148) Tully

Il biglietto da acquistare per “Tully” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre (con riserva)

“Tully” è un film di Jason Reitman. Con Charlize Theron, Mackenzie Davis, Ron Livingston, Mark Duplass, Emily Haine. Commedia, 95′. USA 2018

Sinossi:

Marlo ha passato i quaranta, ha tre figli – di cui uno appena nato -, un marito e una casa di cui prendersi cura e non ne può proprio più. Il fratello Craig le offre come regalo di maternità una nanny notturna, Tully. Inizialmente Marlo fatica ad abituarsi ai modi inconsueti e stravaganti della baby sitter in skinny jeans, e ai numerosi cambiamenti apportati alla sua sfibrante routine serale dalla ragazza, ma col tempo tra le due nascerà un sincero legame di amicizia…

Recensione:

La depressione post partum, che colpisce un alto numero di donne dopo la nascita di un figlio, è un tema di cui si sente parlare oggi – non sempre con cognizione di causa – di frequente. Da quello che si legge, però, sembrerebbe che il fenomeno interessi solo le primipare. È davvero così? Una donna che ha già uno o più bambini è immune da nevrosi, sofferenza e affini?

Quelle che posso sembrarvi domande provocatorie sono in realtà il convincente ed efficace punto di partenza dell’intensa, malinconica e toccante sceneggiatura di “Tully”, firmata dal premio Oscar Diablo Cody.

Il film apre uno squarcio sulla maternità, non limitandosi ai soliti luoghi comuni e cliché, ma approfondendo con acutezza, sensibilità e soprattutto con creatività quanto possa essere delicata e fragile la psiche di una donna in determinate condizioni.

Ma attenzione, caro spettatore, “Tully” non è il classico e temibile mattone femminista e retorico. È tutt’altro! Potremmo definirlo un incrocio tra una rilettura contemporanea di “Mary Poppins” e una rivisitazione di “Fight club”… in rosa, ovviamente.

Jason Reitman, confermandosi regista di grande talento, innovativo e moderno, costruisce una commedia agrodolce capace di conquistare e spiazzare, allo stesso tempo, chi guarda. continua su

http://paroleacolori.com/tully-gioie-e-dolori-della-maternita-in-una-commedia-non-scontata/

147) L’Albero Del Vicino

Il biglietto d’acquistare per “L’Albero del Vicino” è: Ridotto.

“L’Albero del Vicino” è un film del 2017 diretto da Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, scritto da Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, Huldar Breidfjord, con : Steinþór Hróar Steinþórsson, Edda Björgvinsdóttir, Porsteinn Bachmann, Selma Björnsdóttir, Dóra Jóhannsdóttir.
Sinossi:
Agnes (Lára Jóhanna Jónsdóttir) e Atli (Steinþór Hróar Steinþórsson) sono una giovane coppia con una bambina. A seguito della scoperta di un suo tradimento, la moglie caccia di casa Atli, imponendogli di non vedere più la figlia. L’uomo si trasferisce così a casa degli eccentrici genitori, Inga (Edda Björgvinsdóttir) e Baldvin (Sigurður Sigurjónsson), dove trova però una situazione ancora più tesa. Da una banale disputa su un albero, che fa ombra al giardino dei vicini, nasce un clima di crescente tensione e sospetto, che trascina ben presto i protagonisti in un vortice di odio e violenza. Mentre Atli lotta per ottenere il diritto di vedere la figlia, la lite con i vicini si intensifica: la proprietà subisce danni, animali scompaiono nel nulla, vengono installate telecamere di sicurezza e gira voce che il vicino sia stato visto con una motosega in mano.

Recensione:
La storia ci insegna, purtroppo, quanto sia sufficiente un pretesto, un piccolo incidente, una provocazione per scatenare tra due persone un drammatico e spesso tragico conflitto se non addirittura dare il via anche ad un conflitto mondiale.
L’uomo è capace di compiere atti di straordinaria gentilezza ed altruismo ed allo stesso tempo può essere responsabile di gesti e azioni orribili quanto feroci.
È più “facile” e “semplice” discutere, litigare, venire alle mani con uno sconosciuto, con il tuo vicino di casa piuttosto che cercare la via del dialogo, dell’ascolto e del compromesso.
Viviamo un ‘epoca caratterizzata dall’egoismo ed invidia e dove la parola “condivisione” ha assunto un significato narcisistico e commerciale, perdendo l’originale valore positivo, religioso e pacificatorio.
“L’Albero del vicino” di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, presento nella sezione Orizzonti di Venezia 74 e candidato all’Oscar come miglior film straniero dall’Islanda, è un magistrale, angosciante, cupo e riuscito affresco dell’involuzione sociale, culturale ed emotiva che sta colpendo la nostra società.
Un banale e comune disputa tra vicini per la potatura di un albergo, nella pacifica città islandese di Reykjavik, si tramuta ben presto in una crescente spirale d’odio e violenza, lasciando stupefatto e sconvolto lo spettatore.
“L’albero del vicino” è una storia d’ordinaria follia in chiave islandese ma che contiene un respiro narrativo ed emotivo universale imponendo allo spettatore un duro esame di coscienza in che modo si relaziona ogni giorno con il prossimo e quante volte faccia prevalere l’istinto sulla razionalità.
“L’albero del vicino” mostra in modo efficace, profondo e preoccupante come per futili motivi un uomo possa toccare vette inaudite di follia e cattiveria.
I due sceneggiatori firmano una storia semplice, lineare quanto potente ed urgente gettando le basi per una storia intensa, ricca di sfumature psicologiche e colpi di scena e caratterizzata da un crescente ritmo e pathos narrativo. continua su

http://www.nuoveedizionibohemien.it/index.php/appuntamento-al-cinema-67/

146) Il sacrificio del cervo sacro

Il biglietto da acquistare per “Il sacrificio del cervo sacro” è:
Nemmeno regalato. Omaggio (con riserva). Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“Il sacrificio del cervo sacro” è un film di Yorgos Lanthimos. Con Nicole Kidman, Alicia Silverstone, Colin Farrell, Bill Camp, Raffey Cassidy. Drammatico, 109’. Gran Bretagna, USA 2017

Sinossi:

Steven è un cardiologo: ha una bellissima moglie, Anna, e due figli, Kim e Bob. All’insaputa di costoro, tuttavia, si incontra frequentemente con un ragazzo di nome Martin, come se tra i due ci fosse un legame, di natura ignota a chiunque altro. Quando Bob comincia a presentare degli strani sintomi psicosomatici, la verità su Steven e Martin sale a galla.

Recensione:

La famiglia può essere considerata ancora oggi il cuore e il centro della società? Un’istituzione che gode di buona salute, all’interno della quale trovare serenità e accoglienza? Oppure, nel caos post-moderno, anche questo pilastro scricchiola, minato da agenti esterni e interni?

Sono le tematiche al centro del nuovo film di Yorgos Lanthimos, “Il sacrificio del cervo sacro”, presentato al Festival del cinema di Cannes 2017, che attinge a piene mani da un lato dalla classicità (chiaro il riferimento, già nel titolo, alla tragedia di Euripide “Ifigenia in Aulide”) dall’altro dal cinema di Kubrick per raccontare una storia di vendetta ed espiazione.

Quello che manca, nel film, è una qualche linearità narrativa. Soprattutto si fatica a capire come il giovane Martin – magistralmente interpretato dal carismatico Barry Keoghan – riesca non solo a insinuarsi nella vita della famiglia di Steven (Farrell) e Anna (Kidman) ma addirittura a divenire una sorta di Deus ex machina, decidendo vita e morte altrui. continua su

http://paroleacolori.com/il-sacrificio-del-cervo-sacro-quando-la-famiglia-perfetta-scricchiola/

145) Favola

Il biglietto da acquistare per “Favola” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“Favola” è un film di Sebastiano Mauri. Con Filippo Timi, Lucia Mascino. Commedia, 87’. Italia, 2017

Sinossi:

Mrs. Fairytale e Mrs. Emerald: due amiche che si confidano segreti, ricette e insoddisfazioni all’interno di una casa modello americana anni ’50. Vetrate e tramonti alla Douglas Sirk (e Todd Haynes), abiti, acconciature e ambiguità alla Grace Kelly nella versione cinematografica della commedia del 2011 di Filippo Timi, anche qui interprete (in abiti femminili), insieme a Lucia Mascino.

Recensione:

Recita Wikipedia che per favola si intende un genere letterario caratterizzato da brevi composizioni, in prosa o in versi, che hanno per protagonisti animali– più raramente piante o oggetti inanimati – e che sono fornite di una morale.

La parola deriva dal latino “fabula”, che indicava in origine una narrazione di fatti inventati, spesso di natura leggendaria e/o mitica. Fino alla fine del XVIII secolo con questa parola si qualificarono anche i miti, mentre solo in seguito assunse il significato attuale.

Nel 2017 ha ancora senso leggere, ascoltare oppure vedere opere di questo genere? Assolutamente sì, vista la cecità dominante nella nostra società e la progressiva perdita di fantasia e immaginazione. All’arte il difficile compito di colmare questo vuoto.

“Favola” di Sebastiano Mauri è l’adattamento cinematografico dell’omonimo spettacolo teatrale di Filippo Timi del 2011, che ha riscosso un grande successo, con oltre 200 repliche in giro per l’Italia. Uno spettacolo folle, colorato, grottesco, divertente, malinconico, ironico, cinico, che al cinema mantiene le sue caratteristiche.

Merito di uno straordinario Timi nel ruolo di Mrs. Fairytale, un personaggio capace di conquistare lo spettatore con i suoi monologhi in apparenza bizzarri e gli scambi di battute con Mrs. Emerald (Mascino), altrettanto eccentrica. continua su

http://paroleacolori.com/favola-unamicizia-surreale-e-lhumor-che-si-tinge-di-dramma/

144) Il Presidente è scomparso ( Bill Clinton – James Patterson)

“Il Presidente è scomparso” è un romanzo scritto da Bill Clinton e James Patterson, pubblicato da Longanesi Editore nel giugno 2018.

Sinossi:
Il presidente è scomparso. Il mondo è sotto shock. E il motivo della sparizione è molto più grave di quanto chiunque possa immaginare… Per la prima volta un romanzo che fa vivere da protagonisti assoluti tutto ciò che realmente succede all’interno della Casa Bianca. Un thriller raccontato da un punto di vista unico: quello del presidente degli Stati Uniti.

Recensione:
Confesso che, fino a pochi giorni fa, non avevo mai letto nulla di James Patterson.
Allo stesso tempo credo d’essere stato, uno dei pochi e coraggiosi lettori, dello sterminato “My Life -The Early Years”, libro di memorie scritto da Bill Clinton nel 2005.
Lo so, ciò che avete appena letto è bizzarro per non dire assurdo a livello letterario.
A mia parziale discolpa, posso soltanto specificare come “My Life” fu un “generoso” quanto “sadico” dono fraterno per il mio compleanno.
Con queste premesse letterarie e di vita, ho deciso di leggere questo romanzo a quattro mani, già divenuto in poche settimane un best seller oltre che lodato da critica e pubblico.
Il sottoscritto che ama il ruolo del “bastian contrario” potrebbe mai sottoscrivere le lodi dei tanti?
Ovviamente no.
“Il presidente è scomparso” è un buon thriller, intendiamoci, che si fa leggere volentieri e rapidamente, trascinandoti dentro una storia piena di colpi di scena, tradimenti, inseguimenti con protagonista niente meno che il Presidente degli Stati Uniti.
“Il presidente è scomparso” ha un respiro molto cinematografico spingendo il lettore non soltanto ad immaginare le scene appena lette, ma anche a fantasticare quali attori e attrici potrebbero interpretare i diversi personaggi presenti nel romanzo sul grande schermo.
Qual è dunque il problema?
Semplicemente che “il presidente è scomparso” ad oggi è un romanzo e non un film e mi sarei aspettato di leggere un romanzo costruito seguendo le regole e lo stile di un ‘opera letteraria.
Invece ho avvertito fin da subito la sensazione che Patterson e Clinton si fossero già portati avanti con l’ambizioso e probabile adattamento cinematografico
“Il presidente è scomparso” appare infatti più una prima bozza di una sceneggiatura cinematografica che un romanzo vero e proprio.
La prima intensa scena in cui Jonathan  Duncan, Presidente degli Stati Uniti, è costretto a difendere il proprio operato di fronte alla Commissione speciale della Camera, incalzato dalle ciniche ed arroganti domande di Lester Rhodes, suo avversario politico e con malcelate ambizioni presidenziali, risulta il convincente prologo di un film di grande impatto emotivo oltre che politico.
Leggendo “Il presidente è scomparso” vi sembrerà di vivere una storia a metà strada tra il primo “Independence day” e l’insulsa ma popolare saga di “Attacco al Potere”, dove si alternano ottimi passaggi narrativi e politici ad altri invece piuttosto retorici e prevedibili.
“Il presidente è scomparso” era un romanzo dalle grandi potenzialità potendo contare sul contributo “professionale” di Bill Clinton, nelle vesti di ex presidente, oltre che garantire autenticità, solidità e credibilità all’intero e complesso intreccio narrativo.
Invece il “contributo clintoniano” si nota solamente a sprazzi ed in larga parte piegato alle esigenze narrative di Patterson e probabilmente alle aspettative commerciali dell’editore.
“Il presidente è scomparso” poteva essere un romanzo di gran lunga più “realista”, “duro”, “stimolante” e soprattutto di “rottura” sul piano letterario rispetto agli altri romanzi di genere.
Sebbene deluso per un’occasione non completamente sfruttata , ribadisco il talento e creatività dei due autori nel conquistare ed avvolgere, con un costante pathos e ritmo narrativo, l’attenzione e curiosità del lettore fino all’ultima pagina.
Terminata la lettura del romanzo, semmai il lettore si chiederà perplesso oltre che preoccupato se “La Guerra Fredda “si sia davvero conclusa con la dissoluzione dell’Urss, o se, nella migliore tradizione gattopardiana, abbia solamente cambiato nome

143) Una vita spericolata

Il biglietto da acquistare per “Una vita spericolata” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“Una vita spericolata” è un film di Marco Ponti. Con Lorenzo Richelmy, Matilda De Angelis, Eugenio Franceschini, Antonio Gerardi, Massimiliano Gallo. Commedia, 102′. Italia 2018

Sinossi:

Roberto (Richelmy) è un giovane meccanico pieno di debiti che vive in un paese che ormai stanno tutti abbandonando. Una richiesta di prestito negata dalla banca si trasforma casualmente in rapina e fuga con ostaggio! Roberto, insieme a BB, suo miglior amico ex campione di rally, e Soledad (De Angelis), teenager superstar ora in disgrazia ma ancora famosissima, inizia una folle corsa attraverso l’Italia. Tra inseguimenti, spargimenti di sangue e di soldi, la loro fuga sarà seguita con trepidazione anche dall’opinione pubblica, schieratasi immediatamente dalla parte di questi piccoli Lebowski, trasformati in eroi dai social media.

Recensione:

Non essendo un fan di Vasco Rossi o un suo esegeta, non ho idea di cosa il cantautore avesse in mente quando, nel 1983, scrisse “Vita spericolata”. Quello che so è che la canzone ha saputo trasmettere una suggestione a diverse generazioni.

Il regista Marco Ponti, con il suo “Una vita spericolata”, ha cercato di realizzare un prodotto innovativo per il nostro cinema, gliene va dato atto, ma se il Blasco lo vedesse al cinema molto probabilmente vorrebbe solo cantare “Io non ci sto”.

Il film è infatti un’occasione mancata, confuso, caotico e dispersivo sin dalle primissime scene. Il tentativo di unire in una sola storia tematiche come la disoccupazione giovanile, l’emersione di una nuova criminalità, le diverse anime all’interno delle forze dell’ordine non va a buon fine.

“Una vita spericolata” avrebbe dovuto essere un road movie giovanile che strizza l’occhio a grandi classici del genere come “Bonny e Clyde” e “Thelma e Louise” ma purtroppo, nonostante gli sforzi, risulta modesto.

Lorenzo Richelmy ed Eugenio Franceschini, per quanto volenterosi, non convincono del tutto. Matilda De Angelis, invece, nonostante l’inizio deludente, riesce a imporsi con bravura e personalità, conquistando, almeno in parte, la ribalta. continua su

http://paroleacolori.com/una-vita-spericolata-tra-road-movie-e-commedia-generazionale/

142) Thelma

Il biglietto da acquistare per “Thelma” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“Thelma” è un film di Joachim Trier. Con Eili Harboe, Okay Kaya, Henrik Rafaelsen, Ellen Dorrit Petersen, Grethe Eltervåg. Thriller, 116′. Norvegia, Francia, Danimarca, Svezia 2017

Sinossi:

Thelma, una timida ragazza di provincia cresciuta in una famiglia molto religiosa, è appena arrivata a Oslo per frequentare l’università. Qui conosce Anja e presto l’amicizia tra le due si trasforma in un sentimento più profondo: proprio allora, però, Thelma scopre di avere dei poteri inquietanti e incontrollabili, legati a un terribile segreto del suo passato…

Recensione:

È giusto porre un limite ai propri desideri, e reprimere in qualche modo la propria natura? I genitori hanno il diritto di ostacolare i figli, qualora notassero in loro un’indole malvagia? E quale influsso ha, ai nostri giorni, la fede sui comportamenti – anche sessuali – di un individuo?

Fede, genitorialità, disturbi mentali, pulsioni sessuali, senso di colpa sono soltanto alcune delle delicate e controverse tematiche affrontante in modo originale, convincente e spiazzante nella sceneggiatura di “Thelma”, firmata da Joachim Trier ed Eskil Vogt.

Ci piace sottolineare come proprio la sceneggiatura, spesso nota dolente in tanti progetti, qui si sia rivelata l’elemento decisivo per far raggiungere al film livelli di eccellenza anche sul piano recitativo e registico.

“Thelma” è un film difficilmente inseribile in un preciso contesto e genere, col suo spaziare dal thriller al sovrannaturale e all’horror con momenti drammatici e altri toccanti e quasi romantici.

Protagonista una studentessa islandese di chimica – splendidamente interpretata da Eili Harboe – che intraprende un viaggio legittimo quanto drammatico nel desiderio di vivere liberamente la propria vita. Al timoroso coming out si combina il faticoso coming age, che spinge Thelma ad affrontare i propri demoni e il doloroso passato fino alle più estreme conseguenze, come nelle migliori tragedie greche.

Ma chi è dunque Thelma? Un mostro? Una vittima? Una ragazza posseduta? Una malata mentale che soffre di crisi psicogene?

Da una parte l’impianto narrativo e registico è di stampo teatrale e coinvolge lo spettatore in un crescendo di pathos ed emotività, dall’altro la visione d’insieme e l’identità del film sono fortemente cinematografiche. continua su

http://paroleacolori.com/thelma-nel-gelo-norvegese-un-film-che-trascende-il-concetto-di-genere/

141) Dei

“Dei” è un film di Cosimo Terlizzi. Con Andrea Arcangeli, Martina Catalfamo, Luigi Catani, Angela Curri, Mathieu Dessertine. Drammatico. Italia 2018

Sinossi:

Martino ha 17 anni e vive in un casolare della campagna pugliese. Il padre di Nicola vive di espedienti e, nella percezione della moglie Anna, porta a casa solo rottami e miseria. L’unica proprietà di valore è un ulivo secolare in cortile, su cui però incombe la doppia minaccia dell’epidemia di origine batterica che ha colpito gli uliveti pugliesi e della sete di denaro di Nicola. Anche Martino vorrebbe vendere l’ulivo per potersi permettere gli studi all’università di Bari, dove il ragazzo scappa, insieme all’amica Valentina, ogni volta che ne ha l’occasione. E mentre assiste a una lezione d’arte in cui si parla delle divinità greche, i due si imbattono in Laura, una studentessa della Bari bene che li introduce in un mondo parallelo di musica, terrazzi condominiali e internazionalità.

Recensione:

Ricordo ancora quando la professoressa d’italiano, a scuola, riconsegnandomi l’ennesimo compito con il suo bel corredo di segni rossi mi ripeteva: “Vittorio, avresti anche delle discrete idee, solo che la forma con cui le esprimi lascia a desiderare”. Mia madre, sconsolata, leggendo il voto, rincarava la dose: “Se almeno rileggessi prima di consegnare, potresti evitare gli errori di ortografia”.

Oggi non posso non ripensare a quei momenti nello scrivere la recensione di “Dei”, opera prima di Cosimo Terlizzi, e mi duole non poco indossare i panni del maestrino. Questo, però, è il classico film “vorrei ma non posso”.

Il regista mi perdonerà la franchezza, ma per quanto siano comprensibili l’ardore artistico, il desiderio di dimostrare il suo talento e stupire con una storia diversa quanto autentica, la voglia di ripagare la fiducia dell’amico e produttore Riccardo Scamarcio, una tiratina d’orecchie è d’obbligo.

Il suo “Dei”, nonostante l’impegno e la passione profusi dal giovane e volenteroso cast, convince poco sia a livello drammaturgico che emotivo, risultando un ibrido confuso tra “Stand by me” di Rob Reiner e “Chiamami col tuo nome” di Luca Guadagnino, senza una chiara identità.

Forse la storia ha alla base elementi autobiografici, ma questo non evita che la visione sia, per il pubblico, faticosa e a tratti persino noiosa. continua su

http://paroleacolori.com/dei-opera-prima-cosimo-terlizzi/

140) Toglimi un dubbio

Il biglietto da acquistare per “Just to be sure- Toglimi un Dubbio” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto (con riserva). Sempre.

“Toglimi un dubbio” è un film di Carine Tardieu. Con François Damiens, Cécile De France, Andrè Wilms, Guy Marchand, Alice de Lencquesaing. Commedia, 95′. Francia, Belgio, 2017

Sinossi:

Erwan Gourmelon, solido artificiere bretone, apprende, dopo un’analisi genetica per scongiurare una malattia ereditaria, di non essere il figlio di suo padre. Malgrado la tenerezza e l’amore profondo che lo legano all’uomo che lo ha allevato, Erwan decide di ritrovare il genitore biologico. Nella ricerca incontra Anna, veterinaria e donna determinata che lo corteggia e si lascia corteggiare. Ma Anna è figlia di Joseph, l’uomo che la sua investigatrice ha individuato come suo padre. In piena crisi identitaria, Erwan dovrà brillare la bomba della vita.

Recensione:

Se il ruolo e la rilevanza della figura materna per un bambino è riconosciuta a livello globale, quanto è importante il padre? Averne uno è necessario, oppure se ne può fare a meno? E in caso non sia presente fin dalla nascita nella vita del figlio, è giusto che poi questo voglia comunque conoscerlo?

Si tratta di tematiche delicate e complesse, quanto mai attuali, che provocano dibattito nell’opinione pubblica. Esistono diversi approcci per affrontarle, ma di rado lo si fa senza cadere nella polemica e senza pregiudizi.

Un esempio in tal senso è sicuramente “Toglimi un dubbio”, quinto film della regista Carine Tardieu, presentato nella sezione Quinzaine del Festival del cinema di Cannes 2017.

Lo spunto drammaturgico per raccontare il tema della paternità e più in generale della famiglia è decisamente originale e brillante. Erwan (Damiens), esperto artificiere bretone, è vedovo da tempo e ha una figlia, Juliette (de Lencquesaing), in dolce attesa di un bambino concepito con un uomo senza volto.

Preoccupato che il futuro nipote possa ereditare una malattia genetica del ramo paterno, l’uomo suggerisce alla figlia di sottoporsi a esami specifici per escludere questa possibilità. L’esame da esito negativo, ma dai risultati emerge che Bastien (Marchand), nonno di Juliette, non è il padre biologico di Erwan.

“Toglimi un dubbio” è una commedia garbata, delicata, profonda, capace di raccontare il rapporto padre-figlio con ironia, senza mai cadere nel retorico o nel melenso. La sceneggiatura è lineare, ben scritta, fluida, con dialoghi brillanti, efficaci e ben interpretati. continua su

http://paroleacolori.com/toglimi-un-dubbio-quando-i-legami-familiari-sono-un-campo-minato/

139) Noi siamo la Marea

“Noi siamo la marea” è un film del 2016 diretto da Sebastian Hilger, scritto da Nadine Gottmann, con : Max Mauff, Lana Cooper, Swantje Kohlhof, Roland Kochur, Max Herbrechter, Waldemar Hooge.
Sinossi:
Quindici anni fa l’oceano è sparito dalla costa di Windholm, in Germania. E così pure i bambini del luogo. Il giovane fisico Micha vorrebbe condurre studi approfonditi su questo fenomeno inspiegabile, ma necessiterebbe della borsa di studio che gli è stata negata. Decide comunque di partire, accompagnato da Jana, ex collega e figlia del rettore dell’università in cui lavora. Ad attendere i due, un mistero da svelare e i fantasmi del loro passato in comune.

Recensione:
Paura, incertezza, pessimismo, delusione sono alcuni dei maggiori e diffusi sentimenti che covano dentro di sé cittadini europei valutando con preoccupazione il presente e soprattutto immaginando un delicato e difficile futuro dei propri figli.
Sono le stesse nuove generazioni europee ad aver assunto un atteggiamento negativo e polemico nei confronti dei rispettivi governi, accusandoli d’averli tolto sogni, lavoro e diritti.
Se anche i giovani smettono di credere nella possibilità di un futuro diverso ed alternativo, ha ancora un senso lottare, impegnarsi, studiare per un mondo migliore e una società più giusta?
“Noi siamo la marea” di Sebastian Hilger affronta queste spinose tematiche partendo dall’ originale ed ambiziosa sceneggiatura di Nadine Gottmam, capace di raccontare la crisi esistenziale e la sfiducia sociale che attanaglia la nostra epoca traslandola in un piccolo paesino tedesco utilizzando il genere “sci-fi “.
“Noi siamo la marea” è infatti un racconto giocato tutto sul simbolismo e sull’uso di metafore visive e non costruite dal regista per condurre lo spettatore dentro una storia ora più che mai di carattere universale.

Il 5 aprile 1994 il mare si è ritirato misteriosamente dalle coste del piccolo di Windholm e soprattutto nello stesso giorno tutti i bambini della comunità sono tragicamente scomparsi nulla.
Da quel giorno il tempo si è fermato a Windholm.
Gli adulti e soprattutto i genitori “sopravvissuti” a questo immane quanto sconcertante incubo ad occhi aperti, si sono chiusi in un doloroso ed assordante silenzio stanchi e delusi dall’incapacità governativa nel trovare una “soluzione” per far tornare a casa i loro figli.
Windholm si è letteralmente chiusa al mondo, alzato barriere e messa “in perenne quarantena” dall’esercito tedesco.
Il mondo scientifico oltre quello politico si sono arresi, lasciando un’intera comunità ostaggio della paura e dell’ignoto.
Il mistero di Windholm rappresenta la sciagurata ed angosciante nemesi del progresso e della conoscenza in campo scientifico e la rinuncia dell’uomo ad ogni forma di speranza e riscatto.
“Noi siamo la marea” è una pellicola delicata, toccante, intimistica quanto radicale e profonda nel veicolare un duro e forte dissenso nei confronti dell’attuale società. continua su

http://www.nuoveedizionibohemien.it/index.php/appuntamento-al-cinema-66/