Alessio Cremonini, che ha aperto la sezione Orizzonti alla Mostra del cinema di Venezia 2018, non è un film di denuncia fine a se stessa o di manichea distinzione tra buoni e cattivi, come temevo, piuttosto un disperato e accorato appello morale, sociale e creativo del regista affinché emerga in modo chiaro quanto successo a Cucchi quel giorno.

Il film traspone oltre 10.000 pagine di verbali, studiati, assimilati e vissuti emotivamente prima ancora che drammaturgicamente da Cremonini e Lisa Nur Sultan. La loro sceneggiatura è essenziale, semplice, diretta, ogni parola, gesto, movimento del corpo di ogni attore sulla scena è stato preparato prima a livello umano ed emotivo e solamente poi sul piano recitativo. continua su

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