Melvin è un ragazzo di trent’anni appassionato di fiction. Guardando la TV si innamora dell’Aspirante Diva e decide di conoscerla. Anni dopo Melvin racconta la sua storia allo Splendente, il suo psichiatra. Il tempo è galantuomo.
“What’s Love” è un film di Shekhar Kapur. Con Lily James, Emma Thompson, Shazad Latif, Nosheen Phoenix, Oliver Chris. Commedia, 108′. Gran Bretagna 2022
Sinossi:
Zoe è una documentarista inglese di successo; il suo vicino di casa Kazim un oncologo di origine pakistana. Quando Kazim comunica a Zoe di volersi sposare secondo la tradizione, ovvero lasciando scegliere ai suoi genitori la sposa, lei decide di girare un documentario sui matrimoni combinati nel XXI secolo. In realtà è delusa dalla scelta dell’amico per molti motivi, il più nascosto dei quali è l’attrazione segreta che prova per lui. Quando Zoe e la sua eccentrica madre si trasferiscono a Lahore per seguire il matrimonio di Kaz le tensioni aumentano: riusciranno i nostri eroi a gettare le rispettive maschere?
Recensione:
In un tempo non troppo lontano, il matrimonio era una vera e propria “questione di famiglia”, che poco aveva a che vedere con l’amore. Ne esistevano di combinati, di imposti, di riparatori e in Italia le cosiddette agenzie matrimoniali non sono scomparsa da chissà quanti anni.
Ma nel 2022 esiste ancora un modo “giusto” per trovare l’anima gemella? Al tempo dei social, delle app di appuntamenti, c’è ancora spazio per il vecchio e sano come romanticismo? Ed è immaginabile che un giovane e stimato medico inglese, ma di origini pakistane, decida di sottostare al matrimonio combinato dai genitori? per un matrimonio combinato dai genitori?
Il titolo del film di Shekhar Kapur, presentato alla Festa del cinema di Roma, ci pone una semplice quanto potete domanda: “What’s love got to do with it?” Cosa c’entra l’amore con tutto questo?
Il biglietto d’acquistare per “Un uomo felice” è : Omaggio
“Un Uomo felice” è un film del 2023 diretto da Tristan Séguéla, scritto da Guy Laurent, Isabelle Lazard, con : Fabrice Luchini, Catherine Frot, Rehin Hollant, Philippe Katerine, Artus, Agnès Hurstel, Paul Mirabel, Bastien Ughetto, Jason Chicandier.
Sinossi:
Un uomo felice, film diretto da Tristan Séguéla, racconta la storia di Jean (Fabrice Luchini), un sindaco conservatore di un paesino della Bretagna. L’uomo è pronto per ripresentarsi alla prossima campagna elettorale, ma riceve una notizia per lui scioccante da parte di sua moglie Edith (Catherine Frot). Dopo diversi anni di matrimonio, la donna rivela di non sentirsi a suo agio nel suo corpo e ora vuole iniziare un percorso di transizione per cambiare sesso. Jean inizialmente crede che sia uno scherzo, ma una volta capito che sua moglie è determinata a intraprendere e portare a termine la transizione, comprende che la sua campagna elettorale rischia di essere stravolta.
L’annuncio di Edith, però, è un grande shock non solo per il marito, ma anche per l’intera famiglia e porterà a una serie di equivoci, che mostreranno molti dei pregiudizi fino ad allora tenuti nascosti.
Recensione:
Un tempo utilizzavamo espressioni come “non sentirsi a proprio agio con il proprio corpo “ e /o “ vivere una vita repressa perché obbligati dalle tradizioni” “, consapevoli della loro valenza psicologica e significato culturale.
Ovvero frasi e pensieri detti in un preciso quanto delimitato momento di difficoltà per una persona.
Oggi invece queste stesse frasi assumono ben altro significato, valore ponendo in “discussione” il corpo, il genere d’appartenenza, gli impulsi anche sessuali di una persona.
Un matrimonio si fonda sull’amore , reciproca fedeltà oltre che su una serie di giuramenti.
Ma quale matrimonio, anche quello più saldo e stabile può resistere alla sconvolgente notizia che uno dei due voglia effettuare la transizione in un uomo, volendo comunque rimanere una coppia?
I due sceneggiatori Laurent e Larzad hanno cercato di rispondere a questa ed altre scomode domande, firmando una sceneggiatura dove si potesse sorridere e riflettere allo stesso tempo.
Hanno scelto il linguaggio ed i tempi della commedia per affrontare e descrivere il difficile e radicale passaggio intrapreso dalla protagonista mescolando all’inevitabile crisi coniugale.
Il corto circuito esistenziale – coniugale era potenzialmente esplosivo a livello narrativo, ma in fase di scrittura è stato poco sviluppato e sovente risolto in modo approssimativo e pasticciato.
Lo spettatore trovandosi davanti ad una doppia crisi teme l’inizio di un psicodramma .
Invece il regista Seguela dimostrando di possedere sensibilità e creatività è riuscito a mettere in scena un film leggero , a tratti anche divertente potendo contare su due attori di prima grandezza come Fabrice Luchini e Catherine Frot.
Luchini -Frot ,pur essendo un’inedita coppia artistica ,si sono rivelati reciprocamente funzionali e complementari sulla scena, offrendo credibilità e profondità ai due personaggi.
La coppia non scoppia grazie allo charme della Frot ed all’istrionismo garbato di Luchini, ma ciò non è sufficiente per evitare al film di perdere quota ed incisività nella seconda parte.
Una seconda parte caratterizzata da un “fritto misto” narrativo e da un finale buonista, che è purtroppo poco digeribile per un pubblico “diversamente tradizionalista” in campo cinematografico.
Il biglietto d’acquistare per “Scream VI” è : Neanche regalato (Con Riserva)
“Scream VI” è un film del 2023 diretto Matt Bettinelli-Olpin, Tyler Gillett, scritto da Guy Busick, James Vanderbilt, con : Jenna Ortega, Courteney Cox, Hayden Panettiere, Dermot Mulroney, Melissa Barrera, Mason Gooding, Jasmin Savoy Brown, Roger L. Jackson, Devyn Nekoda, Josh Segarra, Jack Champion, Liana Liberato, Tony Revolori, Samara Weaving, Henry.
Sinossi:
Scream VI, il film diretto da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, vede tornare le sorelle Sam (Melissa Barrera) e Tara Carpenter (Jenna Ortega) insieme ai gemelli Chad (Mason Gooding) e Mindy Meeks (Jasmin Savoy Brown).
I quattro, sopravvissuti agli omicidi compiuti da Ghostface, si lasciano alle spalle quanto accaduto a Woodsboro per iniziare un nuovo capitolo della loro vita trasferendosi a New York.
Ma anche nella grande mela si ritroveranno ad avere a che fare con un nuovo Ghostface. Come affronteranno questo nuovo inizio?
Recensione:
La vecchiaia è una brutta cosa. Invecchiare male è anche peggio.
Se poi i generi cinematografici e/o i film che hai amato da ragazzo, ora da inviato di mezz’età li appaiano noiosi se non brutti , è evidente scrivere parafrasando il motto “spaziale” : Direttora, abbiamo un problema!
Il vostro inviato è serenamente rassegnato all’invecchiamento, ma si ribellerà sempre con forza all’accanimento produttivo su qualsiasi saga di valore.
La saga di “Scream” è stata amata da milioni di fan, diventando meritoriamente prima un cult e poi oggetto di un’altrettanta fortunata parodia come “Scary movie”
Ma se nel 2022 avevo accettato con estrema fatica “Scream 5”, giustificato dall’operazione “nostalgia” con l’utilizzo del cast originale.
“Scream 6” è tutto tranne che un horror, quanto piuttosto un pasticciato e confuso tentativo creativo oltre che produttivo di “spremere fino all’ultimo dollaro” da un format ormai esangue.
Gli sceneggiatori di “Scream 6” ha tentato maldestramente di scrivere da una parte un nuovo inizio della saga rinnovando parte del cast e soprattutto inventando nuovi folli e pericolosi adepti di Ghostface e dall’altra di creare un ponte narrativo tra i vecchi episodi e questo sesto con l’unico scopo di soddisfare i vecchi fan e conquistare dei nuovi.
Una scelta drammaturgica che si è rivelata debole e di corto respiro fin dalle prime scene, osservando come vecchi e nuovi personaggi funzionano solamente quando rievocano il passato più che agire nel presente per salvarsi dalla nuova minaccia.
L’unica vera e sostanziale novità di questo episodio ovvero: lo spostamento dalla cittadina di Woodsboro alla” città che non dorme mai alias New York” è appena sfruttato dal regista, utilizzando solamente ad esempio la celebre metropolitana nella parte finale.
“Scream 6” ha poco o nulla dell’originale firmato da Wes Craven, esagerando con le scene splatter, combattimenti piuttosto inverosimili e ferite mortali poi divenute semplici ferite da curare.
Dispiace per la volenterosa Melissa Barrera e per l’ormai famosa Jenna Ortega (Mercoledi di Tim Burton), ma nei panni di sorelle maledette sono davvero poco credibili anche per colpa di un pessimo script.
Poco o nulla, a mio modesto parere, si salva da “Scream 6” dove l’altra novità significativa è ovviamente uno spoiler da non poter rivelare, ma che una volta scoperto lascia piuttosto perplessi pensando ad altri horror con famiglie diversamente cattive.
Sicuramente queste mie affermazioni strideranno con i giudizi degli altri e soprattutto con i numeri del Box office, ma anche in questo caso siamo abituati.
Un ultimo cosa: le regole di buon horror rimangono valide, ed ribaltarle o riscriverle non sempre è un elemento positivo anzi.
Un gruppo di donne subisce ogni tipo di sopruso e violenza dagli uomini che fanno parte della loro stessa comunità religiosa. Quando questi ultimi stanno per uscire dal carcere, cosa faranno queste donne? Riusciranno a perdonare? Come faranno a conciliare il dolore subito con il ritorno dei mostri nella loro vita?
Recensione:
Notizie , racconti, echi di violenza domestica, femminicidio, umiliazioni , vessazioni subite dalle donne da parte dei propri mariti, padri e/o fratelli sono diventate tragicamente una costante di questa nostra quotidianità malata.
Le quattro mura di casa, la famiglia non sono più una protezione, uno scudo per le donne, bensì un luogo da cui scappare.
Se non ti puoi fidare degli affetti più cari divenuti i primi carnefici, cosa può fare una donna se non unire le forze con altre donne vittime di questa brutalità?
“L’unione fa la forza” sostiene un vecchio proverbio e mai come nel caso di “Women Talking” tratto dall’omonimo romanzo di Miriam Toews ed a propria volta liberamente ispirato a fatti realmente accaduti in una piccola e sperduta comunità mennonita situata in Bolivia, possiamo ascoltare, vedere , percepire il senso più intimo e profondo di questo proverbio.
“Women Talking” racconta la drammatica, intensa, sconvolgente riunione indetta dalle nove donne e ragazze più influenti dalla comunità con lo scopo di decidere il futuro di tutte le donne di fronte all’imminente rilascio dei loro uomini/aguzzini?
Quale è la decisione più giusta da prendere?
Una votazione ha cristallizzato la situazione d’impasse tra tre opzioni: non fare nulla, restare e combattere o andarsene.
Queste nove donne hanno il gravoso compito di indicare la strada, una soluzione. Donne di diverse età, caratteri e personalità ma accomunate dall’essere state stuprate , tradite ed ingannate per anni dagli uomini della loro stessa comunità.
Si può perdonare un padre, fratello stupratore?
Si può fare finta di nulla?
È legittimo provare odio e sete di giustizia?
Le bambine frutto di queste ripetute violenze hanno diritto ad un’altra vita?
I bambini, i ragazzi invece devono essere lasciati indietro o portati con sé sperando che non sia tardi per “educarli” diversamente?
Sono alcune delle domande angoscianti e strazianti che le protagoniste si pongono entrando spesso in un vibrante conflitto tra loro .
Ma allo stesso tempo da una parte scattano le condizioni ideali per un processo al “genere maschile” colpevole di precisi e gravi crimini e dall’altro emergono le sottili quanto profonde sfumature sulle conseguenze psicofisiche che rimangono in una donna vittima di violenza
Sarah Polley firma una sceneggiatura solida, incisiva, avvolgente, dura, ma con la presenza negativa di alcuni passaggi un po’ verbosi e retorici.
“Women Talking” mi ha personalmente ricordato il film “Il Dubbio” di John Patrick Shanley per alcuni aspetti strutturali e soprattutto nell’approccio narrativo ed interpretativo riguardo la tematica religioso. Lo spettatore “maschio” è costretto ad un ascolto duro, spietato in cui emergono il suo lato peggiore raccontato con grande abilità, talento, passione e credibilità da un cast artistico quasi completamente femminile in uno vero stato di grazia.
L’unico personaggio maschile è quello di Melvin interpretato con analoga bravura ed empatia da Ben Whishaw.
Melvin è inizialmente silenzioso , schivo, intimidito dalle rabbiose quante amare parole pronunciate dalle donne, ma delegato a stendere il verbale di questa assemblea.
Melvin scrive, annotta , ma di fatto partecipa al travaglio interiore ed esistenziale delle nove donne.
“Women Talking” è una storia di violenza, abusi e legami di fiducia infranti, ma nonostante ciò conserva una valenza liberatoria e speranzosa con un finale magari un po’ prevedibile nella messa in scena, ma capace di strappare un commosso sorriso al pubblico in sala ed al genere umano in generale.
“Holy Spider” è un film di Ali Abbasi. Con Mehdi Bajestani, Zahra Amir Ebrahimi, Arash Ashtiani, Forouzan Jamshidnejad. Thriller, 117′. Francia, Germania, Svezia, Danimarca 2022
Sinossi:
Siamo a Mashhad, seconda città più grande dell’Iran e importante sito religioso. Nel 2000, un serial killer locale inizia a prendere di mira le prostitute per strada, strangolandone diciassette dopo averle attirate una ad una a casa sua. La stampa lo chiama “il ragno”, e tra i giornalisti che coprono il caso c’è Rahimi, una donna che viene da Teheran e si mette sulle tracce dell’assassino. L’uomo si rivelerà essere Saeed Hanaei, ex-militare convinto che Dio gli abbia affidato la missione di liberare la città dalle donne indegne che vendono il proprio corpo.
Recensione:
“Holy spider” di Ali Abbasi arriva al cinema, dopo essere stato presentato con discreto successo nei Festival internazionali lo scorso anno – l’attrice protagonista, Zahra Amir Ebrahimi, si è aggiudicata la Palma d’oro a Cannes per la sua interpretazione.
La cinematografia occidentale è piena di film che hanno come protagonista un serial killer che sceglie le donne come vittime, ma spostate la storia in Iran e questa assumerà caratteristiche innovative e tinte problematiche inedite per il grande pubblico.
Nella Repubblica islamica d’Iran la donna è considerata giuridicamente inferiore all’uomo e il fanatismo religioso è utilizzato come giustificazione per ogni nefandezza. continua su
Il biglietto d’acquistare per “The Quiet Girl” è : Di Pomeriggio
“The Quiet Girl” è un film del 2023 scritto e diretto da Colm Bairéad, basato sul racconto “Foster” di Claire Keegan, con : Catherine Clinch, Carrie Crowley, Andrew Bennett, Michael Patric, Kate Nic Chonaonaigh, Joan Sheehy, Tara Faughnan, Neans Nic Dhonncha, Eabha Ni Chonaola, Carolyn Bracken
Sinossi:
The Quiet Girl, il film diretto da Colm Bairéad, è ambientato nell’Irlanda rurale del 1981 e racconta la storia di Cáit (Catherine Clinch), una tranquilla bambina di nove anni, che proviene da una famiglia problematica, povera, con molti figli e in attesa di un altro bambino. Data la situazione, i genitori decidono di allontanarla durante l’estate e affidarla a una coppia di lontani parenti, Seán e Eibhlín (Andrew Bennett e Carrie Crowley) Kinsella. Cáit non ha mai incontrato la coppia prima di quel momento, non sa quando e né se mai farà ritorno a casa, perché con sé non ha portato nulla, a parte l’abito che indossa. I Kinsella sono una coppia di mezza età, che vivono in campagna e conducono una vita dignitosa, che accettando di prendersi cura di Cáit, donandole diversi vestiti e trattandola con premura.
Inizialmente la giovane si avvicina più a Eibhlín, che sin da subito l’accoglie calorosamente, a differenza di Seán, che sembra più schivo nei suoi confronti, ma col tempo anche il rapporto tra lui e Cáit si distende. Insieme ai due, la ragazza sboccia scoprendo un nuovo modo di vivere. Eppure, nella sua nuova casa, dove riceve molto affetto e non ci dovrebbe essere alcun segreto, Cáit ne scopre uno.
Recensione:
Esistono film capaci di toccare le corde più intime e profonde dello spettatore diventando “memorabili” o “unici” anche al netto di vizi narrativi e limiti registici.
Ci sono sceneggiature semplici, magari non originali, ma scritte e soprattutto poi rese in modo magistrale dagli interpreti sulla scena al punto da farti immedesimare emotivamente con il /la protagonista di turno.
Chi ha pianto nel 2001 con “La Stanza del Figlio” di Nanni Moretti e più recentemente nel 2021 con “L’Arminuta” di Giuseppe Bonito, ritroverà sicuramente nella visione di “The Quiet Girl” una certa assonanza di tematiche, un evidente invito alla commozione e soprattutto una spinta a farsi coinvolgere dall’evoluzione personale ed emotiva della giovane protagonista e degli altri personaggi.
Ovviamente il vostro vecchio e cinico invitato pur apprezzando complessivamente l’opera prima di Colm Bairéad e soprattutto colpito dalla straordinario esordio della giovanissima Catherine Clinch e l’incredibile disinvoltura nel reggere quasi per intero il peso del film, non è uscito fuori dalla sala gridando al capolavoro e/o invocando la vittoria di Bairead come miglior film straniero alla prossima notte degli Oscar.
“The Quiet Girl” come anticipa lo stesso titolo “la ragazza silenziosa” è il racconto di una ragazza, una figlia non desiderata, mai compresa dalla famiglia d’origine , che ha trovato nel silenzio l’unico strumento di protesta e d’esternazione del proprio dolore e solitudine.
Cait si sente incompresa e sbagliata così quando viene spedita per un periodo dalla cugina dalla madre, non immagina che possa esistere una casa in cui si dà e riceve affetto, cura e sostegno reciproco
“The Quiet Girl” è caratterizzato da una struttura solida quanto compassata e lenta nel ritmo , allungando oltre il necessario almeno per noi, il momento di svolta o se preferite il raggiungimento del focus emozionale e narrativo.
Il silenzio e la scelta di pochi dialoghi tra i personaggi pur rappresentando una scelta drammaturgica vincente ed un valore aggiunto per l’intero cast artistico , produce nella prima parte un effetto soporifero per lo spettatore.
“The Quiet Girl” è quel genere di film che colpisce e scuote le più solide e radicate certezze sull’idea di famiglia e sul rapporto figli genitori, evidenziando come “il legame di sangue” non corrisponda un vero legame affettivo.
Il biglietto d’acquistare per “Tramite Amicizia” è : Omaggio
“Tramite amicizia” è un film del 2023 diretto da Alessandro Siani, scritto da Gianluca Ansanelli, Alessandro Siani, con : Alessandro Siani, Max Tortora, Matilde Gioli, Paola Lavini, Miloud Mourad Benamara, Maria Di Biase, Yari Gugliucci, Cecilia Dazzi, Germano Lanzoni.
Sinossi:
Tramite Amicizia, il film diretto da Alessandro Siani, racconta la storia di Lorenzo (Alessandro Siani), a capo dell’agenzia Tramite Amicizia, un’agenzia molto speciale perché si occupa di noleggio di amici. Nel caso in cui una persona necessiti di un conforto, di compagnia, di fare shopping o di un semplice consiglio, Lorenzo si propone come il perfetto finto amico nel momento del bisogno.
Quando però ad aver bisogno dei servizi della sua agenzia saranno dei suoi parenti, il suo compito si rivelerà più difficile del solito. Questi suoi famigliari sono dipendenti di una fabbrica di dolci e il proprietario, Alberto Dessè (Max Tortora), che sta passando una profonda crisi personale, ha deciso di venderla.
Alberto si sente solo e ha perso entusiasmo e fiducia nella vita e nei suo progetti, insomma ha proprio bisogno di un amico. Lorenzo deve riuscire a far star meglio Alberto, dissuaderlo dal mollare tutto e salvare centinaia di posti di lavoro, tra cui quello dei suoi parenti.
Ad aiutarlo nella delicata impresa ci saranno anche sua cugina Filomena (Maria Di Biase) e la sua amica Maya (Matilde Gioli).
Recensione:
“Chi trova un amico trova tesoro” recita un popolare proverbio.
Cicerone ha scritto probabilmente l’opera più importante con “Il De Amicitia”
“Non dico che dividerei una montagna
ma andrei a piedi certamente a Bologna
per un amico in più.” cantava nel 1982 Riccardo Cocciante.
L’Amicizia è un sentimento, un valore, un sostegno che cerchiamo, bramiamo per tutta la vita.
L’arrivo dei social network ha “distorto” il senso di questo nobile legame, riducendolo ad un effimera e fasa esaltazione del proprio io.
Ma nel momento del vero bisogno, su quali e quante persone possiamo davvero contare?
Sono poche, per non dire rare le spalle a cui aggrapparsi: veri amici.
Ci illudiamo d’essere forti, indipendenti, ma nella realtà siamo fragili e desiderosi d’essere ascoltati, compresi e coccolati.
Avere amico disponibile in qualsiasi momento è raro se non impossibile, invece pagando un professionista potreste trovarvi Lorenzo, l’uomo che ha trasformato l’amicizia in un redditizio business.
“Tramite amicizia” è decisamente il film “meno” brillante, leggero, spensierato firmato da Alessandro Siani nella sua carriera artistica.
“Il Tempo delle Favole è finito” ha dichiarato lo stesso Siani in conferenza stampa spiegando che il film è nato dalla propria esigenza umana oltre che creativa di raccontare , a modo suo, il Paese reale uscito da una parte prostrato dalla pandemia e dall’altra desiderosa di recuperare il tempo perduto con i propri cari ed amici.
Con “Tramite Amicizia” Alessandro Siani ha cercato di scrollarsi di dosso i panni stretti del comico tout court ,reinventandosi come osservatore semi impegnato della nostra società.
Era ed è un’aspirazione legittima quella dell’attore napoletano di ripetere magari il percorso di Roberto Benigni, ma che si è scontrata con la dura realtà cinematografica,
Siani e l’altro sceneggiatore Ansanelli hanno scritto una sceneggiatura complessivamente debole, abbozzata nei personaggi maschili principali (Siani e Tortora) e forzata quanto inutile in quello femminile affidato alla volenterosa e poco più Matilde Gioli.
“Tramite amicizia” vorrebbe strizzare l’occhio al pubblico che ha amato il film francese “Quasi Amici”, senza però possederne incisività, profondità ed intensità .
“Tramite amicizia” ha qualche slancio godibile e vivace grazie alla presenza poco sfruttata di Maria De Biase , si ride per qualche battuta (alla Siani), ma il contesto narrativo è sfilacciato all’inizio, dispersivo nella parte centrale e troppo buonista nel finale.
La scelta della distribuzione di far uscire il film nel giorno di San Valentino forse farà storcere il naso ai romantici insieme ai fan duri e puri di Siani, ma quantomeno darà la giusta visibilità all’Amicizia come forza unica , insostituibile e soprattutto gratuita per chi lo merita veramente.
Il biglietto d’acquistare per “Till” è : Omaggio (Con Riserva)
“Till” è un film del 2022 diretto da Chinonye Chukwu, scritto da Chinonye Chukwu e Michael Reilly, Keith Beauchamp, con : Danielle Deadwyler, Jalyn Hall, Jamie Renell, Whoopi Goldberg, Sean Patrick Thomas, John Douglas Thompson, Gem Collins, Diallo Thompson, Tyrik Johnson, Enoch King, Haley Bennett, Carol J. Mckenith, Elizabeth Youman, Keisha Tillis, Sean Michael Weber, Njema Williams.
Sinossi:
Till – Il coraggio di una madre, il film diretto da Chinonye Chukwu, racconta la vera storia di Mamie Till-Mobley (Danielle Deadwyler), una segretaria d’azienda che dopo l’atroce omicidio del figlio quattordicenne Emmett (Jalyn Hall), diventa un’attivista per i diritti degli afro-americani.
Nel 1955, Emmett Till che vive a Chicago con sua madre, va a passare l’estate da suo cugino in Mississippi. Mamie, dopo aver fatto le dovute raccomandazioni, saluterà il figlio e non lo rivedrà mai più. Il ragazzo sarà rapito e brutalmente ucciso, accusato di essersi comportato in modo inappropriato nei confronti di una donna bianca.
Il processo sarà molto breve e gli assassini verranno assolti da una giuria di soli bianchi. Mamie, travolta dal dolore e decisa a ottenere una forma di giustizia, decide di organizzare un funerale con la bara del figlio aperta per mostrare a tutti quello che gli avevano fatto. In quell’occasione dichiarerà: “Voglio che il mondo intero veda quello che hanno fatto al mio bambino.”
Recensione:
Oggi fare un apprezzamento, un complimento ad una donna si rischia di d’essere etichettato come una persona molesta e soprattutto d’ essere “lapidato” nei “tribunali” dei social.
Ma se vi dicessi che nel 1955, un analogo comportamento da parte di un nero verso una donna bianca, poteva avere come conseguenza la tortura e morte del molestatore?
Ed ancora se il “molestatore” fosse stato un minorenne ignaro delle “regole” vigenti in spregio allo stato di diritto?
E se questa storia di folle ed ingiustificabile “giustizia” si fosse verificata negli Stati Uniti?
Direste impossibile comprensibilmente, ma sfortunatamente cadreste in errore.
“Till” è il terribile, mesto, sconvolgente racconto di una tragedia annunciata, nel momento in cui Emmett superando le resistenze e timori di sua madre Till, decise di trascorrere una settimana di vacanza dai suoi cugini nel Mississippi .
Una “vacanza” che agli occhi e cuore di sua madre rappresentavano un grave pericolo per un figlio vissuto sempre a Chicago ed ignaro di come i neri del Sud erano costretti a subire minacce, violenze ed umiliazioni di ogni genere.
Per Emmett invece quella settimana rappresentava il primo viaggio da solo oltre che un modo per conoscere la sua famiglia d’ origine.
Ma nessuno avviso, raccomandazione, esortazione possono fermare l’ingenua esuberanza di un ragazzo.
Emmett non sapeva che il suo “fischiare” ad una donna bianca in un bar lo avrebbe condotto alla morte tra atroci sofferenze.
E’ la cronaca di una morte annunciata quella che Chinonye Chukwu decide di mettere in scena schierandosi in modo netto e chiaro dalla parte di mamma Till, costretta a lottare contro lo Stato del Mississippi prima per riavere il corpo martoriato del figlio e poi di portare alla sbarra i suoi aguzzini.
Il corpo martoriato di Emmett diventerà l’arma, il megafono di Till nell’urlare tutto il proprio dolore e rabbia contro gli assassini del figlio.
Una messa in scena di stampo televisivo e una sceneggiatura piuttosto essenziale , oseremo dire manichea nell’individuare i buoni ed i cattivi di assassinio che sconvolse l’America.
Till prima della morte di Emmett, era stata una donna nera inserita in un contesto di bianchi, assai lontana dai “problemi” vissuti dai fratelli nel Sud del Paese.
La tragedia trasformò Till in una madre desiderosa di giustizia oltre che una convinta attivista dei movimenti anti apartheid.
“Till” è quel genere di film in cui la tematica, il messaggio supera e copre anche i limiti strutturali, registici di un progetto forse realizzato fuori tempo massimo.
Eppure Till è una storia che da una parte colpisce, scuote le coscienze e dall’altra lascia un profondo sentimento disconcerto nell’apprendere che nessuno pagò per l’omicidio di Emmett
Un’ingiustizia certificata, senza alcuna vergogna, dai tribunali americani .
L’ omicidio di Emmett rappresentò una delle pagine più buie della democrazia americana, ma fu anche l’inizio di una battaglia durata oltre cinquant’anni affinché il legislatore inserisca il reato di tortura a scopo razziale nel diritto penale.
Till è un film alla memoria di una madre coraggiosa e di una giovane vita spezza crudelmente , ma è anche il monito /speranza che non esistano in America altri casi analoghi.
“Argentina 1985 “ è un film del 2022 diretto da Santiago Mitre , scritto da Mariano Llinás, Santiago Mitre, con : Ricardo Darín, Peter Lanzani, Gina Mastronicola, Norman Briski, Alejandra Flechner, Francisco Bertín, Claudio Da Passano, Santiago Armas Estevarena, Paula Ransenberg, Carlos Portaluppi, Alejo Garcia Pintos, Héctor Díaz.
Sinossi:
Argentina, 1985, film diretto da Santiago Mitre, vede una squadra di avvocati alle prese con un processo, che coinvolge i comandanti della dittatura militare argentina negli anni ’80. Il processo ha avuto inizio, dopo che i procuratori Julio Strassera e Luis Moreno Ocampo (Ricardo Darín e Peter Lanzani) hanno indagato sugli eventi accaduti sotto il regime. I due non si sono mai scoraggiati, nulla li ha fermati, neanche la massiccia presenza dei militati all’interno della loro instabile democrazia. Nonostante le diverse minacce pervenute a loro stessi e alle loro famiglie, Strassera e Moreno Ocampo hanno riunito una squadra legale e lottato affinché le vittime potessero avere giustizia.
Mentre vengono affrontate le terribili vicende che hanno portato i comandanti a essere accusati per crimini contro l’umanità, il tempo incalza e il processo volge a termine verso il suo esito finale.
Recensione:
Il biglietto d’acquistare per “Argentina 1985” è : ridotto
La Storia irrompe nel concorso principale di Venezia 79 con tutta la sua forza, drammaticità e solennità , trasformando in un caso politico oltre che artistico il passaggio di “Argentina 1985 “di Santiago Mitre.
La stampa internazionale si è innamorata del film argentino vaticinandogli un sicuro podio nella notte dei premi.
Il sottoscritto è decisamente meno fan, pur riconoscendo buone chance di vittoria per Mitre.
Santiago Mitre si è preso la grande responsabilità di raccontare per la prima volta passaggio più delicato e difficile della giovane democrazia argentina : il processo celebrato contro i 9 comandanti responsabili di 7 anni di puro terrore subiti dal popolo argentino
L’ Argentina ha vissuto un incubo ad occhi aperti dal 24 Marzo 1976 al 1982, portandosi dietro una scia di sangue, dolore e crimini contro l’umanità.
Quando nel 1983 la democrazia è tornata .a Buenos Aires, nessuno argentino poteva e voleva dimenticare quanto successo.
In ogni famiglia c’è stato un evento traumatico:
Un figlio, un padre, un mamma , cugino rapito, torturato e poi scomparso nel nulla
Nessuna democrazia può ritenersi tale se non si è in grado di processare e condannare i crimini dei capi.
Nell’Argentina uscita dalla dittatura si respirava da una parte il desiderio , necessita di giustizia invocata dall’opinione pubblica trascinando i militari alle sbarra e dall’altra il neo governo socialiste del Presidente Alfonsino che si muoveva con prudenza, stretto tra due fuochi, consapevole che i nostalgici del regime non avrebbero accettato tranquillamente una “Norimberga” di stampo argentino.
“Argentina 1985” pur rievocando le diverse tappe del processo e così collocandosi in un preciso filone cinematografico alias “Processo alla storia”, va però evidenziato come la sceneggiatura e poi la messa in scena si distacchi chiaramente da altri film di genere.
Il processo di Norimberga o quello celebrato in Israele contro il gerarca nazista Adolf Eichmann, sono stati definiti storici , necessari e soprattutto simbolici.
La determinazione dei vincitori del secondo conflitto mondiale e poi degli ebrei di consegnare la follia nazista al giudizio della Storia prima ancora che alla sentenza di un giudice
Invece fin dalle prime scene emerge un sentimento diametralmente opposto magistralmente reso dai personaggi di Argentina 1985.
Si voleva dimostrare che la nuova Argentina fosse nelle condizioni di garantire un processo equo anche agli più efferati dei criminali.
Giustizia e verità erano invocate dall’opinione pubblica e dai familiari delle vittime.
Dimostrare d’essere migliori ,non cedendo al facile istinto di vendetta.
Lo spettatore entra in questa storia processuale e di dolore collettivo percependo una dignità e compostezza anche nei momenti più intesi e terribili come ad esempio le testimonianze dei sopravvissuti alle torture.
“Argentina 1985” ci mostra lo snodo decisivo ed unico di un Paese che scelse di guardare in faccia i propri demoni , anziché chiudere tutto in un comodo armadio.
Julio Cesar Strassera(Darin) è uomo delle istituzioni, un funzionario della giustizia si definisce lui stesso cosi.
È soprannominato il “loco”, ha sofferto gli anni della dittatura , senza mai schierarsi.
Strassera ha accettato l’incarico nutrendo molti dubbi che il governo socialista consenta realmente che questo processo venga celebrato.
Paradossalmente quanto inaspettatamente Strassera troverà aiuto e sostegno legale da un team di giovani avvocati ed invece incontrando scetticismo e rifiuto dai suoi coetanei.
La preparazione del processo assume così un aspetto simbolico oltre che
generazionale.
Strassera con il suo giovane team incarna un patto intergenerazionale, uniti nel chiedere conto delle atrocità commesse dai militari
“Argentina 1985” è allo stesso tempo un legal movie, sulla memoria, sulla resistenza civile e democratica.
Mitre evita il facile sensazionalismo e retorica sui fatti , misurando con intelligenza i momenti forti e significativi
Strassera chiude l’appassionante requisitoria chiedendo giustizia e promettendo “nunca mas” in nome della giovane ed orgogliosa Repubblica Argentina.
Lo spettatore se lo ripeterà convintamente alla fine apprezzando di vivere in un mondo ancora libero.
“Marcel- The Shell” è un film di Dean Fleischer-Camp. Con Jenny Slate, Dean Fleischer-Camp, Isabella Rossellini, Joe Gabler, Shari Finkelstein. Commedia, animazione 90′. USA 2021
Sinossi:
Marcel è una creatura minuscola e strana: una conchiglia con un occhio di plastica, una bocca disegnata e scarpe da ginnastica ai piedi. Non è più grande di una noce e vive in una casa gigantesca con la nonna Connie, anche lei una mezza conchiglia, solo un po’ più grande. Marcel si racconta alla camera di Dean, un regista che ha affittato su Airbnb la casa, un tempo abitata da una coppia poi separatasi: parla di sé, delle sue idee, dei suoi giochi, dei suoi piccoli stratagemmi per mangiare e divertirsi. Dopo aver caricato su internet alcuni video, Marcel diventa una celebrità e non crede ai suoi occhi quando gli autori dell’adorato programma 60 Minutes lo contattano per esaudire il suo sogno: ritrovare la sua famiglia (cioè altri piccoli esseri animati ricavati da conchiglie o noccioline) e tornare a vivere in una comunità.
Recensione:
Appartengo a una generazione per cui con l’aggettivo “virale” ci si riferiva a malanni e influenze, grazie alle quali saltare magari qualche giorno di scuola. Nel corso degli anni questa parola ha ampliato il suo significato, diventando anche l’unità di misura con cui stabilire il successo e la popolarità di un personaggio oppure di un evento sul web.
Personalmente rimango fedele all’originale, perché dal mio punto di vista i fantomatici contenuti virali si rivelano molto spesso grandi bluff e meri fenomeni costruiti ad hoc.
Non me vogliano Dean Fleischer-Camp e Jenny Slate ideatori del cortometraggio “Marcel the Shell”, divenuto virale su YouTube nel 2010 e poi sviluppatosi negli anni in altri due lavori, e adesso diventato anche un lungometraggio, candidato anche agli Oscar come miglior film di animazione. continua su