23) What’s Love

“What’s Love” è un film di Shekhar Kapur. Con Lily James, Emma Thompson, Shazad Latif, Nosheen Phoenix, Oliver Chris. Commedia, 108′. Gran Bretagna 2022

Sinossi:

Zoe è una documentarista inglese di successo; il suo vicino di casa Kazim un oncologo di origine pakistana. Quando Kazim comunica a Zoe di volersi sposare secondo la tradizione, ovvero lasciando scegliere ai suoi genitori la sposa, lei decide di girare un documentario sui matrimoni combinati nel XXI secolo. In realtà è delusa dalla scelta dell’amico per molti motivi, il più nascosto dei quali è l’attrazione segreta che prova per lui. Quando Zoe e la sua eccentrica madre si trasferiscono a Lahore per seguire il matrimonio di Kaz le tensioni aumentano: riusciranno i nostri eroi a gettare le rispettive maschere?

Recensione:

In un tempo non troppo lontano, il matrimonio era una vera e propria “questione di famiglia”, che poco aveva a che vedere con l’amore. Ne esistevano di combinati, di imposti, di riparatori e in Italia le cosiddette agenzie matrimoniali non sono scomparsa da chissà quanti anni.

Ma nel 2022 esiste ancora un modo “giusto” per trovare l’anima gemella? Al tempo dei social, delle app di appuntamenti, c’è ancora spazio per il vecchio e sano come romanticismo? Ed è immaginabile che un giovane e stimato medico inglese, ma di origini pakistane, decida di sottostare al matrimonio combinato dai genitori? per un matrimonio combinato dai genitori?

Il titolo del film di Shekhar Kapur, presentato alla Festa del cinema di Roma, ci pone una semplice quanto potete domanda: “What’s love got to do with it?” Cosa c’entra l’amore con tutto questo?

22) Un Uomo Felice

Il biglietto d’acquistare per “Un uomo felice”  è : Omaggio

“Un Uomo felice” è un film del 2023 diretto da Tristan Séguéla, scritto da Guy Laurent, Isabelle Lazard, con : Fabrice Luchini, Catherine Frot, Rehin Hollant, Philippe Katerine, Artus, Agnès Hurstel, Paul Mirabel, Bastien Ughetto, Jason Chicandier.

Sinossi:

Un uomo felice, film diretto da Tristan Séguéla, racconta la storia di Jean (Fabrice Luchini), un sindaco conservatore di un paesino della Bretagna. L’uomo è pronto per ripresentarsi alla prossima campagna elettorale, ma riceve una notizia per lui scioccante da parte di sua moglie Edith (Catherine Frot). Dopo diversi anni di matrimonio, la donna rivela di non sentirsi a suo agio nel suo corpo e ora vuole iniziare un percorso di transizione per cambiare sesso. Jean inizialmente crede che sia uno scherzo, ma una volta capito che sua moglie è determinata a intraprendere e portare a termine la transizione, comprende che la sua campagna elettorale rischia di essere stravolta.

L’annuncio di Edith, però, è un grande shock non solo per il marito, ma anche per l’intera famiglia e porterà a una serie di equivoci, che mostreranno molti dei pregiudizi fino ad allora tenuti nascosti.

Recensione:

Un tempo utilizzavamo  espressioni come  “non sentirsi a proprio agio con il proprio corpo “ e /o “  vivere una vita  repressa perché  obbligati dalle tradizioni”  “,  consapevoli  della loro  valenza psicologica e significato culturale.

Ovvero frasi e pensieri detti   in un preciso  quanto delimitato momento di difficoltà per una persona.

Oggi invece  queste stesse frasi assumono ben altro significato, valore  ponendo in “discussione” il  corpo, il genere d’appartenenza, gli impulsi anche sessuali di una persona.

Un matrimonio si fonda sull’amore , reciproca fedeltà oltre che su una serie  di giuramenti.

Ma quale matrimonio, anche quello più saldo e stabile può resistere alla sconvolgente notizia che uno dei due voglia effettuare la transizione in un uomo,  volendo comunque rimanere una coppia?

I due sceneggiatori Laurent e Larzad  hanno  cercato di rispondere a questa ed altre  scomode domande,  firmando una sceneggiatura  dove si potesse sorridere e riflettere allo stesso tempo.

Hanno scelto il linguaggio ed i tempi della commedia per affrontare e descrivere il difficile e radicale passaggio  intrapreso dalla protagonista mescolando  all’inevitabile crisi coniugale.

Il corto circuito esistenziale – coniugale  era potenzialmente esplosivo a livello narrativo, ma  in fase di scrittura è stato  poco sviluppato e sovente risolto in modo approssimativo e pasticciato.

Lo spettatore trovandosi  davanti ad una doppia crisi teme  l’inizio di un psicodramma .

Invece  il regista Seguela  dimostrando  di possedere sensibilità e creatività è riuscito a mettere in scena un film  leggero , a tratti anche divertente potendo contare su due attori di prima grandezza come Fabrice Luchini e Catherine Frot.

Luchini -Frot ,pur essendo un’inedita coppia artistica ,si sono rivelati reciprocamente funzionali e complementari sulla scena,  offrendo credibilità e profondità ai due  personaggi.

La coppia non scoppia  grazie allo charme della Frot ed all’istrionismo garbato di Luchini, ma ciò non è sufficiente per evitare al film di perdere quota ed incisività  nella seconda parte.

Una seconda parte caratterizzata da un “fritto misto” narrativo e da un  finale buonista, che è  purtroppo  poco digeribile per un pubblico “diversamente tradizionalista” in campo cinematografico.

21)Scream VI

Il biglietto d’acquistare per “Scream VI” è : Neanche regalato (Con Riserva)

“Scream VI” è un film del 2023 diretto Matt Bettinelli-Olpin, Tyler Gillett, scritto da Guy Busick, James Vanderbilt, con : Jenna Ortega, Courteney Cox, Hayden Panettiere, Dermot Mulroney, Melissa Barrera, Mason Gooding, Jasmin Savoy Brown, Roger L. Jackson, Devyn Nekoda, Josh Segarra, Jack Champion, Liana Liberato, Tony Revolori, Samara Weaving, Henry.

Sinossi:

Scream VI, il film diretto da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, vede tornare le sorelle Sam (Melissa Barrera) e Tara Carpenter (Jenna Ortega) insieme ai gemelli Chad (Mason Gooding) e Mindy Meeks (Jasmin Savoy Brown).

I quattro, sopravvissuti agli omicidi compiuti da Ghostface, si lasciano alle spalle quanto accaduto a Woodsboro per iniziare un nuovo capitolo della loro vita trasferendosi a New York.

Ma anche nella grande mela si ritroveranno ad avere a che fare con un nuovo Ghostface. Come affronteranno questo nuovo inizio?

Recensione:

La vecchiaia è una brutta cosa. Invecchiare male  è anche peggio.  

Se poi i generi cinematografici e/o i film  che hai amato da ragazzo, ora da inviato di mezz’età li appaiano  noiosi se non brutti , è evidente scrivere  parafrasando il motto “spaziale” : Direttora, abbiamo un problema!

Il vostro inviato è  serenamente rassegnato all’invecchiamento,  ma si ribellerà sempre con forza all’accanimento produttivo su qualsiasi saga di valore.

La saga di “Scream”  è stata amata da milioni di fan, diventando meritoriamente prima un cult e poi oggetto di un’altrettanta fortunata parodia  come “Scary movie”

Ma se nel 2022   avevo accettato con estrema fatica “Scream 5”, giustificato    dall’operazione “nostalgia” con l’utilizzo del cast originale.

 “Scream 6”  è tutto tranne che un horror, quanto piuttosto un pasticciato e confuso tentativo creativo oltre che produttivo di “spremere fino all’ultimo dollaro” da un format ormai esangue.

Gli sceneggiatori di “Scream 6” ha tentato maldestramente  di scrivere da una parte un nuovo inizio  della saga rinnovando parte del cast e soprattutto inventando  nuovi folli e pericolosi adepti di Ghostface e dall’altra di creare un ponte narrativo  tra i vecchi episodi e questo sesto  con l’unico scopo di soddisfare i vecchi fan e conquistare dei nuovi.

Una scelta drammaturgica che si è  rivelata  debole e di corto respiro  fin dalle prime scene,  osservando come  vecchi e nuovi personaggi funzionano solamente quando rievocano il passato più che agire nel presente per salvarsi dalla nuova minaccia.

L’unica vera e sostanziale novità di questo episodio ovvero: lo spostamento dalla cittadina di Woodsboro alla” città che non dorme mai alias New York” è appena sfruttato dal regista, utilizzando solamente  ad esempio la celebre metropolitana nella parte finale.

“Scream 6” ha poco o nulla dell’originale firmato da Wes Craven,  esagerando con le scene splatter, combattimenti piuttosto inverosimili e ferite mortali poi divenute semplici ferite da curare.

Dispiace per la volenterosa Melissa Barrera e per l’ormai famosa Jenna Ortega (Mercoledi di Tim Burton), ma  nei panni di sorelle maledette sono davvero poco credibili anche per colpa di un pessimo script.

Poco o nulla, a mio modesto parere, si salva da “Scream 6” dove l’altra novità significativa è ovviamente uno spoiler da non poter rivelare, ma che una volta scoperto lascia piuttosto perplessi pensando ad altri horror con  famiglie diversamente cattive.

Sicuramente queste mie affermazioni strideranno con i giudizi degli altri e soprattutto con i numeri del Box office, ma anche in questo caso siamo abituati.

Un ultimo cosa: le regole di buon horror rimangono valide, ed ribaltarle o riscriverle non sempre è un elemento positivo anzi.

20) Women Talking – Il Diritto di Scegliere

Il biglietto d’acquistare per “Women Talking” è : Sempre (Con Riserva)

“Women Talking” è un film del 2023 scritto e diretto da Sarah Polley, basato sul romanzo “Donne che parlano” di Miriam Toews  del 2018

Interpreti e Personaggi:

Rooney Mara       Ona

Frances McDormand  Scarface Janz

Judith Ivey    Agata

Emily Mitchell      Miep

Kate Hallett  Autje

Liv McNeil     Neitje

Claire Foy      Salome

Sheila McCarthy  Greta

Jessie Buckley      Mariche

Michelle McLeod Mejal

Kira Guloien  Anna

Shayla Brown       Helena

Vivien Endicott Douglas     Clara

Ben Whishaw  Melvin

Sinossi:

Un gruppo di donne subisce ogni tipo di sopruso e violenza dagli uomini che fanno parte della loro stessa comunità religiosa. Quando questi ultimi stanno per uscire dal carcere, cosa faranno queste donne? Riusciranno a perdonare? Come faranno a conciliare il dolore subito con il ritorno dei mostri nella loro vita?

Recensione:

Notizie , racconti, echi di violenza domestica, femminicidio, umiliazioni , vessazioni subite dalle donne da parte dei propri mariti, padri e/o fratelli sono diventate tragicamente una costante di questa nostra quotidianità malata.

Le quattro mura di casa, la famiglia non sono più una protezione, uno scudo  per le donne, bensì un luogo da cui scappare.

Se non ti puoi fidare degli affetti più cari divenuti i primi carnefici, cosa può fare una donna se non unire le forze con altre donne vittime di questa brutalità?

“L’unione fa la forza” sostiene un vecchio proverbio e mai come nel caso di “Women Talking” tratto dall’omonimo romanzo di Miriam Toews ed a propria volta liberamente ispirato a fatti realmente accaduti in una piccola e sperduta comunità mennonita  situata in Bolivia, possiamo ascoltare, vedere , percepire il senso più intimo e profondo di questo proverbio.

“Women Talking”  racconta la drammatica, intensa, sconvolgente riunione indetta dalle nove donne e ragazze più influenti dalla comunità con lo scopo di decidere il futuro di tutte le donne di fronte all’imminente rilascio dei loro uomini/aguzzini?

Quale è la decisione più giusta da prendere?

 Una votazione  ha cristallizzato la situazione d’impasse tra tre opzioni: non fare nulla, restare e combattere o andarsene.

Queste nove donne hanno il gravoso compito di indicare la strada, una soluzione.  Donne di diverse età, caratteri e personalità ma accomunate dall’essere state stuprate , tradite ed ingannate per anni dagli uomini della loro stessa comunità.

Si può perdonare un padre, fratello stupratore?

Si può fare finta di nulla?

È legittimo provare odio e sete di giustizia?

Le bambine frutto di queste ripetute violenze hanno diritto ad un’altra vita?

I bambini, i ragazzi invece devono essere lasciati indietro o portati con sé sperando che non sia tardi per “educarli” diversamente?

Sono alcune delle domande angoscianti  e strazianti che le protagoniste si pongono entrando spesso in un vibrante conflitto tra loro .

Ma allo stesso tempo   da una parte scattano le condizioni ideali per un processo al “genere maschile” colpevole di precisi e gravi crimini e dall’altro emergono  le  sottili quanto profonde sfumature sulle conseguenze psicofisiche che rimangono in una donna vittima di violenza

Sarah Polley  firma una sceneggiatura solida, incisiva, avvolgente, dura, ma con la presenza negativa di alcuni passaggi un po’ verbosi e retorici.

“Women Talking” mi ha personalmente ricordato il film “Il Dubbio” di John Patrick Shanley per alcuni aspetti strutturali e soprattutto  nell’approccio narrativo ed interpretativo riguardo la tematica religioso.     Lo spettatore “maschio”  è costretto ad un ascolto duro, spietato in cui emergono il suo lato peggiore raccontato con grande abilità, talento, passione e credibilità da un cast artistico  quasi completamente femminile in uno vero stato di grazia.

L’unico  personaggio maschile è quello di Melvin interpretato con analoga bravura ed empatia da Ben Whishaw.

Melvin è inizialmente silenzioso , schivo, intimidito dalle rabbiose quante amare parole  pronunciate dalle donne, ma delegato  a stendere il verbale di questa assemblea.

Melvin scrive, annotta , ma di fatto partecipa al travaglio interiore ed esistenziale delle nove donne.

“Women Talking” è una storia di violenza, abusi e legami di fiducia infranti, ma nonostante ciò   conserva  una valenza liberatoria e speranzosa con un finale magari un po’ prevedibile nella messa in scena, ma capace di strappare un commosso sorriso al pubblico in sala ed al genere umano in generale.

3) La Casa delle Luci (Donato Carrisi)

“La Casa delle Luci” è un romanzo scritto da Donato Carrisi e pubblicato da Longanesi Editore il 18 Novembre 2022”

Sinossi:

DAL MAESTRO DEL THRILLER ITALIANO, UN NUOVO, OSCURO ENIGMA DA DECIFRARE. Nella grande casa spenta in cima alla collina, vive sempre sola una bambina… Si chiama Eva, ha dieci anni, e con lei ci sono soltanto una governante e una ragazza finlandese au pair, Maja Salo. Dei genitori nessuna traccia. È proprio Maja a cercare disperatamente l’aiuto di Pietro Gerber, il miglior ipnotista di Firenze, l’addormentatore di bambini. Da qualche tempo Eva non è più davvero sola. Con lei c’è un amichetto immaginario, senza nome e senza volto. E a causa di questa presenza, forse Eva è in pericolo. Ma la reputazione di Pietro Gerber è in rovina e, per certi versi, lo è lui stesso. Confuso e incerto sul proprio destino, Pietro accetta, pur con mille riserve, di confrontarsi con Eva. O meglio, con il suo amico immaginario. È in quel momento che si spalanca una porta invisibile davanti a lui. La voce del bambino perduto che parla attraverso Eva, quando lei è sotto ipno­si, non gli è sconosciuta.

E, soprattutto, quella voce conosce Pietro. Conosce il suo passato, e sembra possedere una verità rimasta celata troppo a lungo su qualcosa che è avvenuto in una calda estate di quando lui era un bambino.

Perché a undici anni Pietro Gerber è morto.

E il misterioso fatto accaduto dopo la sua morte ancora lo tormenta.

Recensione:

“Tanto tuonò che  piovve” recita un popolare proverbio.

Gli artisti in generale sono delle creature  uniche , particolari: sono testarde, vanesie, fragili, egocentriche.

Gli scrittori appartengono in più ad un  sotto genere: non accettano alcun tipo di  consiglio o critica costruttiva  sui propri romanzi da amici e parenti figurarsi da un piccolo ed insignificante blog come questo.

Donato Carrisi è uno scrittore di fama internazionale, noi stessi più volte l’abbiamo definito come “Il Grisham italiano”.

Carrisi negli ultimi anni si è voluto cimentare con la regia cinematografica riscuotendo subito consensi e premi.

Una “distrazione piacevole” che, a nostro parere,  ha influenzato negativamente l’ultima trilogia letteraria  creata dallo scrittore pugliese, avendo come protagonista un psicologo, meglio ancora conosciuto come “l’addormentatore dei bambini”: Pietro Gerber.

I primi due romanzi delle trilogia, con grande dispiacere, li abbiamo giudicati non all’altezza della fama di Carrisi.

Evidenziando come  entrambi avessero il peccato d’origine d’essere stati scritti già per una futura trasposizione probabilmente televisiva , perdendo così il mordente e respiro letterario.

L’ impostazione drammaturgica  risentiva di questa “scelta a monte”  anche se mai dichiarata da Carrisi ,  facendo  pensare al plot di alcune  serie televisive americane,  depotenziando l’idea di partenza.

Ma se gli scrittori sono testardi, chi vi scrive non è da meno. Ho iniziato la lettura de “La casa delle Luci” sforzandomi d’essere aperto e libero da pregiudizi  passati.

Possiamo affermare che Donato Carrisi al terzo tentativo con Pietro Gerber, è riuscito almeno in parte a correggere le criticità strutturali , modificando lo stile di racconto e soprattutto dando più spazio alla storia , all’elemento introspettivo  senza eccedere nei manierismi e negli stereotipi di genere.

Pietro Gerber si mostra  finalmente come una persona imperfetta, trasandata fuori  e dentro. Non è più il sicuro ipnotista dei primi due romanzi, è un uomo in difficoltà, arranca, rischiando di perdersi nei meandri della mente e del proprio tragico passato “coperto” dal Sig. G, suo  padre.   I personaggi vecchi e nuovi appaiono più credibili, avvinti dal dolore o dal mistero , ed in entrambi casi  stimolanti da leggere e capire per il lettore.

“La Casa delle Luci”  chiude il cerchio  di una storia in bilico tra realtà e suggestione,  memoria e finti ricordi.

Donato Carrisi salva  sé stesso ed il personaggio di Pietro Gerber dall’anonimato letterario.

Chissà se con diverso linguaggio (televisivo?), Pietro Gerber troverà il modo d’incantarci completamente.

2) I Ragazzi di Biloxi (John Grisham)

“I ragazzi di Biloxi” è un romanzo scritto da John Grisham e pubblicato in Italia il 22 novembre 2022 da Mondadori Editore.

Sinossi:

 Keith Rudy e Hugh Malco provengono entrambi da famiglie di immigrati croati e sono cresciuti insieme a Biloxi, nel Mississippi. Negli anni Cinquanta e Sessanta hanno frequentato le stesse scuole e condiviso la passione per lo sport. La loro città, affacciata sul mare, era storicamente nota per la sua fiorente industria ittica e per le spiagge e i resort turistici. Ma al tempo stesso presentava un lato oscuro: la corruzione e il vizio – dal gioco d’azzardo alla prostituzione, al contrabbando di alcol e traffico di stupefacenti – dilagavano sotto il controllo di una cricca di criminali, molti dei quali si diceva fossero membri della Dixie Mafia. Crescendo i due amici d’infanzia prendono strade diverse. Il padre di Keith, divenuto con grandi sacrifici procuratore distrettuale, è determinato a ripulire Biloxi e tutta la costa dalla malavita e suo figlio decide di seguire le sue orme. Il padre di Hugh, invece, diventa in breve tempo il boss incontrastato della criminalità locale e Hugh, attratto dalla bella vita e dai locali notturni, sceglie di lavorare per lui. Inevitabilmente le due famiglie sono destinate a uno scontro finale nelle aule del tribunale. “I ragazzi di Biloxi” è una saga che racconta le vicende di due uomini che si ritrovano dalla parte opposta della legge.

Recensione:

Non amo particolarmente quel genere di romanzo incentrato sulle saghe familiari, sulle relative amicizie, affetti, tradimenti ecc.

Un’epopea che spesso  si tramuta in un campale e manicheo scontro tra due ex amici che hanno scelto opposti stili di vita.

La mia riluttanza letteraria deriva probabilmente anche dall’influenza televisiva in cui sono nato e cresciuto , vedendo sul piccolo schermo tante serie e film si fondono su questo plot narrativo.

Ho voluto condividere la mia  “diffidenza ” al fine di rendere più chiaro  il perché  del mio giudizio in chiaroscuro su “i Ragazzi di Biloxi”, ultima fatica del Maestro Grisham.

Ho faticato non poco  a leggere e farmi piacere le prime duecento  pagine scritte da un inedito Grisham .

Non ho  ritrovato il classico e diretto approccio narrativo del Maestro  nel presentare i  personaggi , l’intreccio e soprattutto le criticità che generalmente danno  il via ad un  vibrante ed inteso scontro legale.

La prima parte de “I Ragazzi di Biloxi” l’ho letta, percepita ed infine accettata come un tentativo lodevole da parte dello scrittore di modificare il proprio marchio autoriale, volendo inserire forzatamente  l’elemento migrazione e l’”American Dream”  sperando così  da una parte di conquistare nuovi lettori

e dall’altra  di svecchiare il “brand Grisham” agli occhi dei vecchi fan.

Una scelta  creativa che sulla carta aveva buone potenziali,  si è rivelata nello sviluppo un lungo ed tratti prolisso “introduzione” alla vera storia, ovvero il duello legale e poi divenuta questione personale tra Keith e Hugh, dopo che il secondo ha organizzato l’attentato fatale per il padre di Keith.

Un finale serrato ed avvolgente non è  bastevole a coprire i limiti emersi nella seconda parte , in cui l’autore ha sporcato il cuore del racconto con l’utilizzo   eccessivo di personaggi secondari e loro guai giudiziari.

“  I ragazzi di Biloxi” è un romanzo di formazione,  storico, sociologico  sulla società americana e solamente alla fine lo si vive come un Legal thriller.

Un ibrido di generi e troppi personaggi buttati nella mischia determinano una lettura diversamente godibile ed avvincente, sensazioni davvero inedite per un lettore alle prese con un “Grisham”.

19)Holy Spider

“Holy Spider” è un film di Ali Abbasi. Con Mehdi Bajestani, Zahra Amir Ebrahimi, Arash Ashtiani, Forouzan Jamshidnejad. Thriller, 117′. Francia, Germania, Svezia, Danimarca 2022

Sinossi:

Siamo a Mashhad, seconda città più grande dell’Iran e importante sito religioso. Nel 2000, un serial killer locale inizia a prendere di mira le prostitute per strada, strangolandone diciassette dopo averle attirate una ad una a casa sua. La stampa lo chiama “il ragno”, e tra i giornalisti che coprono il caso c’è Rahimi, una donna che viene da Teheran e si mette sulle tracce dell’assassino. L’uomo si rivelerà essere Saeed Hanaei, ex-militare convinto che Dio gli abbia affidato la missione di liberare la città dalle donne indegne che vendono il proprio corpo.

Recensione:

“Holy spider” di Ali Abbasi arriva al cinema, dopo essere stato presentato con discreto successo nei Festival internazionali lo scorso anno – l’attrice protagonista, Zahra Amir Ebrahimi, si è aggiudicata la Palma d’oro a Cannes per la sua interpretazione.

La cinematografia occidentale è piena di film che hanno come protagonista un serial killer che sceglie le donne come vittime, ma spostate la storia in Iran e questa assumerà caratteristiche innovative e tinte problematiche inedite per il grande pubblico.

Nella Repubblica islamica d’Iran la donna è considerata giuridicamente inferiore all’uomo e il fanatismo religioso è utilizzato come giustificazione per ogni nefandezza. continua su

18) The Quiet Girl

Il biglietto d’acquistare per “The Quiet Girl” è : Di Pomeriggio

“The Quiet Girl” è un film del 2023 scritto e  diretto da Colm Bairéad,  basato sul racconto “Foster” di Claire Keegan, con : Catherine Clinch, Carrie Crowley, Andrew Bennett, Michael Patric, Kate Nic Chonaonaigh, Joan Sheehy, Tara Faughnan, Neans Nic Dhonncha, Eabha Ni Chonaola, Carolyn Bracken

Sinossi:

The Quiet Girl, il film diretto da Colm Bairéad, è ambientato nell’Irlanda rurale del 1981 e racconta la storia di Cáit (Catherine Clinch), una tranquilla bambina di nove anni, che proviene da una famiglia problematica, povera, con molti figli e in attesa di un altro bambino. Data la situazione, i genitori decidono di allontanarla durante l’estate e affidarla a una coppia di lontani parenti, Seán e Eibhlín (Andrew Bennett e Carrie Crowley) Kinsella. Cáit non ha mai incontrato la coppia prima di quel momento, non sa quando e né se mai farà ritorno a casa, perché con sé non ha portato nulla, a parte l’abito che indossa. I Kinsella sono una coppia di mezza età, che vivono in campagna e conducono una vita dignitosa, che accettando di prendersi cura di Cáit, donandole diversi vestiti e trattandola con premura.

Inizialmente la giovane si avvicina più a Eibhlín, che sin da subito l’accoglie calorosamente, a differenza di Seán, che sembra più schivo nei suoi confronti, ma col tempo anche il rapporto tra lui e Cáit si distende. Insieme ai due, la ragazza sboccia scoprendo un nuovo modo di vivere. Eppure, nella sua nuova casa, dove riceve molto affetto e non ci dovrebbe essere alcun segreto, Cáit ne scopre uno.

Recensione:

Esistono film capaci di toccare le corde più intime e profonde dello spettatore diventando “memorabili” o “unici” anche al netto di vizi narrativi e limiti registici.

Ci sono sceneggiature semplici, magari non originali, ma scritte e soprattutto poi rese in modo magistrale dagli interpreti sulla scena al punto da farti immedesimare emotivamente con il /la protagonista di turno.

Chi ha pianto nel 2001 con “La Stanza del Figlio” di Nanni Moretti e più recentemente nel 2021 con “L’Arminuta” di Giuseppe Bonito, ritroverà sicuramente nella visione di “The Quiet Girl” una certa assonanza di tematiche, un evidente invito  alla commozione e soprattutto una spinta a farsi coinvolgere dall’evoluzione personale ed emotiva della giovane protagonista e degli altri personaggi.

Ovviamente il vostro vecchio e cinico invitato  pur apprezzando complessivamente l’opera prima di Colm Bairéad e soprattutto colpito dalla straordinario  esordio della giovanissima Catherine Clinch e l’incredibile disinvoltura  nel reggere quasi per intero il peso del film, non è uscito fuori dalla sala gridando al capolavoro e/o invocando la vittoria di Bairead come miglior film  straniero alla prossima notte degli Oscar.

“The Quiet Girl”  come anticipa lo stesso titolo “la ragazza silenziosa” è il racconto di una ragazza, una figlia non desiderata,  mai compresa dalla famiglia d’origine , che ha trovato nel silenzio l’unico strumento di protesta e d’esternazione del proprio dolore e solitudine.

Cait si sente incompresa e sbagliata così quando viene spedita per un periodo dalla cugina dalla madre,  non immagina che possa esistere una casa in cui si dà e riceve affetto, cura e sostegno reciproco

“The Quiet Girl” è caratterizzato  da una struttura solida quanto compassata e lenta nel ritmo , allungando oltre il necessario almeno per noi, il momento di svolta o se preferite il raggiungimento del focus emozionale e narrativo.

Il silenzio e la scelta di pochi dialoghi tra i personaggi pur rappresentando una scelta drammaturgica vincente ed un valore aggiunto per l’intero cast artistico , produce nella prima parte un effetto soporifero per lo spettatore.

“The Quiet Girl” è quel genere di film  che colpisce e scuote le più solide e radicate certezze sull’idea di famiglia e sul rapporto figli genitori,  evidenziando come “il legame di sangue” non corrisponda un vero legame affettivo.

17) Tramite Amicizia

Il biglietto d’acquistare per “Tramite Amicizia” è : Omaggio

“Tramite amicizia” è un film del 2023 diretto da Alessandro Siani, scritto da Gianluca Ansanelli, Alessandro Siani, con : Alessandro Siani, Max Tortora, Matilde Gioli, Paola Lavini, Miloud Mourad Benamara, Maria Di Biase, Yari Gugliucci, Cecilia Dazzi, Germano Lanzoni.

Sinossi:

Tramite Amicizia, il film diretto da Alessandro Siani, racconta la storia di Lorenzo (Alessandro Siani), a capo dell’agenzia Tramite Amicizia, un’agenzia molto speciale perché si occupa di noleggio di amici. Nel caso in cui una persona necessiti di un conforto, di compagnia, di fare shopping o di un semplice consiglio, Lorenzo si propone come il perfetto finto amico nel momento del bisogno.

Quando però ad aver bisogno dei servizi della sua agenzia saranno dei suoi parenti, il suo compito si rivelerà più difficile del solito. Questi suoi famigliari sono dipendenti di una fabbrica di dolci e il proprietario, Alberto Dessè (Max Tortora), che sta passando una profonda crisi personale, ha deciso di venderla.

Alberto si sente solo e ha perso entusiasmo e fiducia nella vita e nei suo progetti, insomma ha proprio bisogno di un amico. Lorenzo deve riuscire a far star meglio Alberto, dissuaderlo dal mollare tutto e salvare centinaia di posti di lavoro, tra cui quello dei suoi parenti.

Ad aiutarlo nella delicata impresa ci saranno anche sua cugina Filomena (Maria Di Biase) e la sua amica Maya (Matilde Gioli).

Recensione:

“Chi trova un amico trova tesoro” recita un popolare proverbio.

 Cicerone ha scritto probabilmente  l’opera più importante con “Il De Amicitia”

“Non dico che dividerei una montagna

ma andrei a piedi certamente a Bologna

per un amico in più.” cantava nel 1982 Riccardo Cocciante.

L’Amicizia è un sentimento, un valore, un sostegno che  cerchiamo, bramiamo  per tutta la vita.

L’arrivo dei social network  ha “distorto”  il senso di questo nobile  legame, riducendolo ad un effimera e fasa  esaltazione del proprio io.

Ma nel momento del vero bisogno, su quali e quante persone possiamo davvero contare?

Sono poche, per non dire  rare le spalle a cui aggrapparsi:  veri amici.

Ci illudiamo d’essere forti, indipendenti, ma nella realtà siamo fragili e desiderosi d’essere ascoltati, compresi e coccolati.

Avere amico disponibile in qualsiasi momento è  raro se non impossibile, invece pagando un professionista potreste trovarvi Lorenzo, l’uomo che  ha trasformato l’amicizia in un redditizio business.

“Tramite amicizia” è decisamente il film “meno” brillante, leggero, spensierato  firmato da Alessandro Siani nella sua carriera artistica.

“Il Tempo delle Favole è finito” ha dichiarato lo stesso Siani in conferenza stampa spiegando che il film è  nato dalla propria esigenza umana oltre che creativa di raccontare , a modo suo, il Paese reale uscito da una parte  prostrato dalla pandemia e dall’altra desiderosa di recuperare il tempo perduto con i propri cari ed amici.

Con “Tramite Amicizia” Alessandro Siani ha cercato di scrollarsi di dosso i panni stretti del comico tout court ,reinventandosi come  osservatore semi impegnato  della nostra società.

Era ed è un’aspirazione legittima quella dell’attore napoletano di ripetere magari il percorso di Roberto Benigni, ma che si è scontrata con la dura realtà cinematografica,

Siani e l’altro sceneggiatore Ansanelli hanno scritto  una sceneggiatura complessivamente debole, abbozzata  nei personaggi maschili principali (Siani e Tortora) e forzata quanto inutile in quello femminile affidato alla volenterosa e poco più Matilde Gioli.

“Tramite amicizia” vorrebbe strizzare l’occhio al pubblico che ha amato il film francese “Quasi Amici”, senza però possederne incisività, profondità ed intensità .

“Tramite amicizia” ha qualche slancio godibile e vivace grazie alla presenza poco sfruttata di Maria De Biase , si ride per qualche battuta (alla Siani), ma il contesto narrativo è sfilacciato all’inizio, dispersivo nella parte centrale e troppo buonista nel finale.

La scelta della distribuzione di far uscire il film nel giorno di San Valentino forse farà storcere il naso ai romantici insieme ai fan duri e puri di Siani, ma quantomeno darà la giusta visibilità all’Amicizia come  forza unica , insostituibile e soprattutto gratuita per chi lo merita veramente.

16) Till – Il coraggio di una madre

Il biglietto d’acquistare per “Till” è : Omaggio (Con Riserva)

“Till” è un film del 2022 diretto da Chinonye Chukwu, scritto da Chinonye Chukwu e Michael Reilly, Keith Beauchamp, con : Danielle Deadwyler, Jalyn Hall, Jamie Renell, Whoopi Goldberg, Sean Patrick Thomas, John Douglas Thompson, Gem Collins, Diallo Thompson, Tyrik Johnson, Enoch King, Haley Bennett, Carol J. Mckenith, Elizabeth Youman, Keisha Tillis, Sean Michael Weber, Njema Williams.

Sinossi:

Till – Il coraggio di una madre, il film diretto da Chinonye Chukwu, racconta la vera storia di Mamie Till-Mobley (Danielle Deadwyler), una segretaria d’azienda che dopo l’atroce omicidio del figlio quattordicenne Emmett (Jalyn Hall), diventa un’attivista per i diritti degli afro-americani.

Nel 1955, Emmett Till che vive a Chicago con sua madre, va a passare l’estate da suo cugino in Mississippi. Mamie, dopo aver fatto le dovute raccomandazioni, saluterà il figlio e non lo rivedrà mai più. Il ragazzo sarà rapito e brutalmente ucciso, accusato di essersi comportato in modo inappropriato nei confronti di una donna bianca.

Il processo sarà molto breve e gli assassini verranno assolti da una giuria di soli bianchi. Mamie, travolta dal dolore e decisa a ottenere una forma di giustizia, decide di organizzare un funerale con la bara del figlio aperta per mostrare a tutti quello che gli avevano fatto. In quell’occasione dichiarerà: “Voglio che il mondo intero veda quello che hanno fatto al mio bambino.”

Recensione:

Oggi fare un apprezzamento, un complimento ad una donna si rischia di d’essere etichettato come una persona molesta e soprattutto d’ essere  “lapidato” nei “tribunali” dei social.

Ma se vi dicessi che nel 1955, un analogo comportamento da parte di un nero verso una donna bianca, poteva avere come conseguenza la tortura e morte  del molestatore?

Ed ancora se il “molestatore” fosse stato un minorenne ignaro delle “regole” vigenti in spregio allo stato di diritto?

E se questa storia di folle ed ingiustificabile “giustizia” si fosse verificata negli Stati Uniti?

Direste impossibile comprensibilmente, ma sfortunatamente cadreste in errore.

“Till” è il terribile, mesto, sconvolgente  racconto di una tragedia annunciata, nel momento in cui Emmett   superando le resistenze e timori di sua madre Till, decise di trascorrere una settimana di vacanza   dai suoi cugini nel Mississippi .

Una “vacanza” che agli occhi e cuore di sua madre rappresentavano un grave pericolo per un figlio vissuto sempre a Chicago ed ignaro di come i neri del Sud erano  costretti a subire minacce, violenze ed umiliazioni di ogni genere.

Per Emmett invece  quella settimana rappresentava il primo viaggio da solo oltre che un modo per conoscere la sua famiglia d’ origine.

Ma nessuno avviso, raccomandazione, esortazione possono  fermare l’ingenua esuberanza di un ragazzo.

Emmett non sapeva che il suo “fischiare” ad una donna bianca in un bar  lo avrebbe  condotto alla morte tra atroci sofferenze.

E’ la cronaca di una morte annunciata quella che Chinonye Chukwu decide di mettere in scena  schierandosi in modo netto e chiaro dalla parte di mamma Till, costretta a  lottare contro lo Stato del Mississippi prima per riavere il corpo martoriato del figlio e poi di portare alla sbarra i suoi aguzzini.

Il corpo martoriato di Emmett diventerà l’arma, il megafono di Till nell’urlare tutto il proprio dolore e rabbia contro gli assassini del figlio.

Una messa in scena di stampo televisivo e una sceneggiatura piuttosto essenziale , oseremo dire manichea nell’individuare i buoni ed i cattivi di assassinio che sconvolse l’America.

Till prima della morte di Emmett, era stata una donna nera inserita in un contesto di bianchi,  assai lontana dai “problemi” vissuti dai fratelli nel Sud del Paese.

La tragedia trasformò Till in una madre desiderosa di giustizia oltre che una convinta  attivista dei movimenti anti apartheid.

“Till” è quel genere di film in cui la tematica, il messaggio supera e copre anche i limiti strutturali, registici di un progetto forse  realizzato fuori tempo massimo.

Eppure Till è una storia che da una parte colpisce, scuote le coscienze e dall’altra lascia un profondo  sentimento disconcerto nell’apprendere che nessuno pagò per l’omicidio di Emmett

Un’ingiustizia certificata, senza alcuna vergogna, dai tribunali americani .

L’ omicidio di Emmett rappresentò una  delle pagine più buie della democrazia americana, ma fu anche l’inizio di una battaglia durata oltre cinquant’anni affinché  il legislatore inserisca  il reato di tortura a scopo razziale nel diritto penale.

Till è un film alla memoria di una madre coraggiosa e di una giovane vita spezza crudelmente , ma è anche il  monito /speranza che non esistano in America  altri casi analoghi.