84) 17 anni (e come uscirne vivi)

Il biglietto da acquistare per “17 anni (e come uscirne vivi)” è: 1)Nemmeno regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto (con riserva); 5)Sempre.

Un film di Kelly Fremon. Con Hailee Steinfeld, Haley Lu Richardson, Blake Jenner, Kyra Sedwick, Woody Harrelson, Eric Keenleyside. Commedia, 104′. 2016

Tornare ad avere 17 anni, essere costretto a sopravvivere di nuovo alla scuola e ai compagni, e a soffrire della sindrome del Calimero nerd, è uno dei miei peggiori incubi.

Quelli che invece sostengono che accoglierebbero il ritorno all’adolescenza con piacere, o non sono mai stati giovani oppure mentono sapendo di mentire.

Poche giri di parole: l’adolescenza è un periodo di m***a, che siamo costretti a vivere; un Vietnam emotivo, dove non c’è spazio per la compassione, per la clemenza o per la gentilezza. Nessuno sa essere crudele come un giovane in crescita, soprattutto quando se la prende con un coetaneo per sottrarre se stesso dall’occhio del ciclone.

Esagero? Forse, ma provate a chiudere un attimo gli occhi e tornate indietro con la mente ai vostri diciassette anni. Sicuri di non sentire un leggero brivido di terrore, alla sola idea?

Il cinema ha provato spesso a mostrare al pubblico che cosa provi un ragazzo/a di quell’età, non sempre riuscendo nell’intento.

“17 anni (e come uscirne vivi)” di Kelly Fremon, invece, porta a compimento la missione con efficacia, incisività e delicatezza, merito soprattutto della straordinaria interpretazione di Hailee Steinfeld.

Nadine (Steinfeld) ha 17 anni. È complessata, logorroica, crede di essere la persona più sfigata sul pianeta Terra. Nadine ha perso l’adorato padre per un incidente e ora si ritrova a dover sopravvivere accanto alla nevrotica madre Mona (Sedwick), e al fratello Darian, che è il suo esatto opposto, bello, di successo, benvoluto da tutti.

L’unica ancora di salvezza è la sua miglior amica Krista (Richardson), la sola amica mai avuta da quando è nata. Le due si sono conosciute alle elementari, e da allora non si sono mai separate.

Fino a quando l’impensabile non diventa realtà: Krista perde la testa per il fratello di Nadine. Nadine si ritrova sola, ferita, rischia di implodere, senza avere una guida, una figura paterna a cui aggrapparsi.

L’unico uomo con cui sente di potersi sfogare è il signor Bruner (Harrelson), stralunato ed eccentrico professore di storia.

Nadine sbanda, sbaglia a dare fiducia al classico, fascinoso bad boy, litiga con la madre e solo alla fine si rende conto che il vero principe azzurro è il timido ed educato compagno di classe. continua su

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Roberto Sapienza presenta “Ninni, mio padre”

83) La Verità Vi spiego sull’Amore

Il biglietto d’acquistare per “La verità Vi spiego sull’Amore” è : 1) Neanche regalato 2) Omaggio (Con Riserva) 3) Di pomeriggio 4) Ridotto 5) Sempre.

“La Verità Vi Spiego sull’Amore” è un film del 2017 di Max Croci, scritto da Federico Sperindei con la collaborazione di Enrica Tesio e Corrado Trioni, con: Ambra Angiolini, Carolina Crescentini, Massimo Poggio, Edoardo Pesce, Giuliana De Sio, Pia Engleberth.

L’amore verso il proprio partner è probabilmente il sentimento più bello, intenso e magico che una persona possa provare.
Chi in vita sua non si è concesso il lusso di innamorarsi, decisamente non ha mai vissuto realmente e pienamente.
L’innamoramento è una favola che si ripete o se volete è come una magica liturgia nell’atto dell’incontrarsi, conoscersi, unendo due estranei e spingendoli a creare una vita insieme.
Sfortunatamente come ogni favola anche le unioni, in apparenza, più felici e forti si sgretolano magari durante la crisi del settimo anno.
Non esistono cure per evitare questo dolore, né astuzie per prevenire la fine di un amore e come ripartire, trovandosi anche nella condizione di madre di due bambini piccoli.
Ispirata da una storia, quella di Enrica Tesio blogger (TiAsmo)e poi scrittrice di successo dell’omonimo romanzo, costretta a reinventare la propria vita dopo una dolorosa separazione, ecco arrivare nelle nostre sale la trasposizione cinematografica a firma di Max Croci, al suo terzo lungometraggio.
La vita di Dora (Angiolini) è finita sottosopra quando il compagno Davide(Poggio) l’ha lasciata dopo sette anni di relazione e due figli: Pietro di cinque anni e Anna, di uno. Sopraffatta dalla routine bambini/lavoro, Dora si rifiuta di elaborare e soprattutto comprendere il perché della scelta del compagno. Dora, spronata dalla amica Sara (Crescentini) felice del suo status di single e allergica ai legami, prova a reagire ed uscire dal guscio della depressione affettiva. Il primo passo sarà riappropriarsi del proprio tempo assumendo il bizzarro e buffo babysitter Simone (Pesce), poeta-bidello e nuovo fidanzato di Sara.
Dora può contare, seppure in modo diverso. sull’appoggio delle due nonne: Mimi(Engleberth) sua mamma, libera ed emancipata e Roberta (De Sio), madre di Davide, che si rifiuta di guardare la carta d’identità strizzando ancora l’occhiolino ai baldi e giovani pretendenti.
Non aspettatevi un film che passerà alla storia del cinema italiano, e né che dal punto drammaturgico contenga chissà quali spunti interessanti e memorabili. Premesso ciò, la pellicola di Croci è nel complesso gradevole, divertente e godibile anche se piuttosto che al cinema sarebbe stata più opportuna la sua destinazione direttamente in TV, magari la domenica sera su Rai Uno o Canale 5. continua su

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Vittorio De Agrò presenta “Amiamoci, nonostante tutto”

82) La tartaruga rossa

Il biglietto da acquistare per “La tartaruga rossa” è: 1)Neanche regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto (con riserva); 5)Sempre.

Un film di Michael Dudok de Wit. Animazione, 80′. 2016

Al cinema dal 27 al 29 marzo.

Durante un festival cinematografico capita anche all’inviato più volenteroso di perdersi un film, perché non possiede il dono dell’ubiquità o la forza di affrontare l’ennesima coda, per stanchezza o magari consigliato da un collega che lo ha già visto e bocciato.

“La tartaruga rossa” è uno dei film da festival che mi è sfuggito nel 2016, e non una ma ben due volte – la prima a Cannes nel mese di maggio, la seconda a ottobre alla Festa del cinema di Roma.

In entrambi i casi avevo lunghe liste di pellicole da vedere, per mandato del magazine e per scelta personale, e i “feedback” che avevo ricevuto sulla pellicola giapponese erano tali da spingermi a girare a largo dalla sala.

Ebbene “La tartaruga rossa ” di Michael Dudok de Wit è arrivato nella cinquina dei film d’animazione candidati agli Oscar, accompagnato da un largo consenso di critica. E da cronista curioso quale sono ho finalmente deciso di colmare la mia lacuna, partecipando all’ultima anteprima per giornalisti pigri prima dell’uscita nei cinema il 27, 28 e 29 marzo.

Sebbene manchino del tutto i dialoghi – al loro posto lo spettatore potrà ascoltare i suoni del mare, e quelli spaventosi di un’isola deserta -, il film offre un’esperienza sensoriale emotiva e coinvolgente.

Tutto inizia con il drammatico naufragio di un uomo. Non sappiamo chi sia né da dove venga. Nella mente di chi guarda scatta quasi subito il parallelo con la storia di Robin Crusoe, ma l’accostamento è calzante solo in parte. continua su

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Roberto Sapienza presenta “Ninni, mio padre”

81) Il Labirinto degli Spiriti (Carlos Ruiz Zafòn)

“Il Labirinto degli Spiriti” è un romanzo di Carlos Ruiz Zafon e pubblicato da Mondadori per la prima volta in Itala nel novembre 2016.
È stato innamoramento letterario fulminante per il sottoscritto quando lessi anni fa “L’ombra del vento” dello scrittore spagnolo.
Mi colpì la forza, lo stile, il talento di Zafon di rompere le regole drammaturgiche finora conosciute creando uno straordinario e profondo legame tra il lettore e la storia da lui creata.
Il lettore veniva travolto dalle parole e coinvolto in un intreccio narrativo, che sebbene complesso ed articolato, dava la sensazione di scorrere fluido, semplice e chiaro.
Aspettavo con grande ansia e fiducia il nuovo libro di Zafon, felice di poter tornare nella Barcellona magistralmente costruita ed immaginata, perdendomi ancora una volta in un thriller gotico, misterioso ed intenso, in cui tutto ruota intorno all’amore per i libri.
Ebbene, dopo aver terminato la lettura de “Il Labirinto degli Spiriti”, provo, ahimè, la stessa sensazione che sente un cuoco quando ha sfornato una ciambella senza il buco.
Il voluminoso (815 pagine) e complesso romanzo di Zafon è sicuramente l’ulteriore conferma della creatività, fantasia ed ingegno dell’autore, ma allo stesso tempo evidenzia, forse, un atto di presunzione e civetteria artistica dell’uomo.
Zafon, forte dei meritati consensi di pubblico e critica, dà vita a un romanzo che sembra bearsi di sé stesso e della sua struttura narrativa articolata e suddivisa in più sotto storie.
Il lettore affronta le numerose pagine faticando a trovare un chiaro e preciso filo rosso narrativo, dovendo passare da un personaggio all’altro e sforzandosi di ricordare tutte le storie annesse.
La lettura risulta così non facile, naturale e spontanea, ed imponendo al lettore uno sforzo di memoria, se non addirittura di dover prendere appunti su un taccuino.
Non si discute ovviamente la bravura di Zafon di creare nuovi personaggi e di dargli anima e credibilità ed umanità, quanto però di averne messi troppi in scena, senza che il lettore possa entrarci in empatia fino in fondo.
Sarebbe stato opportuno, a mio parere, asciugare e ridurre la storia di qualche centinaio di pagine e soprattutto di rendere il finale meno frettoloso e maggiormente incisivo sul piano del pathos e ritmo narrativo.
“Il Labirinto degli Spiriti” resta comunque un romanzo da leggere non solamente per i già fan d Zafon, ma anche per chi ancora non ha avuto modo di conoscerlo ed apprezzarlo, rassicurandoli che Zafon è stato capace di scrivere libri davvero unici nel suo genere e magari d’approfondirlo in precedenti romanzi.

Roberto Sapienza “Ninni, mio padre”

80) In Treatment- Stagione Finale

” In Treatment” è una serie ideata da Hagai Levi. Con Sergio Castellitto, Margherita Buy, Domenico Diele, Brenno Placido, Giulia Michelini, Giovanna Mezzogiorno. Drammatico. 2013-2017

3 stagioni – 35 episodi a stagione

Essere teledipendenti, per alcuni, è una vera e propria patologia, qualcosa di poco sano.

Ma è davvero così sbagliato amare mamma TV? La risposta, se chiedete a Sky, sarà no, tanto da aver puntato con sempre maggior insistenza sul settore, producendo anche serie in proprio.

Una di queste è “In treatment”, ideata in origine dall’israeliano Hagai Levi e poi brillantemente proposta in America con protagonista l’intenso Gabriel Byrne per tre stagioni.

Dal 17 maggio 2013 lo spettatore italiano ha avuto modo di conoscere lo psicanalista dottor Giovanni Mari (Sergio Castellitto) e di entrare dentro la sua vita personale e soprattutto professionale assistendo, come terzo incomodo, alle sedute settimanali con i suoi pazienti.

Le prime due stagioni sono state un grande successo di pubblico e di critica, e nell’ormai famoso studio sono sfilati volti noti come Valeria Golino, Michele Placido, Barbora Boboulova, Isabella Ferrari, Valeria Bruni Tedeschi

“In treatment” ha in parte cambiato le regole delle serie TV, sancendo la superiorità della parola sull’azione ed esaltando il talento del singolo attore, chiamato a dare anima e corpo al proprio personaggio rimanendo seduto sul divano.

La sceneggiatura – accurata, attenta, profonda, incisiva – si è da subito rivelata la vera forza della serie. A questa va aggiunta la novità di accendere i riflettori sulla figura del terapeuta, che fino ad oggi aveva avuto un ruolo secondario al cinema e in TV.

La seconda stagione si era chiusa con la sofferta decisione del dottor Mari di abbandonare la professione, interrompere la complessa e conflittuale terapia ventennale con il suo mentore Anna De Sanctis (Maglietta) e separarsi dalla moglie, lasciando scosso e incuriosito lo spettatore.

A partire dal 25 marzo scopriremo finalmente cos’è successo. Su Sky Atlantic andrà infatti in onda la terza e ultima stagione della serie – e per chi non potesse seguire le uscite settimanali il sabato, ci sono diversi altri modi per non perdere neppure un episodio.

Accanto a Castellitto, un cast di altissimo livello e completamente rinnovato: Margherita Buy (Rita), Domenico Diele (Padre Riccardo), Giulia Michelini (Bianca), Giovanna Mezzogiorno (Adele, la nuova psicoanalista di Mari) e Brenno Placido (Luca).

Tra le novità, l’introduzione di due nuovi personaggi, Padre Riccardo e Bianca, che contraddistinguono l’adattamento italiano rispetto a tutte le altre versioni. È la prima volta che questo accade in quella che è stata definita anche dal creatore Hagai Levi, la migliore versione internazionale del format “Be Tipul”. continua su

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Vittorio De Agrò e Cavinato Editore presentano “Essere Melvin”

79) Vieni a vivere a Napoli

Il biglietto da acquistare per “Vieni a vivere a Napoli” è: 1)Neanche regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto; 5)Sempre.

Un film a episodi di Gudo Lombardi, Francesco Prisco, Edoardo De Angelis. Con Gianfelice Imparato, Miriam Candurro, Massimiliano Gallo, Giovanni Esposito, Valentina Lapushova. Film a episodi, 88′. 2017.

Oggi come non mai i temi dell’immigrazione e dell’integrazione tra culture diverse sono al centro del dibattito quotidiano, in tv ma anche al bar.

Gli italiani sono un popolo di razzisti oppure sanno ancora accogliere ed essere compassionevoli nei confronti di chi è meno fortunato? Probabilmente non esiste una risposta univoca alla domanda. Le due anime convivono, confermando ancora una volta la nostra natura contraddittoria.

Tra le città italiane nessuna meglio di Napoli rispecchia questa duplicità dell’atteggiamento italiano. Eppure Napoli è anche un universo a sé, dove bellezza e orrore, magia e cinico realismo convivono; un luogo dove tutto è possibile e dove lo straniero può finire per risultare più civile di chi, in quella città, ci vive da sempre.

Stiamo esagerando? Può essere, ma i tre registi di “Vieni a vivere a Napoli” raccontano al pubblico, con garbo e ironia, proprio come nel capoluogo campano gli stranieri vengano accolti e messi nelle condizioni di crearsi un’esistenza decorosa, calandosi al contempo perfettamente nella mentalità partenopea.

Una mentalità in parte lavativa e pigra, come si vede nel personaggio di Nino (Imparato), portiere in uno stabile, che rifiuta l’idea di lavorare e sogna di poter vivere con la pensione d’invalidità della sorella.

Nino è razzista, qualunquista, ossessionato dall’amianto, eppure quando dovrà occuparsi del piccolo Yang scoprirà, sorprendendosi, che non tutti gli extracomunitari sono come lui immaginava. Lo spettatore segue le vicende dell’inedita coppia e sorride per la capacità del bambino di sciogliere il cuore del burbero Nino. continua su

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Vittorio De Agrò presenta “Amiamoci, nonostante tutto”

78) Slam tutto per una ragazza

Il biglietto da acquistare per “Slam – Tutto per una ragazza” è: 1)Neanche regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio (con riserva); 4)Ridotto; 5)Sempre.

Un film di Andrea Molaioli. Con Ludovico Tersigni, Barbara Ramella, Jasmine Trinca, Luca Marinelli, Pietro Ragusa, Fiorenza Tessari, Lidia Vitale, Fausto Sciarappa, Gianluca Broccatelli, Tony Hawk. Drammatico, 100′. 2016

Tratto dal romanzo omonimo di Nick Hornby.

Mi piace lavorare con il caporedattore Roberta Turilazzi. Pur non avendo avuto, dopo tre anni di collaborazione, modo di conoscerci di persona è nata tra noi una bella e proficua intesa lavorativa e, spero, anche un’amicizia.

Roberta ha un difetto però: non ha ancora compreso fino in fondo quanto io sia diversamente ignorante e quanti pochi libri abbia letto. E così, in maniera indefessa, mi manda in giro per festival e non a recensire film tratti da romanzi che immagino lei abbia amato.

Conosco lo scrittore Nick Hornby e, udite udite, ho anche letto alcuni suoi lavori, ma non “Tutto per una ragazza”, da cui il regista Andrea Molaioli ha preso spunto per l’adattamento cinematografico.

Evito per questo motivo di addentrarmi in paragoni tra il romanzo e il film, e di sviscerare le differenze tra i due format, se ce ne sono.

La prima cosa che mi sento di evidenziare è che proponendo al pubblico italiano un romanzo dell’inglese Hornby se ne snatura in parte la forza e lo spirito narrativo.

La sensazione che si ha mentre si susseguono le scene e conosciamo storia e personaggi è che ci sia una certa forzatura nella loro costruzione e nella resa stessa della struttura narrativa.

Samuele (Tersigni) ha sedici anni e una grande passione per lo skateboard. Passa le sue giornate con gli amici tra salti, evoluzioni e cadute, e coltiva un’amicizia tutta immaginaria con il suo eroe, Tony Hawk, il più grande skater di tutti i tempi. continua su

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Roberto Sapienza presenta “Ninni, mio padre”

77) In viaggio con Jacqueline

Il biglietto d’acquistare per “In viaggio con Jacqueline” è : 1) neanche regalato 2) Omaggio 3) Di pomeriggio 4) Ridotto 5) Sempre.

“In viaggio con Jacqueline” è un film del 2017 diretto da Mohamed Hamidi, scritto da Mohamed Hamidi, Alain-Michel Blanc, Fatsah Bouyahmed, con: Fatsah Bouyahmed, Lambert Wilson, Jamel Debbouze, Hajar Masdouki.
Non sempre le imprese leggendarie e straordinarie devono essere compiute da eroi o da uomini dotati di carisma, fascino e personalità.
Anzi vi dirò di più, molto spesso sono le persone comuni, anonime, insignificanti a firmare pagine uniche ed indimenticabili di vita.
Che cosa eleva un uomo qualunque a protagonista di un’avventura incredibile?
Semplicemente inseguire un sogno e realizzarlo. È quello che decide fare Fatah(Bouyahmed), contadino di un piccolo paese algerino, che non ha occhi che per la sua mucca Jacqueline, e da anni sogna farla partecipare al Salone dell’Agricoltura di Parigi. Quando finalmente arriva l’invito tanto desiderato, la piccola comunità del paesino decide di autotassarsi aiutando Fatah a realizzare il suo sogno. Ciò nonostante i soldi sono pochi e il nostro prode contadino decide una volta giunto in traghetto fino a Marsiglia di attraversare a piedi insieme con Jacqueline la Francia. Sarà l’occasione per un’avventura fatta di incontri sorprendenti, imprevisti nuove amicizie.
“In viaggio con Jacqueline” lo potremmo definire una sorta di “Alice nel paese delle meraviglie” in versione agreste, per come il nostro Fatah si relaziona, si emoziona e reagisce nella scoperta della Francia e soprattutto degli usi e costumi del popolo francese.
Il regista algerino Mohamed Hamidi e gli altri due autori hanno scritto una sceneggiatura semplice, lineare, ben scritta che evoca nello spettatore da una parte la sensazione di una favola moderna dove il protagonista si muove tra ingenuità e candore e dall’altra mettono in scena un road movie divertente, godibile e in qualche modo di sapore politico mostrando come sia possibile l’integrazione tra un islamico moderato per non dire bonaccione e l’occidente, creando le basi per sincere e convinte amicizie. continua su

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Vittorio De Agrò presenta “Amiamoci, nonostante tutto”

76) Elle

Il biglietto da acquistare per “Elle” è: 1)Neanche regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto (con riserva); 5)Sempre.

Un film di Paul Verhoeven. Con Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Virginie Efira, Christian Berkel, Anne Consigny. Drammatico, 2016

Tratto dal romanzo “Oh…” di Philippe Djian.

Paul Verhoeven è un regista che nel corso della sua carriera ci ha abituato a pellicole che spaziano tra i diversi generi cinematografici, senza mai mancare di talento. Molti dei suoi film sono diventati dei cult – su tutti “Basic instict” e “Robocop”.

Il vecchio leone olandese conferma ancora una volta il suo talento, presentando in concorso al Festival di Cannes “Elle”, un film particolare e divertente, assai difficile da collocare.

Nella prima scena lo spettatore assiste al brutale stupro subito da Michelle (Hupper) da parte di un uomo incappucciato. Invece di chiudersi in se stessa, la donna va avanti con la sua vita – è l’affermata manager di una società di videogiochi –, come niente fosse accaduto.

Dopo questa premessa potreste aspettarvi una pellicola drammatica e introspettiva, incentrata sull’elaborazione del dolore. Invece il film assume fin da subito i toni della commedia noir o, se preferite, dell’assurdo, viste le reazioni e i comportamenti poco convenzionali della protagonista.

Michelle ha in sé alcuni tratti della sociopatica, come il padre che trent’anni prima ha massacrato degli innocenti, e per questo fatica a gestire i rapporti con la famiglia e l’ex marito. La donna non vuole denunciare quanto le è successo, per evitare qualsiasi forma di pubblicità negativa. Vuole però scoprire l’identità del suo aggressore, avendo sviluppato per lui una sorta di strana sindrome di Stoccolma.

La sceneggiatura è ben scritta, sarcastica, pungente, mescola con efficacia dramma e commedia. Paradossalmente il limite sta nell’assenza di una vera identità drammatica, che finisce per penalizzare la completa riuscita del film. “Elle” diverte, con un’ironia feroce e surreale, e nello stesso tempo mostra il lato peggiore, più animalesco, dell’essere umano. continua su

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Vittorio De Agrò e Cavinato Editore presentano “Essere Melvin”

75) Non è un paese per giovani

Il biglietto da acquistare per “Non è un paese per giovani”: 1)Neanche regalato (con riserva); 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto; 5)Sempre.

Un film di Giovanni Veronesi. Con Filippo Scicchitano, Giovanni Anzaldo, Sara Serraiocco, Sergio Rubini, Nino Frassica. Drammatico, 105. 2017

In uscita nelle sale il 23 marzo.

Dopo aver visto in anteprima stampa “Non è un paese per giovani” il sottoscritto ha due certezze: la prima è che le nuove generazioni hanno smesso di credere in un futuro nel nostro Paese. La seconda, che il simpatico regista toscano Giovanni Veronesi aveva bisogno di fare una vacanza, spesata, a Cuba.

Non è ovviamente nostra intenzione mancare di rispetto a Veronesi e ai due giovani sceneggiatori che hanno, con impegno, professionalità e passione, elaborato e scritto questa storia, traendo ispirazione dalla fortunata trasmissione radiofonica condotta dallo stesso regista e dall’amara realtà italiana.

I giovani trovano oggi sempre meno spazio e opportunità, in Italia, per dimostrare il loro talento. Per questo sono costretti a emigrare, un po’ come fecero i loro bisnonni nel secolo scorso, alla ricerca di un posto al sole tutto per loro.

Sandro (Scicchitano) ha poco più di vent’anni, è gentile, a volte insicuro, e il suo sogno segreto è quello di diventare uno scrittore. Luciano (Anzaldo), invece, coraggioso e brillante, ha un misterioso lato oscuro.

I due si incontrano tra i tavoli del ristorante dove lavorano come camerieri, precari e senza prospettive come tanti coetanei. Decidono allora di unire sogni e aspirazioni, e cercare un futuro migliore a Cuba. L’idea è aprire un ristorante italiano che offra ai clienti anche una connessione wi-fi, merce ancora rara sull’isola.

Cesare (Rubini), padre di Sandro ed edicolante sui generis, nonostante lo scetticismo aiuta economicamente il figlio a realizzare questa sorta di viaggio della speranza.

A Cuba i due ragazzi fanno la conoscenza di Nora (Serraiocco), un’italiana che per amore ha deciso di trasferirsi, restando segnata nel corpo e nell’anima dal tragico epilogo della sua storia.

L’improbabile terzetto si trova a confrontarsi con i propri demoni, con la fascinosa e seducente Cuba a fare da palcoscenico a questo cruciale passaggio emotivo ed esistenziale.

“Non è un paese per giovani” risulta, sul piano drammaturgico e strutturale, alquanto debole, confusionario e pasticciato, con il suo aver voluto unire con poco raziocinio troppe tematiche e suggestioni, passando dal dramma generazionale a una sorta di “Fight Club” cubano.

Il risultato è un mix caotico, privo di una precisa e chiara identità, ma nonostante l’occasione mancata qualcosa da salvare c’è. continua su

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Roberto Sapienza presenta “Ninni, mio padre”