E’ passata un’altra settimana. Parlare per capire. Dove mi porterà questo viaggio?
Ho riflettuto molto sulla mia vita e sui personaggi che hanno ruotato intorno ad essa.
Rivedere come in un film la mia vita, mi sta servendo per capire cosa mi è successo.
Sono nuovamente nella sala d’attesa , aspettando il mio momento. Stavolta il cuore è sereno e la mente è più leggera.
Finalmente la porta si apre e appare lo Splendente. Mi sorride e mi fa cenno d’entrare.
Ciao Melvin, come va? Passata una buona settimana?
Sicuramente è stata più serena. Mi sento meno oppresso.
Molto bene. Allora direi di riprendere il tuo racconto dall’arrivo a Roma con la tua famiglia.
Come fu l’inizio? Hai avuto problemi di adattamento?
Arrivammo a Roma il 18 settembre dell’89, giorno del compleanno di Piero.
Io, per prima cosa, mi fiondai nella mia nuova camera. Dopo dodici anni di convivenza, ottenni l’indipendenza da Piero. Mi affacciai dalla finestra e osservai il viale. Era tutta un’altra vista, rispetto al mio castello magico.
Il giorno dopo sarebbe iniziato il nuovo anno scolastico. Io dovevo frequentare la terza media .
Ero emozionato ma anche preoccupato di dover affrontare un nuovo ambiente.
Giusto per facilitarmi il compito, la sveglia non suonò e mi presentai al mio primo giorno di scuola con oltre mezz’ora di ritardo. Bussai ed entrai in classe. Mi sentivo osservato da tutti.
Mi avvicinai alla cattedra. Il professore era un omone, in apparenza burbero e di poche parole.
Mi presentai e lui, senza alzare gli occhi dal registro, mi disse: “Tu che vuoi? Da dove vieni? Cercati un posto e non rompere”.
Tutta la classe si mise a ridere. Diventai rosso e, con lo sguardo, cercavo dove sedermi.
L’unico posto libero era accanto a un ragazzo, di nome Mario.
Ci presentammo e scoprii che abitavamo a poca distanza l’uno dall’altro.
All’intervallo si avvicinarono gli altri ragazzi per presentarsi e chiedermi notizie.
Uno di loro a bruciapelo mi disse: “Ora sei a Roma, quindi devi tifa’ per forza per la Magica!”.
Gli dissi: “Mi dispiace, ma la Lazio mi è più simpatica”.
Nel corso della giornata conobbi tutti gli altri professori. Mi sembrava di aver superato l’esame. Tornai a casa abbastanza sereno, in compagnia di Mario.
Ma mi sbagliavo di grosso .Passata la curiosità per la novità, in classe venivo preso di mira per il mio accento siciliano e per i miei abiti non alla moda. Nessuno mi rivolgeva la parola.
Forse sarebbe più corretto dire che non riuscivo ad instaurare un dialogo, mi sembravano tutti di un altro mondo, lontani anni luce dal mio modo di pensare e di fare.
Oltre alla difficoltà ambientale, iniziarono i problemi scolastici. Le mie lacune di base si fecero sentire.
La professoressa di matematica un giorno mi chiese: “Ma in Sicilia studiavate matematica?”.
Quella d’italiano, dopo aver letto un mio tema, si mise le mani nei capelli ed esclamò: “Figlio mio, ma qui mancano proprio le basi della grammatica e della sintassi”.
La prof d’inglese, dopo aver ascoltato la mia pronuncia e saggiato la mia conoscenza della grammatica, scrisse addirittura una lettera a mia madre.
Infine la prof di musica, una nevrotica, un giorno mi disse, davanti a tutti: “Sei uno zero, sei proprio uno zero, lo capisci, vero?”.
Alla fine del primo quadrimestre la mia pagella era un vero disastro, mi salvavo solo in storia e geografia.
Mamma era molto preoccupata, i professori pensavano già che non fossi idoneo ad essere ammesso agli esami.
Mi sentivo perso e solo. Passavo le giornate dentro la mia stanza a guardare la tv o a parlare con Mario. Solo il sabato pomeriggio uscivo per andare a Villa Borghese.
Speravo di trovare altri ragazzi con cui giocare a pallone. Papà mi vedeva così e cercava come sempre di risolvere il problema. Arrivava a scuola e cercava di conoscere i miei compagni.
Un giorno vide da lontano una tale Francesca, una ripetente abbastanza carina, e mi disse: “Carina quella ragazza, è una tua compagna?”
Io, temendo le sue iniziative, gli risposi: “No, assolutamente”.
La bugia non resse a lungo, ma il pensiero d’avere papà sempre tra i piedi mi innervosiva.
Un’altra volta, senza neppure consultarmi, invitò a pranzo una tale Piera, una ragazza davvero maleducata e volgare. Fu una giornata orribile. Io non sapevo di cosa parlare, papà era lì con noi, contento di averla invitata.
Poi si convinse che doveva piacermi una certa Anna . “E’ brava, simpatica, ti può a dare una mano a studiare, invitala a casa”.
Cominciavamo a discutere animatamente, io cercavo di arginarlo, ma senza riuscirci.
Una sera litigammo furiosamente perché voleva organizzare una festa a casa. Lo pregai di non farlo. Non mi sentivo a mio agio. Non ci fu verso di fargli cambiare idea. Fu una serata divertente per lui, stressante per me nelle vesti di un padrone di casa costretto a sorridere per forza.
Nel secondo quadrimestre, con l’aiuto della mamma e di qualche ripetizione privata, riuscii a risollevarmi e ottenni l’ammissione agli esami. Nonostante tutto, i professori erano convinti che non avrei superato l’ostacolo. Invece, come spesso mi è capitato nella vita, quando tutti mi danno per spacciato, riesco a stupire per la mia reazione. Feci un esame orale molto brillante.
La stessa prof di matematica dovette ammetterlo. Quella d’italiano, che con il tempo sarebbe diventata amica di famiglia, confessò ai miei: “Ora lo posso pure dire, abbiamo ammesso Mel per un atto di generosità , ma poi ci ha veramente sorpreso. E’ evidente che il ragazzo ha tante potenzialità. Peccato per le sue lacune strutturali”.
Il primo anno passò così .Avevo superato l’ostacolo ma mi sentivo veramente solo. Non vedevo l’ora di tornare in Sicilia per le vacanze.
Lo Splendente annota qualcosa, si versa un po’ di caffè e dice:
Indubbiamente l’impatto con Roma non è stato dei migliori. Le tue incertezze scolastiche hanno reso più difficile ambientarti. Il ruolo dei tuoi genitori con il tema delle donne e dello studio comincia a crearti dei problemi di sicurezza personale e di fiducia. Subisci un vero sradicamento.
I tuoi genitori ti buttano nella fossa dei leoni Pochi avrebbero retto l’impatto Prosegui pure.
Mi verso anch’io un po’ di caffè e sospiro:Ritemprato dal sole siculo, a settembre del ’90 sono pronto ad iniziare l’avventura del quarto ginnasio al liceo Giulio Cesare. Anche stavolta mi trovo in classe con Mario.
L’impatto con la nuova classe non fu esaltante. Era composta dai tipici pariolini, snob e spocchiosi. Tranne qualche rara eccezione, mi facevano venire l’orticaria . Li detestavo cordialmente, era più forte di me.
Con la prof d’italiano e greco fu subito antipatia a prima vista. Mi riteneva, credo, inadeguato al classico. Per carità Dottore, io non brillavo, ma, se c’era da affondare il coltello nella piaga, la prof non esitava. Più di una volta si divertì a correggere il mio compito in classe ad alta voce.
Ricordo ancora le risate dei compagni. Ancora oggi mi chiedo il motivo di tanta cattiveria ed accanimento. Furono due anni terribili. A scuola vivevo alti e bassi. Non riuscivo a legare con nessuno. Continuavo ad vivere in una sorta di isolamento volontario.
Papà non si rassegnava all’idea d’avere un figlio così chiuso e cercava ogni modo per sbloccarmi. Di solito, a quattordici anni, i figli sognano il motorino e assillano i padri per averlo.
Nel mio caso, dovevo respingere le pressioni di papà. A causa della sua insistenza, alla fine cedetti e mi feci regalare la macchina a tre ruote, una novità assoluta, all’epoca.
Mi piaceva l’idea di guidare una similmacchina. Papà, con molta pazienza, mi insegnò ad usarla. Era uno stress per entrambi. Ma per la prima volta facevamo qualcosa insieme. Era rossa, modello Piaggio 50. Ero così contento di usarla per andare a scuola!
Quando arrivavo, tutti mi guardavano come un marziano. Comunque, durante il biennio, più di una volta fui tentato di abbandonare. Non reggevo il ritmo. Le materie mi sembravano più forti di me. Papà mi sosteneva e diceva di farmi riposare un anno. Mamma invece non voleva sentire ragioni e mi spronava a continuare.
Alla fine del quarto ginnasio fui rimandato in latino e greco. L’anno successivo pure, con l’aggiunta dell’inglese. Solo che qui bisogna chiarire un retroscena. Dopo aver superato l’esame di riparazione del primo anno, la simpatica prof mi disse: “Bravo, sei stato promosso, ma guarda che l’anno prossimo ti rimando anche in italiano, dove sei veramente un disastro”.
Puntualmente, agli scrutini del quinto, la prof voleva mantenere l’impegno e fu solo grazie all’intervento della prof d’inglese, che decise di rimandarmi nella sua materia piuttosto che vedere una collega così prevenuta averla vinta, se ciò non accadde.
Il preside, un amico di famiglia, consigliò ai miei di non farmi presentare all’esame, perché la prof era determinata a bocciarmi a prescindere. Perciò feci l’esame in Sicilia, in una scuola privata trovata da papà. Gli ero grato per l’aiuto, ma dentro mi sentivo arrabbiato per la fuga, come se avessi mancato a un impegno.
Anche durante il biennio papà provò a trovarmi la ragazza. All’epoca si fissò con Elsa, una ragazza carina, ma decisamente antipatica. Non avevamo niente in comune.
Invitò lei e la sua famiglia in campagna da noi credo un paio di volte. Mi spingeva a chiamarla o invitarla. Un giorno, dopo un’estenuante litigata casalinga, dovetti chiederle in classe se gradiva dei cachi come dono.
Lei mi guardò come fossi un alieno. Uscivo solo con Mario. Papà ci vedeva e scuoteva la testa. Diceva a Mario: “Diglielo anche tu che dovete uscire con le ragazze. Se no poi vi fate una brutta fama!”.
Lo Splendente, scuote la testa, si accende il sigaro e mi dice:
E’ chiaro che ormai si è creato tra te e tuo padre un conflitto di comunicazione importante.
I suoi interventi sono deleteri. Inoltre, sentirsi dire dai propri insegnanti che sei inadeguato, può provocare dei problemi di sicurezza. Ma non c’era proprio nessuna ragazza che ti piaceva?
Sì, Beatrice, la sorella di un’amica di mio fratello Francesco. Era veramente bella. Aveva un sorriso magnifico. Una carnagione chiara. Il viso luminoso. Aveva occhi marroni, sguardo magnetico.
Era molto civetta, consapevole della propria bellezza. Aveva già tanti spasimanti.
Dal mio punto di vista, era una meta irraggiungibile. Ogni volta che vedevo Beatrice, il mio cuore sobbalzava. In sua presenza diventavo muto o al massimo balbettavo qualche idiozia.
La osservavo da lontano e mi bastava così. Ero arrivato al punto di segnarmi su un foglio tutte le volte che la vedevo o la incontravo. Riuscii ad avere una sua foto e la conservavo con cura nel portafoglio.
Per una volta una parte di me era concorde con papà, quando la invitava a casa o in campagna. Probabilmente aveva intuito qualcosa, infatti mi diceva: “Non devi essere timido, Beatrice è una bella ragazza. Parlale, ora ci organizziamo e la facciamo venire pure in Sicilia”.
Dal canto suo, Beatrice, che aveva intuito il mio interesse, si divertiva a provocarmi: “Ma perché non sei come tuo padre, che è così galante e carino con me?”.
Non riuscivo mai a rispondere a queste provocazioni verbali. Mi chiudevo sempre più a riccio.
Ero anche geloso, quando la vedevo in compagnia di un altro ragazzo, mi sentivo ribollire il sangue. Sapevo che tutto questo non aveva senso. Ma nella mia mente Beatrice era la mia musa.
Per tanto tempo è rimasta nel mio cuore e nella mia mente.
Probabilmente fu la mia prima cotta seria, anche se esclusivamente platonica.
Beatrice ha rappresentato il tuo primo film sentimentale. I blocchi causati da tuo padre ti impediscono di metterti in gioco. Ti crei una fantasia e te ne cibi. Sei inibito e cominci a sentirti inadeguato.
Ho notato che hai citato una casa di campagna più di una volta, me ne vuoi parlare?
Scuoto la testa e stringo il bastone: Raccontare il mio rapporto con mio padre è difficile, Dottore
La casa di campagna è un altro tassello del dialogo, spesso tra sordi, che ci legava
Il prossimo post sarà pubblicato Lunedì 3 Febbraio.