Melvin è un ragazzo di trent’anni appassionato di fiction. Guardando la TV si innamora dell’Aspirante Diva e decide di conoscerla. Anni dopo Melvin racconta la sua storia allo Splendente, il suo psichiatra. Il tempo è galantuomo.
Il biglietto d’acquistare per “Nope” è : Neanche regalato (Con Riserva)
“Nope” è un film di Jordan Peele. Con Daniel Kaluuya, Keke Palmer, Steven Yeun, Michael Wincott, Brandon Perea. Horror, 130′. USA 2022
Sinossi:
OJ e Emerald Haywood, fratello e sorella, hanno ereditato un ranch ad Agua Dolce, non lontano da Hollywood, dopo la morte del padre Otis sr., avvenuta in circostanze difficili da spiegare scientificamente. L’attività di famiglia riguarda l’addestramento di cavalli selvaggi per l’industria del cinema, ma gli Haywood vantano origini ben più nobili e sostengono di discendere dal fantino bahamense immortalato da Eadweard Muybridge nella sequenza di fotografie del 1878, nota come la prima successione di immagini in movimento (in sostanza il primo film) mai girata. Mentre OJ cerca di vendere i propri cavalli a Jupiter, ex attore divenuto proprietario di un parco dei divertimenti western ad Agua Dolce, avvengono fatti sempre più strani e inspiegabili al ranch degli Haywood, tanto da far pensare a una presenza extraterrestre e ostile.
Recensione:
La nuova stagione televisiva e cinematografica non è ancora iniziata ufficialmente, ma già vediamo il ritorno di un motivo ricorrente: Vittorio De Agro contro il fior fiore della critica internazionale!
Neanche il tempo di riprendere fiato, sperando di concedermi qualche giorno di meritato riposo prima del tour de force veneziano, che il Premio Oscar Jordan Peele mi ha lanciato contro l’indigesto “Nope”.
Indigesto secondo me, perché manco a dirlo la stampa di tutto il mondo sta facendo a gara nello scrivere recensioni entusiastiche, scovando letture e interpretazioni della pellicola, e arrivando a scomodare mostri sacri come Steven Spielberg. continua su
“Anno nuovo vita nuova” eravamo soliti dire speranzosi nella notte di San Silvestro, festeggiando l’arrivo dell’anno nuovo.
Ma gli ultimi anni hanno stravolto anche i proverbi più ottimisti e saggi.
Siamo paradossalmente costretti a pensare “Anno nuovo, quale calamità arriverà ?”
I primi 7 mesi del 2022 sono stati davvero “scoppiettanti” : guerra in Ucraina, siccità, inflazione galoppante, caduta dei governi Draghi e Johnson.
Con i primi giorni, agosto si preannuncia già all’altezza con le tensioni sull’asse Cina – Usa e la rinnovata conflittualità tra Kosovo e Serbia.
In questo quadro internazionale, sociale ed economico è assai difficile parlare, scrivere di Arte, ma non volevamo , non potevamo deludere i nostri due lettori
Così siamo pronti a rompervi l’anima con il nostro consueto Finale di Stagione.
Sono stati setti mesi scanditi da cinema, Tv, libri e problemi fisici che ci hanno fatto capire come la vita sia
Ergo non perdiamo tempo
I numeri del nostro Finale di Stagione sono: 61 film, 34 programmi Tv, 27 libri.
Alla luce di quanto visto e letto, beccatevi le nostre Classifiche:
Cinema ( aspettando l’uscita dei film di Cannes e Venezia, evidenziamo come finora la 7 arte ci abbia regalato molte delusioni e pochi film degni di nota)
Il biglietto d’acquistare per “The Twin -L’altro Volto del Male” è : di pomeriggio
“The Twin -L’altro Volto del Male” è un film del 2022 diretto da Taneli Mustonen, scritto da Aleksi Hyvärinen, Taneli Mustonen, con : Teresa Palmer, Tristan Ruggeri, Toni Tikkanen, Steven Cree, Barbara Marten.
Sinossi:
The Twin – L’altro volto del male, film diretto da Taneli Mustonen, racconta la storia di Rachel e Anthony (Teresa Palmer e Steven Cree), una coppia che ha perso uno dei figli gemelli a causa di un tragico incidente. I due decidono di trasferirsi molto lontano, dall’altra parte del mondo, e dedicarsi unicamente al figlio sopravvissuto, Elliot (Tristan Ruggeri), sperando così di elaborare il lutto e ricostruirsi una nuova vita. Nella campagna scandinava, dove vivono ora, le giornate sembrano inizialmente trascorrere tranquille e l’isolamento nella natura sembra fare davvero bene alla famiglia, favorendo la loro guarigione.
Questa pace ritrovata, però, rischia di essere minacciata dallo stesso Elliot, che sembra essere posseduto da un’entità malvagia, intenzionata a impadronirsi della sua anima. Rachel cerca di combattere contro queste oscure forze, che sostengono di non essere altro che il figlio morto, ma è così che la donna scoprirà un’orribile verità sul gemello sopravvissuto…
Recensione:
L’incubo peggiore di un genitore è dover seppellire il proprio figlio.
Quando un incidente, una disgrazia inverte l’ordine naturale delle cose, costringendo una madre a piangere la morte di figlio, nulla sarà come prima.
Se poi l’incidente è stato provocato dalla stessa donna, il senso di colpa misto all’immane dolore può devastare anche la mente più forte e sana.
Taneil Mustonen insieme con l’altro sceneggiatore Hyvarinen aprono il loro script, raccontandoci l’orrore più grande: lo straziante dolore di una madre magistralmente incarnato da Teresa Palmer.
Il regista pone una serie di domande esistenziali allo spettatore dando spazio alle immagini rispetto alla parola, conferendo così maggiore gravità, angoscia e crudezza al travaglio interiore vissuto dai protagonisti
Una madre può resistere al dolore, al senso di colpa? Una madre può avere la forza d’andare avanti per amore del figlio sopravvissuto?
Trasferendosi dall’altra parte del mondo, in tranquilla ed apparente accogliente cittadina della Finlandia, una famiglia può ritrovare un senso, un equilibrio, la serenità perduta?
“The Twin” presentato come un horror, si rivela ben presto qualcosa di diverso, più vicino ad un thriller psicologico avendo anche una componente religiosa
L’intreccio si sviluppa per tre quarti del film su tre principali tematiche : elaborazione del lutto, presenza maligna ed apparente ostilità della comunità.
Tre elementi narrativi che gli autori hanno mescolato ed alternato nella scrittura dando vita ad una storia magari originale , mai banale e noiosa.
Ma nonostante l’apprezzabile sforzo creativo, il film scivola via sequenza dopo sequenza all’interno di una cornice di racconto già ampiamente vista.
I fan dell’ horror potrebbero provare un senso di delusione di fronte ad una visione più introspettiva che sovrannaturale.
Teresa Palmer si carica sulle spalle l’intero peso del film, dimostrando talento, presenza scenica e personalità nell’indossare i panni di una madre sospesa tra dolore e paura.
Il personaggio di Rachel è la chiave di volta per comprendere, scoprire quale sia la mission finale degli autori.
Rachel è pazza di dolore o davvero l’altro suo figlio è in grave pericolo?
La mente umana è un filo sottile e se da una parte basta poco per spezzarsi , dall’altra per proteggerti da dolore può spingerti dentro una bolla altrettanto pericolosa alla lunga.
“TheTwin” è un film che viaggia sui ritmi piuttosto blandi, per poi accelerare improvvisamente nel finale imponendo allo spettatore un radicale quanto inaspettato cambio di prospettiva sull’intera storia e come la perdita un figlio sia ancora più terribile di una presenza maligna.
X – A Sexy Horror Story, film diretto da Ti West, è ambientato nel 1979 e racconta la storia di una troupe cinematografica, formata da giovani e ambiziosi registi, decisa a girare un film per adulti nelle zone rurali del Texas. Vengono ospitati da una coppia di anziani, proprietari di un’isolata fattoria. Il loro progetto, però, si trasformerà in un incubo, quando i due anziani scopriranno che genere di film stanno realizzando. È così che la troupe si ritroverà a lottare per la propria sopravvivenza.
Recensione:
In ogni campo della vita esiste un prima ed un dopo.
Per gli amanti del porno ( innumerevoli quanto trasversali nella nostra società) ha rappresentato una pietra miliare poter vedere e gustarsi un film sulla TV di casa tramite la rivoluzione dei VHS.
Il mercato dell’ home Video alla fine degli anni 70 ha cambiato usi e costumi di milioni di persone.
Le famose “videocassette” hanno rese “felici” intere generazioni di adolescenti e non.
Il porno ,al netto delle proprie opinioni personali, è uno dei maggiori business cinematografici costantemente in crescita
Anzi oggi , se è possibile, è considerato un genere “quasi autoriale”
La parola “X” indicava per i parametri della censura una visione consigliata agli over 18, essendo presenti scene esplicite di sesso e violenza.
Ty West partendo da queste considerazioni sociologiche /commerciali ha rievocato quel passaggio storico inserendo l’elemento horror in una sceneggiatura variegata ed ambiziosa.
Ci troviamo così davanti ad un intreccio narrativo complessivamente non banale e supportato da uno stile registico intrigante, che inizialmente predispone lo spettatore positivamente alla visione.
L’ intrigante idea di partenza perde forza però nella messa in scena evidenziando come West non sia stato capace di tenere dritta la proprio visione creativa sul film,
“X” alterna infatti momenti di “back stage” cinematografici del film amatoriale ad altri di thriller rurale e spettrale della campagna americana incarnata dalla coppia anziana proprietaria della fattoria
All’inizio del film osserviamo Wayne (Martin Henderson) trasportare sul proprio pullmino la piccola troupe in ua decadente fattoria nel cuore del Texas per girare un nuovo film per adulti .
Un cast artistico composto dalla sua giovane fidanzata Maxine (Mia Goth), Bobby-Lynne (Brittany Snow), l’ex soldato Jackson (Kid Cudi) ed invece come cast tecnico RJ (Owen Campbell) e la sua timida ragazza Lorraine (Jenna Ortega) come fonico
Una fattoria dove vive un’inquietante coppia d’anziani di cui sappiamo poco e nulla.
La “convivenza” tra la troupe e la coppia di coniugi si incrina quasi subito, quando la moglie Pearl rivela d’avere ancora degli insospettabili appetiti ..sessuali.
Le iniziali e provocanti scene di sesso si mescolano nella seconda parte con quelle di splatter “spinto” creando nella struttura , a nostro giudizio, un cortocircuito narrativo.
“X” risulta un film “incompiuto” volendo strizzare l’occhio a due generi così differenti, perdendo alla lunga coerenza e linearità di racconto e soprattutto buona parte dell’attenzione da parte del pubblico.
L’effetto amarcord e il meta cinema funzionano bene nella prima parte solleticando i “pruriti” del pubblico maschile e rievocando i classici dell’horror
La seconda parte invece caratterizzata dallo splatter e brutali esecuzioni si rivela qualcosa di visto e piuttosto confuso ed approssimativo. “X” è quel genere di film che siamo soliti vedere a casa in seconda /terza serata in una domenica torrida d’estate
Il Biglietto d’acquistare per “La mia ombra è la tua” è : Neanche Regalato (Con Riserva)
“La Mia Ombra è la tua” è un film di Eugenio Cappuccio. Con Marco Giallini, Giuseppe Maggio, Anna Manuelli, Sidy Diop, Claudio Bigagli. Drammatico, 107′. Italia 2022
Sinossi:
Emiliano De Vito ha 25 anni, è orfano di padre e ha sempre vissuto “in un bozzolo”: laureato summa cum laude in Lettere Antiche ha scoperto che il suo pezzo di carta non ha valore in un mondo dove la sua generazione “deve solo correre”. Ma arriva l’occasione giusta: fare da assistente a Vittorio Vezzosi, un autore che ha scritto un solo romanzo, “I lupi dentro”, che molti anni prima è stato un caso editoriale. Una influencer, Carlita Cosmay, si è innamorata di quel romanzo e chiede a gran voce un sequel, e i suoi sette milioni di follower formano un’onda inarginabile. Peccato che Vezzosi odi i social e non veda di buon occhio nemmeno l’idea di scrivere il seguito del suo primo e unico successo letterario. A Emiliano toccherà spronarlo (e anche spiarlo, nelle intenzioni dell’editore) perché porti il compito a termine.
Recensione:
È ufficiale: ho un grave problema con gli adattamenti cinematografici di romanzi italiani che la critica e il pubblico hanno dimostrato di apprezzare molto!
Al termine di ogni proiezione mi assale lo stesso, amletico dubbio: gli sceneggiatori si sono presi troppe licenze poetiche e hanno finito per stravolgere quello che era davvero un bel libro oppure quest’ultimo era inadatto a prendere la via del cinema?
Anche nel caso di “La mia ombra è tua” di Eugenio Cappuccio, non avendo letto il romanzo omonimo di Edoardo Nesi, non sono in grado di darmi una risposta. Ma la sensazione dominante è che gli sceneggiatori non abbiano fatto un buon servizio alla carriera di Nesi. continua su
Sarah Sargent Ramberg Elisa Lasowski Luciano Capecchi Francesco Montanari
Mario Capecchi ragazzo :Jake Donald – Crooke
Mario Capecchi bambino Lorenzo Ciamei
Frank Sofia D’Elia
Fratello Ruben Buccella
Anna Rosa Diletta Rossi
Preside Daly Neil Mc Garry
Sinossi:
Seconda guerra mondiale, Alto Adige. Mario ha solo 4 anni quando sua madre viene arrestata dai fascisti. Il piccolo trascorre l’infanzia per strada vivendo di espedienti. Finita la guerra, lui e la madre miracolosamente si ritrovano e ricominciano una nuova vita in America, presso la comunità Quacchera ‘Hill of Vision’. Mario non riesce a inserirsi nel nuovo contesto di normalità, fino a quando non scopre, grazie allo zio scienziato, la passione per la scienza. Basato sull’avventurosa vita di Mario Capecchi, Premio Nobel per la Medicina nel 2007,
Recensione:
Non me ne voglia il Premio Nobel per la Medicina Mario Capecchi, ma esistevano modi migliori per far conoscere al grande pubblico la sua incredibile storia.
Dispiace doverlo scrivere avendo molto stima di Roberto Faenza, ma “Hill of Vision” si candida con notevoli chance d’ entrare nella stretta cerchia dei più brutti film italiani di quest’annata cinematografica.
Presentato dal direttore Felice Laudadio con entusiasmo durante la conferenza stampa di presentazione del Bifest 2022, ero davvero curioso di vederlo avendo alte aspettative.
Le potenzialità narrative erano ambiziose quanto giustificate volendo raccontare la una storia di resilienza , forza e coraggio di un bambino di 5 anni capace da solo di resistere e sopravvivere alla povertà, fame e privazioni ,diventando da adulto un premio Nobel.
Quel tipo di storie che piacciano tanto agli americani al punto di realizzarne spesso biopic dal grande valore umano oltre che artistico.
Una storia stavolta tutta italiana, incentrata sull’infanzia e prima adolescenza di Mario Capecchi che durante la seconda guerra mondiale si ritrovò di fatto “orfano” , trovando dentro di sé la forza per non soccombere alle avversità.
Una scritta all’inizio del film dichiara apertamente che questa storia ispirata è stata scritta “raccogliendo” i ricordi di Mario Capecchi
I ricordi sono importanti, preziosi rappresentando la memoria di ogni individuo, ma sono altresì personali, soggettivi, sono influenzati dai sentimenti e sensazioni provate all’epoca.
I “ricordi” di Mario Capecchi sono stati “trasportati”in scrittura dagli sceneggiatori senza però compiere quel necessario ed opportuno lavoro di pulitura e distacco emotivo dallo stesso protagonista.
Il risultato è stato l’ involontario quanto mortificante riduzione dell’interesse e coinvolgimento da parte dello spettatore. Trovandosi così quest’ultimo di fronte un biopic edulcorato, buonista e retorico come se fosse in atto la beatificazione in vita del premio Nobel.
“Hill Of Vision” è un film piatto, monocorde nonostante siano raccontati, mostrati episodi dolorosi, strazianti e pericolosi vissuti dal Capecchi bambino.
E ’un’esperienza al limite per chiunque figurarsi per un bambino e poi pre adolescente, eppure Mario Capecchi non si arrese mai potendo contare sull’amicizia di altri orfani di guerra divenuti suoi cari amici come Frank ( merita un menzione positiva la brava e credibile Sofia D’Elia) ed il fratello.
“Hill of Vision” si presenta alquanto deficitario ed approssimativo nell’approfondire le difficoltà cognitive e caratteriali avute dal protagonista come conseguenza dell’ infanzia traumatica.
Anche l’ intenso , profondo quanto straziante rapporto intenso tra Mario e sua madre viene evocato con un taglio da film tv della domenica sera su Rai 1 .
Lucy Ramberg era una donna bella, un ‘artista, forte, che si oppose al fascismo, pagandone un prezzo altissimo.
Arrestata e spedita nel campo di concentramento di Dacau, seppe resistere ad ogni tipo di tortura .
Portò Mario in America assicurandoli un futuro, prima di chiudersi nel suo mondo di dolore.
Il dolore e sacrificio di una madre si vede e soprattutto si sente poco nel film.
Mario Capecchi arrivò totalmente analfabeta in America e valutato inadeguato agli studi dai suoi primi insegnati.
Inutile sottolineare come il tempo abbia stabilito chi fossero davvero “inadeguati”, ma anche in quest’ultimo spezzone di racconto, il film non convince mai, ripiegandosi su luoghi comuni e clicke.
“Hill of Vision” è una visione decisamente noiosa oltre che lenta, ma al netto delle molteplici criticità elencate, offre lo spunto per avvicinarsi alla vita ed opere di un grande uomo oltre che scienziato come Mario Capecchi e prima ancora del bambino Mario capace di insegnare a tutti noi il senso più autentico delle parole resistenza e coraggio
“Casablanca Beats” è un film di Nabil Ayouch. Con Ismail Adouab, Nouhaila Arif, Samah Baricou, Abdelilah Basbousi, Anas Basbousi. Drammatico, 101′. Marocco, Francia 2021
Sinossi:
In un quartiere popolare di Casablanca arriva Anas, un ex rapper che ha ottenuto un incarico di insegnamento in una scuola ad indirizzo artistico che ha al vertice una direttrice piuttosto rigida. Anas non ha una casa e dorme in macchina ma in classe si presenta come un docente che non rinuncia a pretendere risultati dagli allievi, pronto anche a trattarli con durezza verbale quando gli presentano esibizioni di hip hop velleitarie.
Recensione:
Si può fare musica “alternativa” (che sia rap, hip hop o simili) in Tunisia? I rapper e i giovani che si cimentano possono parlare di tutto oppure ci sono ancora argomenti considerati tabù (come ad esempio la religione)?
“Casablanca beats” del regista Nabil Ayouch, presentato in concorso a Cannes 2021, getta luce sull’argomento, con una storia che è una via di mezzo tra “Saranno famosi” e “L’attimo fuggente”. continua su
“Elvis” è un un film di Baz Luhrmann. Con Tom Hanks, Austin Butler, Luke Bracey, Dacre Montgomery, Richard Roxburgh. Biopic. USA 2022
Sinossi
Nascita, crescita, apoteosi e inizio di declino di Elvis Aaron Presley, il mito di più generazioni, vengono raccontati e riletti dal punto di vista del suo manager di tutta una vita: il Colonnello Tom Parker. È lui che accompagna, con voce narrante e presenza in scena, la dirompente ascesa di un’icona assoluta della musica e del costume mentre si impegna, apertamente ma anche in segretezza, per condizionarne la vita con il fine di salvaguardare la propria.
Recensione:
Negli ultimi anni Hollywood si è buttato a capo fitto sui biopic delle leggende musicali – “Bohemian Rhapsody” di Bryan Singer e Dexter Fletcher del 2018 e “Rocketman“, sempre di Fletcher, del 2019 due recenti esempi riusciti del filone
Ma se raccontare la vita di un mito è complicato, figurarsi quella del Re! Baz Luhrmann ha deciso di cimentarsi nella sfida, portando sul grande schermo la parabola di Elvis Presly, dalla nascita all’apoteosi fino all’inizio del declino. Era una sfida complessa ed eccitante, e c’era grande attesa a Cannes. continua su
Il biglietto d’ acquistare per “ La doppia vita di Madeleine Collins” è: Omaggio
“La doppia vita di Madeleine Collins” è un film del 2021 scritto e diretto da Antoine Barraud, con : : Virginie Efira, Quim Gutiérrez, Bruno Salomone, Jacqueline Bisset, Nadav Lapid. Sinossi: Judith conduce una frenetica doppia vita tra la Svizzera e la Francia. Da una parte c’è Abdel, con il quale ha una bambina, dall’altra Melvil, con il quale ha due figli più grandi. Un po’ alla volta però questo delicato equilibrio basato su bugie, segreti e continui andirivieni, comincia ad incrinarsi. Intrappolata, Judith decide di fuggire da tutto ma la situazione precipita e va fuori controllo. Recensione: Le bugie hanno le gambe corte dice un saggio proverbio. Tutti mentono citando il cinico Dr House. Potremmo aprire un infinito simposio morale /filosofico sulle diverse sfumature e tipologie di bugie e se siano giustificabili le bugie dette per un bene superiore. C’è differenza di gravità se il bugiardo è un uomo o una donna? Ed ancora se un uomo ha una doppia vita, figli, matrimoni è sovente un mascalzone. E se fosse invece una donna ad avere segreti inconfessabili ? “Madeline Collins” di Antonie Barraud in concorso alle Giornate degli Autori prova a dare una risposta a questi controversi e delicati quesiti mettendo in scena un thriller psicologico dove la bellezza e personalità di Virgine Efira non sono però sufficienti a salvare da una complessiva mediocrità un progetto inadeguato alle aspettative artistiche di partenza. Judith è moglie, madre, traduttrice affermata. E’ il prototipo della femminista e della donna realizzata. Peccato che Judith abbia deciso di “raddoppiare” questa perfezione , dividendosi contemporaneamente con due famiglie. Judith ha pianificato tutto nei dettagli, muovendosi in agilità tra la Svizzera e Francia senza mostrare fatica, incertezza, dubbi. Inizialmente ci si convince la sensazione che le due famiglie siano “ignare” della doppia vita di Judith, chiuse nelle rispettive botte costruite con bravura e furbizia dalla donna. Lo spettatore è colpito dalla freddezza e capacità di mentire della donna, capace d’uscire da qualsiasi situazione od impasse. Ci si interroga perché questa donna abbia scelto di correre il rischio di perdere tutto. Virginie Efira è brava nel calarsi nei panni di Judith, una donna indecifrabile quanto dolce ed appassionata allo stesso tempo. L’intreccio narrativo dopo un inizio promettente in cui suspense e colpi di scena si alternano magistralmente illudendoci di poter vedere un film originale e con una donna nelle inedite vesti di “mascalzone”, la storia si perde, inciampa nei suoi stessi segreti e non detti. Un cortocircuito di bugie che si rivela decisamente insostenibile alla lunga sotto ogni aspetto, facendo “deragliare” la storia da thriller di genere ad melodramma familiare stiracchiato . Efira nonostante l’impegno profuso non è in grado di tenere la “barra dritta” di un film in caduta libera, cedendo anche lei alla distanza. Judith mente per amore, solitudine, generosità o financo per un sentimento di folle noia? Lo spettatore alla fine del film trarrà le sue personali considerazioni, dicendo addio Judith ed augurando una vita più semplice a Madeleine Collins..
“Il Fronte Interno” è un film scritto e diretto da Guido Acampa, liberamente ispirato al romanzo ‘Santa Mira, fatti e curiosità dal fronte interno’ di Gabriele Frasca, con : Luigi Iacuzio, Betti Pedrazzi, Autilia Ranieri, Nello Mascia e Antonello Cossia. Sinossi: Il film racconta i fragili equilibri di una famiglia che vive in una remota località da dove decollano jet italiani diretti in Iraq, durante la cosiddetta ‘guerra al terrorismo’. Da Gaudì, introverso conduttore di cani a Dalia, ossessionata dalla guerra e preoccupata per le condizioni di un padre anziano. Da Damiano, che ha dedicato la vita alla passione politica e a tante battaglie puntualmente perse, a ‘Santa Mira’, che vive con distanza la partecipazione a una guerra che genera dubbi e paure, ‘Il fronte interno’ oscilla tra l’evoluzione di contrasti familiari mai risolti e un conflitto internazionale che vibra sulle loro teste.
Recensione: Non è stato semplice per il sottoscritto “inquadrare” questa pellicola Ed è altrettanto inutile girarci intorno non confessare che “Il Fronte Interno” di Guido Acampa si presta a diverse letture sul piano narrativo, simbolico oltre che stilistico. Una scelta cinematografica che raramente coincide con i primi posti del Box Office Il titolo stesso racchiude la volontà autoriale di raccontare le dinamiche, difficoltà e soprattutto fratture presenti all’interno di una famiglia che ha smesso di parlarsi. La guerra al terrorismo , il rumore dei caccia americani sono utilizzati come pretesto drammaturgico per indagare, mostrare l’inquietudine e fragilità di una piccola comunità sospesa nel tempo e nello spazio. Lo spettatore fatica nel comprendere se ciò che avviene sullo schermo sia reale o parte di un immaginario di un personaggio e/o collettivo, ciò nonostante rimane colpito da una particolare quanto affascinante modo di fare cinema del regista che si distacca meritoriamente dalla pigra creatività di molti suoi colleghi. Guido Acampa rischia coraggiosamente nel realizzare un film che poteva cadere nell’ autoreferenzialità o bollata come “una supercazzola” in stile “Amici miei”-. “Il Fronte Interno” si prende i suoi tempi, silenzi, simboli dimostrando d’avere come punti di riferimento registi di fama come Terence Malick e David Linch. Lo spettatore non cerchi il senso di quella scena o il rigore della ragione, ma piuttosto si avvicini all’opera di Acampa avendo un’apertura mentale all’indecifrabile quanto sconfinato mondo interiore dell’uomo. La psiche umana può rivelarsi un campo di battaglia, una guerra lunga da sostenere e vincere. Una famiglia rischia di perdersi dentro un fronte interno, se cessa di amarsi e sostenersi. In conclusione “il fronte interno” è una visione magari non per tutti, forse piuttosto complessa e con un’ impostazione più teatrale che cinematografica, ma è un ‘opera prima che non ti lascia indifferente alla fine.