Melvin è un ragazzo di trent’anni appassionato di fiction. Guardando la TV si innamora dell’Aspirante Diva e decide di conoscerla. Anni dopo Melvin racconta la sua storia allo Splendente, il suo psichiatra. Il tempo è galantuomo.
Il biglietto d’acquistare per “Una vita in Fuga” è : neanche regalato (Con Riserva)
“Una Vita in Fuga” è un film del 2021 diretto da Sean Penn
Con Katheryn Winnick, Sean Penn, Josh Brolin, Miles Teller, Eddie Marsan, Norbert Leo Butz. Drammatico, 107′. USA 2021
Sinossi:
John Vogel è nato il giorno della bandiera (14 giugno) e sotto una cattiva stella. Truffatore ispirato, sogna un grande futuro per sé e la propria famiglia, soprattutto per Jennifer, la figlia maggiore e prediletta. Padre carismatico, quando non è altrove, promette una vita vissuta come un’avventura. Il resto del tempo accumula i debiti e i rischi di una vita oltre i confini della legalità. Egoista e bugiardo, lascia moglie e figli una notte d’estate voltandosi indietro solo una volta, per guardare la sua Jennifer che non smetterà mai di cercarlo come la polizia di inseguirlo.
Recensione:
Dopo quello di Nadav Lapid (ne ho parlato qui), ecco subito un altro “caso” scuotere il Festival di Cannes 2021, alimentando le polemiche dei critici e soprattutto i miei dubbi su quali siano i criteri adottati dal buon Frémaux nel selezionare i film per il concorso ufficiale.
Difficilmente riuscirò a svelare il mistero dei criteri, ma quello che posso affermare con certezza è che a Cannes devono avere un debole per Sean Penn – oppure un debito da salvare, chissà. Perché, artisticamente parlando, le sue ultime due presenze non si spiegano.
Nel 2016 “The Last Face” fu probabilmente il film più insulso della kermesse – all’epoca lo definii “un brutto film senz’anima” – che faceva quasi ridere il pubblico anche quando in scena c’era la sempre bellissima Charlize Theron completamente nuda. All’epoca delle riprese l’attrice e il regista stavano insieme, ma quando sbarcarono sulla Croisette erano già ai ferri corti – per la bruttezza del girato, malignò qualcuno.
Questa volta Sean Penn ha preferito concentrarsi su un rapporto padre-figlia, eppure sembra comunque aver perso il suo tocco magico. “Una vita in fuga” (Flag Day), ispirato a una storia vera, risulta inutile, noioso, prevedibile nello sviluppo.
L’idea era quella di raccontare il rapporto tra John Vogel, il più grande falsario americano, e la figlia Jennifer. E di consacrare anche, en passant, Dylan Penn nell’Olimpo dei grandi, come i celebri genitori (Sean e Robin Wright). Il risultato, invece, è che la ragazza ne esce con le ossa rotte, dopo essere stata praticamente buttata nel vuoto. Senza paracadute. continua su
“L’equazione del cuore” è un romanzo scritto da Maurizio De Giovanni e pubblicato da Mondadori editore nel Febbraio 2022 Sinossi: Dopo la morte della moglie, Massimo, professore di matematica in pensione, vive, introverso e taciturno, in una casa appartata su un’isola del golfo di Napoli. Pesca con metodo e maestria e si limita a scambiare rare e convenzionali telefonate con la figlia Cristina, che vive in una piccola città della ricca provincia padana. A interrompere il ritmo di tanto abitudinaria esistenza la notizia di un grave incidente stradale: la figlia e il genero sono morti, il piccolo Checco è in coma. Massimo deve assolvere i suoi doveri. Crede, una volta celebrata la cerimonia funebre, di poter tornare nella sua isola, e lasciare quel luogo freddo e inospitale. Non può. I sanitari lo vogliono presente accanto al ragazzino che giace incosciente. Controvoglia, il professore si dispone a raccontare al nipote, come può e come sa, la “sua” matematica, la fascinosa armonia dei numeri. Fuori dall’ospedale si sente addosso gli occhi della città, dove lo si addita, in quanto unico parente, come tutore del minore, potenziale erede di una impresa da cui dipende il benessere di molti. Da lì in poi quanto mistero è necessario attraversare? Quanto umano dolore bisogna patire? Per arrivare dove? Maurizio de Giovanni scrive una delle storie che ha sempre sognato di raccontare. E ci consegna a un personaggio, tormentato e meravigliosamente umano, messo dinanzi al mistero del cuore. Recensione: Ci si può realmente isolare dalla vita, dagli affetti, dalle responsabilità? La perdita dell’amato coniuge può giustificare una vita da eremita, rifiutandosi di parlare con la propria figlia e nipote? Esiste un’equazione per calcolare il dolore, la sofferenza? Invece l’amore si può definire, inserire in uno schema, quantificarlo? L’Amore è folle, totale , destabilizzante da rendere impossibile un’analisi razionale o se preferite una rigorosa interpretazione matematica Ho comprato il nuovo romanzo di Maurizio De Giovanni sulla “fiducia”, non avendo idea di che cosa aspettarmi dalla lettura . Il titolo del romanzo “l’equazione del cuore” sicuramente ha rappresentato un motivo di curiosità, volendo capire il “nesso” narrativo tra la matematica e la tragedia familiare annunciata dalla sinossi. Altresì confesso che i primi capitoli del romanzo mi avevano lasciato piuttosto freddo , perplesso non comprendendo il filo rosso, l’idea di fondo decisa da De Giovanni. La mia è stata una “lettura a vista” fino a metà del testo, temendo di dover scrivere un giudizio negativo sull’ultima opera di De Giovanni. Fortunatamente da sincero fan, la svolta narrativa o mi piace definirla “illuminazione letteraria” è giunta negli ultimi capitoli consentendomi di rivalutare la parte iniziale e soprattutto apprezzare l’anima di un romanzo sospeso tra il genere noir emotivo e thriller psicologico in cui il cuore svolge il duplice ruolo di protagonista e carnefice. L’amore muove e cambia il mondo si dice ed in questo caso Massimo, un nonno riluttante, chiuso , schivo sarà costretto da un tragico destino a riscoprire i propri doveri ed affetti “indagando” da matematico sulla morte della figlia. “L’equazione del cuore” è una storia sull’amore, sulla paura d’amare e come senza amore non si possa né voglia vivere nonostante si goda di una condizione economica privilegiata. Massimo ha scelto l’isolamento su unì isola dopo la morte della moglie. Massimo vive da eremita. Il suo cuore è congelato alle emozioni, ma quando il Destino lo costringe a ritornare sulla “terraferma” della vita, dovrà scegliere tra il coraggio d’essere un nonno presente o fuggire via dalle responsabilità La verità inseguita e trovata sull’incidente che ha provocato la morte della figlia e del genero segnerà per sempre il protagonista, rendendosi conto d’essere stato un padre assente ed anaffettivo. “L’equazione del cuore” è una lettura stratificata, va sedimentata, meditata per coglierne la bellezza e lo struggente messaggio finale. Un romanzo delicato, amaro, intenso con un inaspettato ed aperto finale come solamente l’amore può essere.
Il biglietto d’acquistare per “Flee” è : Di pomeriggio “ Flee” è un film d’animazione scritto e diretto da Jonas Poher Rasmussen. Sinossi: Flee, film diretto da Jonas Poher Rasmussen, racconta la storia di Amin, un uomo di 36 anni che in giovanissima età è fuggito dalla sua patria, Kabul, per trovare rifugio a Copenaghen. Oggi Amin è un accademico affermato e sta per sposarsi con l’amore della sua vita, ma l’uomo nasconde segretamente il suo passato di rifugiato. Nessuno sa chi è veramente, nemmeno il suo fidanzato, ed è riuscito a costruire per bene il castello ideale della sua esistenza, sebbene sia fatto solo di carte e che la minima rivelazione sul suo passato possa farlo precipitare proprio come una folata di vento. Per la prima volta dopo anni, però, Amin decide di rivelarsi e raccontare la storia della sua odissea giovanile al suo migliore amico. Dopo vent’anni, sembra aver capito finalmente che per conquistare del tutto quel futuro che tanto desidera ha bisogno prima di confrontarsi con il suo doloroso passato. Recensione: Migranti, sfollati, rifugiati, clandestini sono solo alcune delle parole che abbiamo letto, ascoltato, sentito pronunciare nei tg, nei talk show e soprattutto dai leader politici negli ultimi vent’anni. Il tema della migrazione, la tragica fuga dalla guerra è diventata oggetto di aspra quando assurda compagna politica facendoci dimenticare la valenza umanitaria di questa tragedia. La guerra in Ucraina sta provocando morte e distruzione e soprattutto ad oggi sta portando un milione di civili terrorizzati a lasciare le proprie case in cerca di salvezza in Europa. Come sovente accade la memoria collettiva è labile, dimentica facilmente, focalizzandosi sull’immediato piuttosto che sul quadro generale. Le guerre , le invasioni esistono da quando c’è l’uomo. La fuga dai luoghi di guerra si moltiplicano ogni giorno, solamente che alcune guerre “godono” delle luci della ribalta mediatica rispetto ad altre. “Flee” di Jonas Poher Rasmussen utilizzando in modo creativo quanto efficace l’animazione riporta al centro dell’attenzione , il dramma dei profughi afgani verificatasi dopo la caduta del governo sovietico e con la presa al potere dei Mujaheddin
“Flee” racconta la storia di Amin, oggi stimato docente universitario, ieri bambino costretto a scappare con la madre ed i fratelli da Kabul ormai prossima a cadere. La storia di Amin non è però il “semplice” racconto di un bambino in fuga dalle bombe e/o di un’ innocenza spezzata dall’orrore della guerra, bensì è qualcosa di più profondo e devastante. Amin e la sua famiglia hanno dovuto affrontare, sopportare un indicibile via crucis da clandestino durata anni prima di poter accedere allo status di rifugiato rd ottenendo così “il pass” per la libertà. Amin e la famiglia sono scappati con l’ultimo volo disponibile da Kabul, avendo la Russia come metà, essendo l’unico paese disposto ad accoglierli. Si ritrovano in una Russia povera, devastata, preda della corruzione sfrenata a seguito della dissoluzione dell’Urss. Amin e la sua famiglia vivono come fantasmi in un piccolo appartamento nella periferia temendo d’essere spediti a Kabul. “Flee” costruito sotto forma d’intervista da parte del regista al protagonista, si tramuta ben presto in una confessione accorata e sentita del secondo deciso a rivelare uno sconvolgente segreto. Quale prezzo si è disposti a pagare pur di ottenere la libertà, una possibilità di futuro? Lo scopriremo ascoltando l’angosciante , teso resoconto di Amin che ci svela un mondo oscuro, pericoloso e cinico: quello dei trafficanti di corpi. Uomini che lucrano sulla disperazione dei clandestini Prima furono le due sorelle maggiori di Amin che pur di raggiungere il fratello maggiore in Svezia, pagarono una vergognosa somma ai trafficanti per avere “il passaggio” dentro un container sito all’interno di nave merci. Un viaggio terribile al limite della vita, che le due ragazze supereranno miracolosamente. Amin, l’altro fratello e la vecchia madre tenteranno anche loro più volte di lasciare Mosca tramite questa odiosa organizzazione, ma con esiti sempre negativi oltre che dolorosi. Amin era un bambino quando lasciò Kabul, vive l’adolescenza braccato dalla polizia russa e privato di ogni cosa, anche di poter esprimere liberamente la propria sessualità ed attrazione per gli uomini. “Flee” è un flusso di ricordi, sensazioni, emozioni, pulsioni che il giovane protagonista deve contenere, nascondere, dissimulare. La libertà dicevamo ha un costo da pagare e nel caso di Amin si è concretizzata nel dover “cancellare” ufficialmente la propria famiglia e dichiararsi orfano sperando così di ottenere lo status di rifugiato in Danimarca. Una bugia terribile quanto necessaria da dire e sostenere per vent’anni. Un peso che l’adulto Amin sentirà il bisogno di togliersi condividendolo con tutti noi. Amin compie nell’arco di quest’intervista, una serie di passaggi esistenziali, emotivi e psicologici mai fatti prima. Una confessione liberatoria e catartica che assume i contorni di un viaggio intimo e profondo che non lascia indifferenti. Allora perché “Flee” non ci ha convinto del tutto, vi starete chiedendo. Una prima criticità che sentiamo d’evidenziare è la molteplicità delle tematiche inserite nello script finendo per creare più fili narrativi difficili da armonizzare. La sfera sessuale di Amin , seppur interessante e legittima, appare comunque estranea rispetto al resto del contesto della storia Voler raccontare una sorta di coming out /age da clandestini si è rivelato a tratti come una forzatura autoriale. La seconda criticità riguarda la percezione di lunghezza e lentezza del film nonostante la durata effettiva si di 1h e 27 min. Il terzo ed ultimo elemento critico è la personale difficolta nel collocare “Flee” in un preciso genere cinematografico ed a quale pubblico consigliare la visione Un dubbio che la stessa Academy ha “risolto” candidando “Flee” contemporaneamente in tre differenti categorie: miglior film d’animazione, documentario e film straniero. E’ sicuramente un cosa positiva che un film possa avere diverse letture, significati, messaggi finali, ma un po’ meno essere voler stare in tre categorie. Questa confusione identitaria in molti l’hanno celebrata come segno distintivo di un capolavoro. Per noi, la confusione non è mai un elemento positivo. “Flee” al netto dei nostri dubbi e rilievi, è un film consigliato , drammaticamente attuale, evidenziando come la guerra provochi dolorose e pesanti nella vita dei bambini, vittime innocenti. Una verità che spesso dimentichiamo di vedere e conoscere.
“ Il Santone” è una serie TV composta da 10 episodi e disponibile dal 25 Febbraio su Raiplay. “Il Santone” è diretta da Laura Muscardin, scritto da Tommaso Capolicchio, Giulio Carrieri, Simona Ercolani, Filippo Gentili, Giulia Gianni, Laura Grimaldi, Federico Palmaroli, Vanessa Picciarelli, Pietro Seghetti, musiche di Roberto Angelin Sinossi: Neri Marcorè veste i panni di Enzo Baroni, un antennista di Centocelle che scompare improvvisamente. Quando torna, diversi mesi dopo, perfino la moglie Teresa (Carlotta Natoli) fatica a riconoscerlo: indossa un mundu indiano, ha la barba lunga e l’aria serafica di un santone. Nessuno sa dove sia stato né lui lo spiega e forse lo ignora. Ma, ora che ha questo aspetto, gli abitanti del quartiere sembrano ascoltarlo, anzi pendono tutti dalle sue labbra: le vecchie frasi di saggezza popolare romana che Enzo pronunciava da una vita ora appaiono come massime di acuta profondità. Queste e una fortuita serie di coincidenze trasformano l’antennista prima in un guru di quartiere, poi di tutta Roma. La vicenda attira l’attenzione di Jacqueline (Rossella Brescia), agente televisiva che fiuta l’affare e vorrebbe far diventare Enzo una star. In poco tempo l’antennista diventa per tutti “il Santone di Centocelle”, detto Oscio. Recensione: Ammetto d’aver scoperto con ritardo il fenomal social di Oscio. Ma altresi d’essere diventato in poco tempo un convinto fan dell’ironia sferzante quanto geniale del suo creatore alias Federico Palmaroli Le frasi di Oscio sono diventante una forma di satira incisiva quanto calibrata ai tempi dei social capace di mettere d’accordo anche gli opposti schieramenti politici. Tutti applaudono le vignette quotidiane di Oscio. Tutti applaudono l’ironia di Palmaroli nel sapere interpretare l’umore più profondo della società e dall’altra di sferzarne limiti e contraddizioni. Il fenomeno Oscio non poteva non sbarcare anche in Tv. L’ambizione di ripetere o quanto meno in parte il successo social ha spinto la società Stand by me e Rai play nel mettere in piedi il progetto “Il Santone” basandosi sulle frasi di Oscio , reclutando due attori del peso di Neri Marcore e Carlotta Natoli con lo scopo di dare una consistenza artistica al progetto. Mi sono avvicinato fiducioso quanto speranzoso alla visione dei 10 episodi convinto di gustarmi qualcosa di originale e leggero. Ebbene la speranza è stata spazzata via dopo appena 2 episodi e,sostituita prima dalla noia e poi dalla delusione ed infine dalla bocciatura sul progetto proposto. “Il Santone” di Centocelle delude le attese risultando una brutta sit com basata su un cavonaccio narrativo fiacco e banale. Il quartiere di Centocelle rappresentato dagli autori come un quartiere abbandonato , sommerso dalla spazzatura , piena di buche ma abitata da personaggi bizzari e caricaturali lascia lo spettatore perplesso. Un impianto narrativo ibrido tra denucia civile e commedia all’italiana si rivela una scelta infelice. Il santone strappa qualche sorriso ma fondamentale l’intreccio è inverosimile, prolisso e ripetici ed i personaggi sono macchiettisci , Dispiace per la coppia Marcore -Natoli,ma nonostante l’impegno ed il talento profusi non riescono a salvare un progetto ben lontano dall’originale Oscio. Salvando i primi due episodi complessivamente divertenti, la storia diventa fiacca ed allungata senza alcun motivo creativo. Rossella Brescia è un ottima ballerina, una brava conduttrice radiofonica e financo una bella donna, ma la recitazione non è il suo campo. Dispiace essere così netti e categorici, ma il personaggio di Jacqueline è l’antitesi di quello che un attore dovrebbe fare sulla scena. “Il Santone” è purtroppo un occasione sprecata, come scrittura, per numero di episodi(la metà sarebbero stati piu che sufficienti) ed un cast artistico non all’altezza. Oscio avrebbe meritato un migliore e valida trasposizione televisiva. Per digerire questa delusione, è consigliata una full immersion nei canali social dell’unico Santone del terzo millennio.
“Volevo fare la rockstar 2” composta da otto episodi , diretta da Matteo Oleotto, scritto : Giacomo Bisanti, Matteo Visconti, Alessandro Sermoneta
con: Giuseppe Battiston, Valentina Bellè, Angela Finocchiaro, Emanuela Grimalda, Anna Ferzetti, Riccardo Maria Manera, Francesco Di Raimondo, Sara Lazzaro, Matteo Lai, Fabrizio Costella, Alessia Debandi, Ernesto D’argenio, Margherita Morchio, Caterina Baccichetto, Viola Mestriner.
Sinossi:
Sono passati quasi due anni dall’ultima volta che Francesco(Giuseppe Battiston)mi ha dato un bacio. Non che mi sia annoiata nel frattempo eh! C’è stato il casino di Vittorio, che prima mi ha rubato una canzone epoi ha pensato bene di rubare anche al fisco inglese, finendo in galera e coi beni sequestrati giusto un nanosecondo prima che potessi chiedergli un risarcimento.. C’è stata la luuuunga trasformazione di Nice(Angela Finocchiaro)da arpia divora-proletari a dolcissimanonnina… e io faccio tanto la mona a prenderla in giro,ma…meno male che c’è lei, visto che senza i suoi “aiutini”non avrei saputo come mantenere i due alieni consumisti taglia extralarge che hanno preso il posto delle miebambine. Quelle che fino a ieri si lavavano con l’acqua scaldata in pentola, ora hanno bisogno di un tablet atesta per seguire i tutorial su come truccarsi. Nel frattempo,Nadja(Emanuela Grimalda)si è trovata una casa nuova, che tra parentesi è la mia. Tralasciando saluti al sole e sedute di meditazione, mi aiuta a gestire le tempeste ormonali delle gemelle che scuotono la casa come uno tsnunami. Ah, e come dimenticare Eros(Riccardo Maria Manera) che dopo aver finalmente preso il diploma, ha deciso d iscriversi all’università.D a non crederci….Insomma, come dicevo, non sono stati anni noiosi. Ma due anni senza un bacio sono tanti anche per me. Francesco ha passato diversi mesi (troppi) in Canada e adesso che è tornato non mi sembra vero. Certo, la situazione tra di noi non è delle più semplici, ma io sono fiduciosa, col tempo anche le ferite più profonde possono rimarginarsi. Serve solo un po’ di pazienza, ma la verità è che ci amiamo e io non vedo l’ora che si decida a dare il via alla nuova fase della nostra relazione. Quella in cui viviamo per sempre felici e contenti. Per fortuna credo che sia questione di giorni, perché il mio esemplare di orso milanese si fa di minuto in minuto più inquieto e si vede che sta cercando solo il momento più adatto per dirmi che mi ama
Recensione:
Giovedì scorso è andata in onda su Rai 2 la prima puntata dell’attesa seconda stagione di “Volevo fare la rockstar”.
È tornata Olivia alle prese con le due figlie alias “le grulle” ormai adolescenti ribelli e la divertente quanto variopinta compagnia d’amici e parenti che tre anni fa conquistò il pubblico di Rai 2.
Ispirato alla storia vera di una blogger, “Volevo essere la rockstar” si era contraddistinta come una serie leggera, briosa, ironica ed allo stesso tempo realistico e coinvolgente nel raccontare le “fatiche” di una giovane mamma nell’educare due figlie gemelle e coniugando vita privata con un lavoro precario.
La serie poteva contare su script lineare, semplice, solido in cui lo spettatore percepiva calore ed umanità
Valentina Bellè nel ruolo di Olivia aveva dimostrato di possedere una discreta “vis comica” , buoni tempi da commedia impreziosita dalla presenza del bravissimo Giuseppe Battiston.
Anche il resto del cast si era dimostrato all’altezza, tarato quanto convincente nei rispettivi personaggi.
Eravamo così molto curiosi di vedere i primi due episodi , sperando di “ritrovare” il piccolo gioiellino creativo, registico e narrativo messo in scena da Matteo Oleotto e soprattutto di respirare l’alchimia umana e recitativa all’interno del cast.
Ci dispiace invece dover scrivere che le sensazioni provate durante la visione sono state contrastanti ed il giudizio alla fine è deludente.
“volevo fare la rockstar 2”è partito con il freno a mano tirato.
La storia fatica a decollare, i personaggi , dopo tre anni di pausa, appaiono meno veri, “sbarazzini” ed empatici.
Risultano bloccati all’interno di una scrittura meno fluida ed incisiva, come se il salto temporale abbia negativamente influenzato l’anima della serie.
“il distacco creativo” dalla storia originale si è sentito in modo sensibile, evidenziando la difficolta degli sceneggiatori nel creare un nuovo filone , costruire l’evoluzione e cambiamenti per i personaggi.
La crescita fisica delle grulle, quella emotiva /esistenziale di Olivia ed il loro rapporto ora così conflittuale non convince, risultando finto.
Lo stesso Giuseppe Battiston ha mostrato un inaspettato “ affanno” nel calarsi nuovamente nei panni di Francesco.
Dalla relazione “tira e molla” tra Francesco ed Olivia che aveva caratterizzato la prima stagione, con l’arrivo della new entry (Anna Ferzetti) lo spettatore dovrà abituarsi, con una certa diffidenza, al più classico dei triangoli con annesse scenate di gelosie.
Una partenza sbagliata o se preferite una falsa partenza che delude i fan, facendo prevalere il timore che la “magia sia finita”.
Ci auguriamo d’essere seccamente smentiti con i prossimi episodi, perché vogliamo bene ad Olivia ed alla sua band, ma rimettersi “in riga” sarà davvero una prova da vera rockstar.
Il biglietto d’acquistare per “Acque profonde” è : Neanche regalato “Acque profonde” è un film del 2022 scritto e diretto da Adrian Lyne, tratto dall’omonimo romanzo del 1957 firmato Patricia Highsmith, con : Ben Affleck e Ana De Armas. Sinossi: Vic Van Allen e Melinda Van Allen sono sposati da tempo, hanno una casa grande e una bellissima figlia, Trixie. D’altronde bellissima, anzi da mozzare il fiato, è anche Melinda, donna splendida ma soprattutto irrequieta, tanto che nel vincolo matrimoniale proprio non ci riesce a stare, e sceglie così amanti belli e giovani con cui passare nottate di sesso e alcol. Momenti che Melinda sadicamente non nasconde a Vic: invita i suoi amanti a casa, li stuzzica a cena davanti al marito, infine non esita a lasciare le porte socchiuse poco prima di iniziare a divertirsi con loro. Un gioco la cui parte più dilettevole per Melinda è proprio mettere Vic a conoscenza di tutto, umiliandolo. Gioco che però si rivela pian piano sempre più pericoloso. Recensione: Ho grande rispetto e stima per il regista Adrian Lyne. L’uomo che ci ha regalato pellicole immortali come Nove settimane e mezzo, Flashdance,Proposta Indecente ed infine L’Amore infedele trasformando il genere erotico in autoriale, elegante sofisticato , merita cinematograficamente eterna gratitudine. Ma dopo vent’anno ritornare dietro una macchina di riprese e realizzare “Acque profonde” significa farsi artisticamente male da solo. “Acqua profonde” è un film noioso, lento, imbolsito, l’esatto contrario di ciò che l’abile ufficio stampa e commerciale per mesi ha veicolato su giornali e social . Presentato come thriller ad “alto tasso erotico” con l’ex coppia scoppiata Affleck De Armas si è rivelato semmai come micidiale quanto efficace pasticca soporifera per chi soffre d’insonnia. Dispiace scriverlo ma il bravo Lyne probabilmente è rimasto fermo al cinema di vent’anni fa. “Acque profonde” è un film vecchio, patinato, drammaturgicamente insulso quanto banale. Nonostante la bellezza accecante della bravissima e carisma Ana De Armas, il film è piatto, insulso incapace di trasmettere alcuna emozione allo spettatore. Il tema della gelosia repressa quanto spietata che Ben affleck dovrebbe incarnare come marito riscrivendo la figura di Otello è oggettivamente fallimentare. Ben affleck ci prova con tutto sè stesso ad esprimere con i silenzi e con lo sguardo perennemente “crucciato” il proprio inferno interiore, ma ottiene il risultato opposto. Il gioco di specchi, la seduzione e provocazione continua tra i due coniugi appare stucchevole e fredda. “Acqua profonde” dovrebbe raccontare un vulcano d’emozioni e travagli sentimentali che covano sotto la cenere o se preferite mettere in scena la rappresentazione di un ira fredda quanto spietata sviluppando altresì il tema di un amore tossico e/o di dipendenza. Ma tutto questo è assente nello script e poi nella messa in scena del film, che scena dopo scena assume piuttosto i contorni di una commedia grottesca o pantomima di un thriller erotico. Lo spettatore sprofonda , suo malgrado, nelle “acque profonde” della noia ed irritazione durante la visione, intervallate solamente dal sorriso magnetico e presenza scenica della De Armas, unica vera scossa sensuale, creativa e recitativa di un film dimenticabile e senza senso.
Per lo spettatore “comune” , il biglietto d’acquistare per “ambulance” è : Omaggio Per un fan della cinematografia di Michael Bay è : Di pomeriggio (Con riserva)
“Ambulance” è un film del 2022 diretto da Michael Bay, scritto da Chris Fedak, con : Jake Gyllenhaal, Yahya Abdul-Mateen II, Eiza González, Garret Dillahunt, Adolfo Martinez, Keir O’Donnell, Moses Ingram, Jose Pablo Cantillo, Colin Woodell, Jesse Garcia, Victor Gojcaj, Jackson White, Brendan Miller, Jamie McBride, Devan Chandler Long. Sinossi: Ambulance, film diretto da Michael Bay, racconta la storia di Will (Yahya Abdul-Mateen II) e Danny (Jake Gyllenhaal), due fratelli molto diversi tra loro. Il primo è un veterano di guerra, che ha bisogno di 231.000 dollari per pagare un importante intervento a sua moglie; il secondo, invece, è un criminale affermato. Quando Will chiede aiuto economico a Danny, quest’ultimo non gli propone un prestito, ma una rapina, la più grande mai fatta alla banca di Los Angeles, che permetterebbe loro di tornare a casa con 32 milioni di dollari. Will si convince ad accettare, soprattutto perché non ha altre alternative per pagare le spese mediche della moglie. Durante il colpo, qualcosa va storto. Un ufficiale di polizia, infatti, arriva nella banca per questioni personali, mandando all’aria il piano. Il poliziotto viene gravemente ferito e Will e Danny non hanno altre scelta se non la fuga col bottino. Quando s’imbattono in un’ambulanza, i due ne prendono il controllo, non immaginando che al suo interno ci sia un’infermiera, Cam Thompson (Eiza González) con un poliziotto ferito, che ha bisogno di andare in ospedale. La fuga ad alta velocità tra le strade di Los Angeles si fa sempre più rocambolesca e le forze dell’ordine si spargono per tutta la città. Mentre Will cerca di aiutare Cam a mantenere in vita il ferito, Danny crede che i poliziotti non spareranno a un’ambulanza con all’interno uno di loro.. Recensione: Inutile girarci intorno: la cinematografia di Michael Bay o si ama o lo la si detesta in modo netto quanto repentorio. Nel corso degli anni abbiamo compreso come per Michael Bay non esistano mezze misure in campo narrativo, creativo, registico. Bay ha una visione del cinema in cui credibilità, senso logico e verosimiglianza sono bandite in ogni ambito. Non chiedete a Michael Bay di fare film impegnati, profondi, simbolici. Michael Bay conosce ed ama realizzare quel tipo di cinema d’evasione in cui grandiosità, spettacolarità e sospensione della ragione rappresentano l’essenza del film stesso. Esistono i film alla Michael Bay. Bay è un marchio commerciale, se vogliamo anche un genere autoriale. Michael Bay ha dato una propria impronta, filosofia ai blockbuster. Se lo spettatore è pronto ad accettare tutte queste considerazioni, riflessioni, allora può immergersi con gioia e financo esaltazione nel nuovo “parco giochi” creato da Michael Bay.
Ambulance è il remake di un film danese Ambulancen (2005), dove la donna bisognosa di cure, però, è la madre dei due rapinatori, mentre in questo è la moglie di uno dei due rapinatori. “Ambulance” incarna la perfetta summa del pensiero cinematografico bayano :inseguimenti , sparatorie, senso della famiglia, giustizia, bene contro male. Le due ore e 16 minuti di Ambulance sono un frullatore di emozioni, sangue, follia, pathos e frenetici e spettacolari inseguimenti in un Los Angeles tirata a lucido. Bay partendo da una sceneggiatura esile quanto pasticciata su personaggi e tematiche, innesca subito la “quarta” con una drammatica scena di un incidente stradale dove la bella quanto tosta paramedica Cam mostra tutto il proprio valore. Ma Bay poteva ”accontentarsi “ di raccontare solamente le vicende umane e professionali di un paramedico? Ovviamente no, caro spettatore. La scena successiva ci mostra come un ex militare pluridecorato non si possa permettere con l’assicurazione l’operazione necessaria per la moglie malata , costringendolo ad accettare l’offerta criminosa del fratellastro.
Jake Gyllenhaal eYahya Abdul-Mateen II formano una coppia inedita, opposta nei colori, nella fisicità oltre che nella personalità. Il primo ha scelto di seguire la carriera criminale del padre affinandone gli strumenti e strategia, il secondo invece ha servito il proprio Paese. “Ambulance” è anche una storia di fratellanza intensa, autentica, virile quanto profonda. Gyllenhaal è spirato, folle quanto elegante e carismatico nell’incarnare il fratello cattivo della coppia. “Ambulance” vive d’eccessi, di continui rilanci visivi “fregandosene” dei buchi e contraddizioni della sceneggiatura puntando tutto sull’aspetto adrenalinico delle scene. Eiza González sulla carta avrebbe con il personaggio di Cam un ruolo pieno di spunti e potenzialità, ma sfortunatamente ne esce fuori una performance piuttosto banale, stereotipata e raramente incisiva e tosta. “Ambulance” non si fa mancare nulla: morte, tradimenti, doppio gioco e redenzione del cattivo. Un film che racchiude tutto ed il suo contrario che vista l’attualità angosciante e tragica, potrebbe rivelarsi un felice momento di pausa ed eccitante visione. Michael Bay ci regala un costoso scacciapensieri non esente da limiti e criticità, ma assolutamente godibile per gli amanti di questo genere. Dopo aver visto “Ambulance”, vedrete con occhi diversi le nostre ambulanze.
Il biglietto d’acquistare per “Calcinculo” è : Di pomeriggio “Calcinculo” è un film del 2022 diretto da Chiara Bellosi, scritto da MARIA TERESA VENDITTI, LUCA DE BEI , con Gaia Di Pietro, Andrea Carpenzano, Barbara Chichiarelli,Giandomenico Cupaiuolo, Francesca Antonelli, Claudia Salerno. Sinossi: Forse è vero che si cresce anche a calci in culo. Ed è vero che quando la giostra gira veloce ci sembra di volare e non vorremmo scendere mai. É questo che succede a Benedetta quando incontra Amanda e decide di seguirla nel suo mondo randagio. Recensione: Non esiste un manuale per diventare adulti. Un adolescente dovrebbe poter contare sulla propria famiglia, gli amici, la scuola. Ma la realtà è ben diversa. Il rapporto tra una figlia quindicenne e la propria madre è sovente conflittuale . Generalmente una ragazza non si piace quasi mai, soffre il giudizio estetico degli altri e trova nel cibo una valvola di sfogo. Si cresce con l’amore , con le delusioni e financo con “i calcinculo”. Il titolo del primo film di finzione di Chiara Bellosi racchiude simbolicamente oltre che narrativamente il senso di questa storia dove Benedetta, la nostra giovane protagonista, è chiamata ad una scelta difficile quanto sofferta: l’indipendenza , la consapevolezza di sé si ottiene solamente con le proprie forze. Non è facile accettare per un adulto questa condizione, figurarsi per un adolescente. Eppure Benedetta si ritrova a vivere una situazione familiare inadatta alle sue esigenze ed aspettative. Il rapporto con sua madre Anna è teso, scandito da silenzi e diverse visioni sulla vita. Anna, una casalinga con un sogno infranto da ballerina, vorrebbe cambiare la propria figlia, farla dimagrire. Impone alla figlia visite medici e diete , senza chiederle mai che cosa provi e pensi Benedetta. Benedetta si sente fuori posto, estranea a casa sua, da migliorare, modellare secondo i criteri materni. Invece la ragazza si sente libera, desiderosa di provare, rischiare, amare. Il suo corpo, i chili in più non sono un problema, un ostacolo. Benedetta vuole essere vista, ascoltata per come è realmente e non seguendo le convenzioni e criteri sociali. Così quando vicino la casa di Benedetta arriva la carovana circense “Calcinculo” e con sé il camper di Amanda, la vita della protagonista cambia per sempre. Amanda vede, parla, consiglia, flirta con Benedetta senza pregiudizi o critiche facendola sentire viva, toccata, parte di un mondo. “Calcinculo” è una storia di libertà, indipendenza, silenziosa quanto orgogliosa nuova consapevolezza. Chiara Bellosi scrive nella note di regia : “ Questa storia è una fiaba. Ovvero: del giocare con la realtà. Quando ero piccola mi raccontavano le storie e c’era una differenza tra fiaba e favola. Così per me la favola è sempre rimasta qualcosa di un po’ triste e asciutto e barboso, con la sua morale inesorabile in chiusura. La fiaba invece è come un universo che si espande e raccoglie tutto quello che trova per strada: oggetti insensati, personaggi strambi, posti pieni di fascino ma sempre un po’ inquietanti. Invece Andrea Carpenzano che interpreta il personaggio di Amanda ci ha raccontato durante la conferenza stampa “ che fin dalla prima lettura del copione, ho immaginato il film e soprattutto il mio personaggio come fossero parte di un film Disney”. Personalmente concordiamo abbastanza con le due definizioni dei due artisti, ma ci sentiamo d’aggiungere che “Calcinculo” è anche coming age duro, selvaggio, amaro che non fa alcun tipo di sconto al sentimentalismo e buonismo. Bellosi mette in scena una storia asciutta, diretta, scandita da silenzi rumorosi e sguardi infuocati della protagonista. L’esordiente Gaia di Pietro regala una performance vibrante, carismatica e fisica non mostrando mai incertezza sulla scena. Se Gaia Di Pietro sorprende positivamente per la naturalezza recitativa , Andrea Carpenzano conquista e spiazza tutti con il personaggio di Amanda, ben lontano da tutti quelli fatti in precedenza dall’attore romano Ci dimentichiamo di Carpenzano attore e sulla scena siamo colpiti e conquistati dai modi e pensieri di Amanda, una sorte di mentore, guida, primo amore di Benedetta. La recitazione di Carperzano è ruvida ed allo stesso tempo malinconica, disincantanta. Amanda non è la salvatrice della ragazza, né la sua tentatrice, semmai è il mezzo emotivo che consente di far sbocciare la “farfalla” Benedetta. Benedetta cresce, evolve, prende coscienza di sé ricevendo delusioni e tradimenti dagli affetti più cari Una “trafila” che accomuna tanti ragazzi e ragazze d’oggi che pone un senso d’autenticità e bellezza al finale aperto del film. “Calcinculo” è un racconto realistico quanto poetico che si perde in una lentezza di racconto ed un ritmo troppo compassato. Il personaggio di Anna , madre di Benedetta, avrebbe meritato maggiore spazio e visibilità alla brava Chichiarelli troppo prematuramente e colpevolmente tagliata fuori dalla sceneggiatura. “calcinculo” è una visione complessivamente consigliata prendendo atto che la vita prosegue, migliora anche senza un “lieto fine” esplicito.
Altrimenti ci arrabbiamo, film diretto da Antonio Usbergo e Niccolò Celaia, racconta la storia di due fratelli, Carezza e Sorriso (Edoardo Pesce e Alessandro Roia), che nonostante la stretta parentela, sono molto diversi tra loro, cosa che sia durante l’infanzia che tutt’oggi li ha sempre portati allo scontro. I due, però, dovranno accantonare i loro screzi, quando la Dune Buggy, un’auto da spiaggia di proprietà del padre, viene portata via da Torsillo (Christian De Sica), infido speculatore edilizio, e dal figlio Raniero. Per recuperare l’automobile, i due decidono di allearsi con un gruppo di circensi con a capo Miriam (Alessandra Mastronardi), tanto affascinante quanto temibile. I fratelli e il circo, infatti, hanno come nemico comune Torsillo, che con i suoi malaffari intralcia anche il business dei circensi. Tra un mangiata di salsicce, una bevuta di birra e le scazzottate, accompagnante immancabilmente da goffi inseguimenti, Carezza e Sorriso riusciranno a riavere indietro la macchina dell’adorato padre?
Recensione:
Remake, reboot, sequel?
In queste ultime settimane sono girate o meglio sono state fate girare su giornali e social dall’ufficio stampa diverse ed opposte interpretazioni, presentazioni sulla nuova edizione del film “Altrimenti ci arrabbiamo”, temendo probabili stroncature giornalistiche e soprattutto l’ira funesta dei fan della coppia Spencer -Hill.
Il film del 1974 oltre essere un dei maggiori incassi del cinema italiano (14 posto), ha raggiunto per diverse generazioni lo status di cult , mito, iconico.
Una sfida da far tremare i polsi a chiunque, figurarsi ad una giovane coppia di registi (You Nuts) ed alla coppia Pesce -Roja scelta nella missione impossibile di non sfigurare troppo con gli amati attori.
L’ulteriore motivo di curiosità era se ci fosse ancora spazio nel 2022 per il genere “buddy movie” ovvero in cui ogni controversia possa essere risolta con una bella scazzottata.
Le nuove generazioni abituate a vedere altri generi di film , maneggiare armi , divertirsi con giochi o guardare scenari di guerra in tv avrebbero gradito questo tipo di prodotto?
Chi vi scrive è ovviamente un accanito fan della coppia Spencer- Hill, custode dei loro film ed amante di un filone semplice, pulito, narrativamente magari povero e stilisticamente scolastico, ma capace di rimanere sempre verde ed avvolgente a distanza di decenni.
Diciamolo subito e chiaramente: Altrimenti ci arrabbiamo dei YouNuts è una pallida copia dell’originale, sarebbe inutile quanto dannoso fare paragoni con il vecchio cast
Ma fatta questa doverosa promessa, possiamo altresi riconoscere che i You Nuts hanno dimostrato coraggio artistico e freschezza creatività nell’approcciarsi ad un totem “sacro”
“Altrimenti ci arrabbiamo” si rivela essere un mix tra sequel ed omaggio al film del 1974, cercando però di mantenere una propria identità e segno distintivo muovendosi all’interno di una cornice narrativa ed ambientale del genere.
Ciò che andava bene nel 74 e nei decenni successivi, oggi agli occhi e soprattutto per gusto del moderno spettatore forse potrebbe risultare forzato macchiettistico e financo noioso.
Bud Spencer e Terence Hill erano riusciti con la loro fisicità, alchimia umana ed attoriale e talento a creare un legame con il pubblico , rendendo avvincenti storie e schemi di per sé banali.
La coppia Pesce-Roja ha provato a ripetere l’incantesimo, cercando di fondersi sul piano recitativo e giocando sulle rispettive fisicità.
Ma se Edoardo Pesce con intelligenza ed umiltà ha evitato il pesante paragone con Bud Spencer, optando per un profilo più essenziale, asciutto, plasmando il personaggio alle sue capacità, Roja invece ha compiuto il grave errore di voler emulare Terence Hill, risultando sconfitto oltre che irritante.
La coppia funziona solamente a tratti, trascinata dal bravo Pesce, ma senza mai raggiungere una vera simbiosi e potenza visiva e fisica.
L’intreccio narrativo a differenza del film originale si poggia anche sul nuovo personaggio di Miriam che inaspettatamente quanto positivamente ci fa scoprire ed apprezzare una diversa Alessandra Mastronardi.
Alessandra Mastronardi finalmente mette da parte il ruolo della ragazza della porta accanto, sorrisi e smorfie , sfoderando sulla scena grinta, personalità e carisma.
Miriam parla una lingua incomprensibile, sputa, mena , è una circense bella quanto tosta.
Alessandra Mastronardi è una delle note più positive film,
La versione 2022 di “Altrimenti ci arrabbiamo” si muove tra operazione nostalgia e tentativo di svecchiare un genere utilizzando una regia giovane e fresca ed un cast di valore che nel complesso ha evitato la stroncatura tanto temuta.
Il consiglio è quello di rivedere o vedere il film del 1974 e di non essere né duri né prevenuti nella visione di questa nuova versione che con tutti i suoi limiti ha il merito di farci ricordare un periodo felice della nostra giovinezza e soprattutto di onorare una pagina gloriosa del nostro cinema fatto di cazzotti, birre e wrustel.
“Io lo so chi siete” è un documentario del 2022 diretto da Alessandro Colizzi, scritto da Silvia Cossu, con : Vincenzo e Fora Agostino, Attilio Bolzoni, Stefania Limiti, Luca Tescaroli, Fabio Repici, Ivan D’Anna
Sinossi: Il 5 agosto 1989 Antonino Agostino, agente di polizia della Questura di Palermo, è a Villagrazia di Carini con la giovane moglie incinta. Mentre entrano nella casa di famiglia per festeggiare il compleanno della sorella più piccola, due uomini in motocicletta li raggiungono e li crivellano di colpi. I genitori di Agostino, sentiti gli spari, corrono a soccorrerli ma non c’è più niente da fare. Nino muore tra le braccia del padre, Ida poco dopo, nel tragitto che la porta in ospedale. I genitori di Nino da quel tragico giorno si battono per avere giustizia. Vincenzo ha giurato sulla bara del figlio che non si sarebbe più tagliato la barba e i capelli finché non si fosse accertata la verità, e a dispetto dell’incrollabile muro di gomma che si è trovato di fronte in questi trent’anni, non si arrende, non abbandona la lotta, non si rassegna. Così, insieme alla moglie (scomparsa nel febbraio del 2019), è diventato per moltissimi cittadini un simbolo. Un simbolo di dignità e resistenza, e di devozione verso quel figlio nei cui confronti non ha mai smesso di essere padre. Recensione: “Io lo so chi siete” sono state le ultime parole gridate dall’agonizzante Antonino Agostino ai propri killer prima di morire Antonino Agostino e la sua neo sposa sono sono stati uccisi dalla mafia. Ma perché mai un giovane poliziotto preoccupava Cosa Nostra al punto di volerlo morto? Quali segreti custodiva Antonio Agostino? Per quanto possa apparire paradossale oltre che macabro anche tra le vittime di mafia esistono differenti categorie :da quelle piu celebri (Falcone -Borsellino) a quelle avvenute nel piu totale silenzio e cadute nell’oblio La morte di Antonino Agostino perché ancora oggi fa rumore? Il ” merito” di questo rumore è dovuto alla straordinaria determinazione di Vincenzo Agostino , padre di Antonino, che da trent’anni gira in lungo e largo l’Italia per chiedere verita e giustizia per il figlio. Vincenzo insieme all’amata moglie (morta nel 2019) non si sono mai dati per vinti lottando perché prima la memoria del figlio non venisse macchiata da calunnie e poi scoprendo e ricostruendo la seconda vita del figlio. Memoria e verità hanno dato.la forza e soprattutto ancora un senso alla vita di Vincenzo, tramutando il dolore paterno in desiderio di legalità diventandone lui stesso un simbolo. Vincenzo Agostino è diventato il monumento vivente del dolore per la città di Palermo. Ha promesso a se stesso che non si sarebbe tagliato piu barba e capelli finché non fossero stati trovati gli assassini del figlio e nuira Alessandro Colizzi firma con Silvia Cozzu un documentario straficato, pieno di rimandi e sottostorie che se da una parte propone un interessante potenziale narrativo ed emotivo dall’altra paradossalmente appare un mix caotico e con molte tematiche e riferimenti storici /legali appena accennati Un documentario che si sforza di unire l’aspetto personale, intimo di un uomo, padre indomito a quello legale /spionistico perché oltre essere un efferato omicidio, possiamo affermare dopo trent’anni come queste due morti siano decise da parti deviati dello Stato. Antonino Agostino lavorava per i servizi segreti oltre occuparsi della sicurezza del giudice Giovanni Falcone. Fin dal giorno dell’omicidio la famiglia Agostino si è scontrato contro un muro di bugie, false piste trasformando un via crucis del dolore in faticosa battaglia di verità e giustizia . Il documentario nonostante i limiti strutturali e lentezza nella visione, riesce nel compito di trasmettere emozione e partecipazione nei riguardi di Vincenzo, una sorta di Don Chiciotte in nome del figlio. Un battaglia contro i mulini al vento, che però ha portato un concreto risuitato: da pochi giorni è iniziato il procesdo contro i presunti mandati del delitto. Vincenzo Agostino ha 85 anni , è stanco ma non intende mollare. Incontra gli studenti nelle scuole raccontando di se e di suo figlio. Memoria e giovani , per Vincenzo sono le fondamenta per un futuro migliore, per una societa pacificata e fondata su una giustizia giusta. Un’opportunità negata a Nino Agostino e sua moglie.