160) Codice Criminale

Il biglietto da acquistare per “Codice criminale” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto (con riserva). Sempre.

“Codice Criminale” è un film di Adam Smith. Con Michael Fassbender, Brendan Gleeson, Sean Harris, Rory Kinnear, Lyndsey Marshal. Azione, 99’. Gran Bretagna, 2016

Il quarto comandamento recita: Onora il padre e la madre. Ma quante volte un figlio viene meno a questo dettame divino? Innumerevoli, senza dubbio. E questo non perché detto figlio sia ateo o diabolico, ma semplicemente perché il conflitto con chi ci ha messo al mondo è una tappa quasi obbligata sulla via della maturità.

Maschi e femmine vivono esperienze diverse: così se le seconde entrano in conflitto con la madre, i primi sentono spesso la necessità di uscire dall’ombra paterna, sfidando l’autorità del genitore.

“Codice criminale” di Adam Smith porta lo spettatore nel mondo dei Culter, criminali da generazioni senza legge che vivono di rapine, corse d’auto e inseguimenti con la polizia nella campagna del Glaucestershire, ricca contea nel sud ovest della Gran Bretagna.

Chad (Fassbender) è diviso tra il rispetto che nutre verso suo padre, il capobanda Colby (Gleeson), e il desiderio di dare una vita migliore a sua migliore Kelly (Kinnear) e ai loro bambini.

Quando decide di abbandonare la vecchia vita e la banda, deve scontrarsi proprio con la rabbia di Colby e con un sistema che non sembra permettere alcuna redenzione.

Con la polizia alle calcagna, Chad inizia a realizzare che il suo destino potrebbe non essere più nelle sue mani e che salvare la sua famiglia potrebbe comportare un doloroso sacrificio.

“Codice criminale” rievoca nei toni, nelle atmosfera e nello stile “Gomorra – La serie” ma nonostante proponga scene d’azione, violenza, un ambiente degradato e povero, e l’utilizzo da parte dei protagonisti di un linguaggio scorretto, crudo e volgare, non è solamente una storia di uomini e donne fuori dalla legalità.

Il film è anche il racconto di un rapporto conflittuale padre-figlio, dove il primo non permette al secondo di diventare davvero adulto e indipendente, provando invece a imporgli una strada già tracciata.

Lo spettatore si immedesima nel sofferto travaglio esistenziale di Chad, schiacciato da un lato dalla figura paterna, che lo ha segnato e condizionato da sempre, dall’altro dall’esigenza di dare ai figli possibilità a lui negate. continua su

http://paroleacolori.com/codice-criminale-gleeson-e-fassbender-in-un-ritratto-di-famiglia-malavitosa/

Roberto Sapienza presenta “Ninni, mio padre”

159) L’infanzia di un capo

Il biglietto da acquistare per “L’infanzia di un capo” è:
Neanche regalato (con riserva). Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“L’infanzia di un capo” è un film di Brady Corbet. Con Robert Pattinson, Stacy Martin, Bérénice Benjo, Liam Cunningham, Tom Sweet, Yolande Moreau. Drammatico, 113’. Francia, 2015
Liberamente ispirato all’omonimo racconto di Jean–Paule Sartre (1939) e al romanzo “Il Mago” di John Fowles (1965)

Ci sono dei momenti – pochi, ma ci sono – in cui il vostro cronista non ha davvero idea di quali parole e metafore utilizzare per raccontarvi in modo chiaro e comprensibile un film che, anche a distanza di molte ore, resta un enigma prima sul piano drammaturgico poi su quello creativo.

Dato per assodato che non ho mai letto né Sartre né Fowles, il vero problema è capire come e perché tali testi abbiano ispirato l’esordiente Brady Corbet per il suo “L’infanzia di un capo”, vincitore alla Biennale di Venezia 2015 del Premio orizzonti miglior regia e del Premio Luigi De Laurentis alla miglior opera prima.

Entrare nella mente del regista e della giuria del Festival esula dalle mie competenze. Io mi limiterò ad alcune considerazioni.

Il film racconta, in quattro atti, la vita del piccolo Prescott (Tom Sweet) nella villa vicino a Parigi dov’è alloggiato con i genitori. Il padre (Cunningham), consigliere del presidente americano Wilson, lavora alle trattative di definizione di quello che diventerà il trattato di Versailles, dopo la fine della prima guerra mondiale.

La formazione del carattere di Prescott è segnata da una precoce tensione intellettuale e da frequenti scatti d’ira, che portano alla continua ridefinizione degli equilibri di potere familiare.

Quello che si consuma è uno scontro tra lo sterile e vigliacco mondo maschile dei diplomatici, e dell’ambiguo amico di famiglia Charles Marker (Pattinson), e quello femminile, vitale e vibrante, che circonda il bambino con le tre figure di donna che gestiscono la sua vita: l’austera e religiosa mamma (Bejo), la dolce governante (Moreau) e la fragile insegnante di francese (Martin).

La sinossi, per quanto articolata, sembra chiara. Peccato che di scatti d’ira non si veda nemmeno l’ombra, così come rimane fumoso il futuro che attende il giovane protagonista e il modo in cui influenzerà il mondo che lo circonda.

“L’infanzia di un capo” è un film volutamente simbolico, criptico, elitario, che non possiede però le qualità narrative e tecniche necessarie per iscriversi tra i capolavori del genere. Lo spettatore fatica a entrare dentro la storia e a provare una qualche empatia verso i personaggi.

Nonostante questi limiti, alcune interpretazioni spiccano. Prima di tutto quella dell’esordiente Tom Sweet, un’autentica e piacevole sorpresa, che mostra personalità e talento notevoli. Un ragazzo da seguire in futuro con attenzione. continua su

http://paroleacolori.com/l-infanzia-di-un-capo-esordio-brady-corbet-e-tom-sweet/

Vittorio De Agrò presenta “Amiamoci, nonostante tutto”

158) L’ultimo Sguardo

Il biglietto d’acquistare per “L’ultimo Sguardo” è : Neanche regalato

“L’ultimo sguardo” è un film del 2015 diretto da Sean Penn, scritto da Erin Dignam, con : Charlize Theron, Javier Bardem, Adèle Exarchopoulos, Jean Reno, Jared Harris, Denise Newman, Merritt Wever, Oscar Best, Zubin Cooper, Sebelethu Bonkolo.

http://paroleacolori.com/festival-del-cinema-di-cannes-quando-i-film-in-concorso-sono-una-delusione/

….

Quarta e ultima domanda: perché avete voluto tirare fuori “The Last Face” di Sean Penn dal limbo in cui stazionava da oltre un anno? Magari se era rimasto lì un motivo c’era. Stimo molto Penn, sia come attore che come autore; seguo Charlize Theron e Javier Bardem da anni. Sulla carta avevamo tre Premi Oscar per raccontare il dramma delle guerre silenziose, ignote al grande pubblico, che ogni giorno si combattono in Africa e l’importanza di associazioni come Medici senza frontiere nel dare sostegno ai civili, martoriati da fame e povertà.

Sean Penn è un artista impegnato e ciò nonostante ha messo in scena un film insulso e imbarazzante, a metà strada tra un melo e una posticcia ricostruzione degli orrori della guerra. Puntare sull’amore tra due bei medici volontari con le sembianze della Theron e di Bardem, strizzando quindi l’occhio al lato commerciale della vicenda, finisce per svilire l’aspetto più importante, ovvero quello umanitario e divulgativo.

“The Last Face” è un brutto film senz’anima, che porta quasi il pubblico a ridere piuttosto che a commuoversi. È un film costruito a tavolino, un vero disastro, meritevole più delle temute Pernacchie d’Or che di un Oscar.

Cari Direttore e Commissione, è lo spettatore il destinatario ultimo di un film e come tale va rispettato e tutelato. Con questi tre film non avete, a mio avviso, adempiuto a questo impegno. “Sieranevada”, “The Neon Demon” e “ The Last Face” sono inclassificabili e come tali da evitare come la peste, per il bene del portafoglio e non solo.

Dopo aver visto queste tre pellicole non posso non rivalutare l’amata “Corazzata Potemkin” e invitarvi a vedere quanto prima la saga di Fantozzi, per ammirare dei film, quelli sì, degni di Cannes.

Con stima,
Vittorio De Agrò

Roberto Sapienza presenta “Ninni, mio padre”

 

157) La ragazza nella nebbia ( Donato Carrisi)

“La ragazza nella nebbia” è un romanzo scritto da Donato Carrisi e pubblicato nel 2015 da Longanesi Editore.

C’è qualcuno che crede ancora alla validità ed efficacia della giustizia svolta nei tribunali veri?
In Italia purtroppo i processi si celebrano nei talk show con la presenza di accusa e difesa e di esperti più o meno attendibili, cinicamente pilotati dal conduttore di turno.
È il trionfo della Giustizia spettacolo sullo Stato di diritto e su ogni tipo e forma di garantismo per un imputato esposto alla pubblica gogna.
Non importa se esistono davvero delle vere ed inconfutabili prove per determinare la colpevolezza di un imputato, ai medi basta anche un semplice sospetto per creare “un mostro” da gettare in pasto alla famelica opinione pubblica.
È possibile dire e fare di tutto in questi processi mediatici, tranne che rispettare, onorare la vittima e dargli giustizia.
Donato Carrisi, prendendo amaramente spunto dall’involuzione e malfunzionamento della nostra giustizia e il degrado professionale e morale dei media, nel 2015 ha dato alle stampe “La ragazza nella nebbia” che è diventato ben presto un successo di pubblico e critica, al punto che il prossimo autunno ne vedremo la trasposizione cinematografica con protagonisti Toni Servillo e Jean Reno e con Carrisi stesso all’esordio come regista.
Ho voluto per una volta invertire il mio abituale schema ovvero prima vedere il film e poi leggere il libro, per valutare i pregi e difetti delle due operazioni.
Ero desideroso di regalarmi una nuova storia di Donato Carrisi, dopo averlo “scoperto” con grande piacere ed entusiasmo qualche mese fa con “Il Maestro delle Ombre” e dopo aver letto sul web bellissime ed appassionate recensioni su “La ragazza nella Nebbia” e l’attesa dei fan per il film.
Ebbene dopo aver “divorato” il libro in pochi giorni, posso ampiamente comprendere l’attesa ed entusiasmo dei fan di Carrisi.
“La ragazza nella nebbia” è un romanzo dal respiro molto cinematografico per la bravura, talento e creatività di Carrisi di costruire una struttura narrativa dove fino alla fine il lettore non riesce a stabilire con certezza chi sia il buono, chi l’ambizioso, chi la vittima e chi veramente il mostro di una storia ideata e scritta in modo magistrale ed inappuntabile.
Il lettore è spinto a nutrire fin da subito una certa antipatia nei confronti dell’ambizioso agente speciale Vogel, anche se nell’apertura del romanzo Carrisi lo descrive come sconvolto e con i vestiti sporchi di sangue e condotto nello nello studio dello psichiatra Flores, a cui è stato chiesto di sottoporlo a perizia psichiatrica. Vogel è arrivato nello sperduto paesino montanaro di Avechot, ufficialmente per risolvere il caso di Anna Lou Kastner, ragazza del luogo misteriosamente scomparsa senza lasciare traccia, gettando nella disperazione i genitori e creando turbamento nella serena e pacifica comunità.
In vero Vogel non cerca la verità, ma il modo di riscattare la propria immagine di successo, “sporcata” dall’insuccesso professionale e mediatico verificatosi in un altro caso.
Vogel conosce il suo mestiere e soprattutto sa bene come manipolare ed indirizzare i riflettori dei media in modo da creare un caso mediatico per la sua indagine cinica e spietata nell’individuazione del mostro “perfetto” da consegnare all’opinione pubblica.
E nel caso della scomparsa Anna Lou Vogel decide di “affidare” il ruolo di mostro a Martini, professore di liceo appena trasferitosi con la propria famiglia nella cittadina, per tentare di cancellare “la cosa” che ha rischiato di distruggere l’integrità e serenità della sua stessa famiglia.
Maritini è travolto dai sospetti, senza una vera e concreta prova, ed alla fine pure arrestato dopo un’indagine condotta più in Tv che in una sala d’interrogatorio di un commissariato.
Vogel è dunque il poliziotto cattivo e invece Martini è l’agnello sacrificale offerto ai famelici media in cerca di un mostro da buttare in prima pagina?
Carrisi ci fa credere fino a tre quarti del romanzo di leggere un nuovo “caso Tortora” evidenziando l’insano ed infausto legame tra Vogel e una parte dei media interpretata dalla spregiudicata reporter Stella Honer.
Invece come nei migliori romanzi gialli, lo scrittore pugliese cambia le carte in tavola, a poche pagine dalla fine, con una serie di colpi di scena ben costruiti ed inseriti con abilità nella storia, e facendo saltare ogni certezza narrativa fin qui accertata ed ipotizzata dal lettore,
Donato Carrisi si conferma un autore di talento scrivendo storie avvincenti di respiro internazionale, cariche di pathos e ritmo, e utilizzando uno stile efficace e sensibile nel tenere il lettore incollato alla lettura del romanzo fino all’ultima pagina.
Il finale è sorprendente quanto cupo e terribile suscitando il lettore da una parte un angosciante stupore e dall’altra la voglia di vedere presto la rappresentazione cinematografica del romanzo.

156) Transformers -L’ultimo Cavaliere

Il biglietto da acquistare per “Transformers – L’ultimo cavaliere” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“Transformes -L’ultimo Cavaliere” è un film di Michael Bay. Con Mark Wahlberg, Anthony Hopkins, Laura Haddock, Stanley Tucci, Josh Duhamel, John Turturro, Gil Birmingham. Azione, 148’. USA, 2017

Avviso ai professori e più in generale agli amanti della storia: se decidete di vedere “Transformers – L’ultimo cavaliere”, magari accompagnando un parente o un amico entusiasta, fate un bel respiro e prendete un Malox prima di entrare in sala, perché potreste avere degli scompensi durante la proiezione.

Michael Bay e gli altri sceneggiatori, infatti, mai come in questo quinto episodio della saga giocano, irridono e riscrivono il passato, mescolando leggenda, mito e fantasy per realizzare un prodotto che divertirà i fan ma farà probabilmente storcere il naso ai critici e al pubblico meno di parte.

Chi scrive è stato, secoli fa, un bambino che amava giocare con i Transformers, i giocattoli trasformabili Hasbro che hanno ispirato i film. Ne “L’ultimo cavaliere” preparatevi perché la preda diventa eroe, gli eroi diventano i cattivi.

Gli Autobot, guidati dall’irreprensibile Optimus Prime, hanno difeso negli anni la Terra da invasioni aliene a ripetizione. I Decepticon di Megratron e gli antichissimi Creatori hanno dovuto battere in ritirata, sconfitti da Bumblebee e compagni.

Ma da dove arrivano i Transformers? La leggenda millenaria della loro esistenza, tramandata in segreto per proteggere il pianeta, sta per tornare alla luce a causa di una nuova minaccia che incombe sull’umanità.

Alla fine del quarto episodio avevamo lasciato Optimus Prime determinato a incontrare i suoi Creatori e disperso nello spazio. Intanto, sulla Terra, gli Autobot e Cade Yeager (Wahlberg) hanno alle calcagna la TRF, Transformers Reaction Force.

 

Quando un gruppo di ragazzini entra nell’area proibita di Chicago, dove ci fu una grande battaglia nel terzo capitolo della serie, Cade interviene a salvarli e riceve da un Transformer vecchissimo e moribondo un antico talismano, che gli si attacca addosso.

Yaeger e la giovanissima Izabella (Moner) sfuggono all’arresto e si rifugiano in una grande discarica di automobili, dove vivono diversi Autobot. Il governo sa che sta arrivando dallo spazio qualcosa di enorme e per fermarlo i suoi funzionari sono disposti a venire a patti con Megatron, liberando alcuni dei suoi più pericolosi Decepticon.

Questi danno la caccia a Yaeger, che viene però salvato dal robot maggiordomo Cogman, al servizio di Sir Edmound Burton (Hopkins) che intende svelare a Yaeger la storia segreta dei Transformers. Nel suo castello viene convocata anche la professoressa di storia e letteratura Vivian Wembley (Haddock), la cui dinastia è legata al mistero.

Nel mentre Optimus Prime, sul pianeta Cybertron, è stato soggiogato dalla divinità aliena Quintessa, i cui piani per la Terra sono semplicemente apocalittici.

Vi ricordavate una storia un tantino diversa? Il nostro consiglio è di non riflettere troppo sui singoli passaggi di questa sceneggiatura sicuramente bizzarra e caotica, rischiereste di perdervi il piacere di guardare un film memorabile nel suo genere. continua su

http://paroleacolori.com/transformers-l-ultimo-cavaliere-immagini-maestose-e-intrecci-improbabili/

Roberto Sapienza presenta “Ninni, mio padre”

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155) The Habit of beauty

Il biglietto da acquistare per “The Habit of beauty” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“The Habit of  beauty” è Un film di Mirko Pincelli. Con Francesca Neri, Vincenzo Amato, Noel Clarke, Nico Mirallegro, Nick Moran. Drammatico, 89’. Gran Bretagna, 2016

Sogno, amore e perdita, tra la Gran Bretagna e l’Italia: sono questi i temi principali di “The habit of beauty”, opera prima girata soprattutto a Londra e in lingua inglese dell’italiano Mirko Pincelli.

La gallerista d’arte Elena (Neri) e il fotografo Ernesto (Amato) erano una coppia felice che viveva con il figlio dodicenne, fino a che un incidente d’auto non ha cambiato per sempre le loro vite.

Oggi Ernesto ha perso ogni stimolo personale e professionale, e passa il tempo tra relazioni con modelle giovanissime e il volontariato in un penitenziario londinese, dove insegna fotografia ai detenuti.

Tra i suoi allievi c’è Ian (Mirallegro), ragazzo problematico ma con un talento naturale per la materia. Una volta scarcerato, Ernesto gli propone di aiutarlo a organizzare la sua nuova mostra. Quello che il ragazzo non sa è che quella mostra dovrebbe essere l’ultima, e che Ernesto ha chiesto anche l’aiuto di Elena, che non incontrava dall’epoca dell’incidente.

Enrico Tessarin, produttore inglese e sceneggiatore della pellicola, ha avuto l’ambizione di costruire una storia dove potessero coesistere l’atmosfera, la mentalità e gli usi della classe operaia inglese e il doloroso racconto di una famiglia italiana distrutta da una tragedia.

L’ambizione, purtroppo, non si è tradotta in una sceneggiatura chiara, lineare e convincente. La storia, infatti, per quanto sentita, manca di una chiara identità narrativa.

La parte inglese, che evoca Ken Loach nei toni e nello stile, risulta più intensa, fluida e interessante. Il pubblico è coinvolto dalle scelte difficili che Ian è chiamato a compiere per affrancarsi da un ambiente familiare e sociale difficile, entra in sintonia con il personaggio, si immedesima. continua su

http://paroleacolori.com/the-habit-of-beauty-opera-prima-ambiziosa-tra-londra-e-il-trentino/

Vittorio De Agrò presenta “Amiamoci, nonostante tutto”

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154) Civiltà Perduta

Il biglietto da acquistare per “Civiltà perduta” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio (con riserva). Ridotto. Sempre.

” Civiltà Perduta” è un film di James Gray. Con Charlie Hunnam, Robert Pattinson, Sienna Miller, Tom Holland. Azione, 141’. USA, 2016
Tratto dal romanzo “Z. La città perduta” di David Grann

Onore, credibilità, coraggio e affidabilità sono ciò che definisce un uomo, i valori che ogni padre dovrebbe insegnare ai figli. Avere un obiettivo, un progetto, ed essere disposti anche al sacrificio estremo per realizzarlo non è un atto di eroismo, ma il modus operandi di ogni uomo di sani principi.

State pensando che se nel 2017 una persona sostiene cose come queste sia meritevole della camicia di forza? Forse, ma prima di chiamare il 118 riflettete un momento su come sarebbe la nostra società se qualcuno seguisse davvero massime come quelle scritte in apertura, massime di altri tempi.

Deve pensarla almeno in parte così il regista James Gray per decidere, dopo una lunga gestazione, di portare al cinema “Civiltà perduta”, adattamento del best-seller di David Grann “Z. La città perduta”, e basato su una storia vera.

1905, Irlanda. Il maggiore Percy Harrison Fawcett (Hunnam) serve nella Royal Garrison Artilery a Cork, insieme alla moglie Nina (Miller) e al figlio Jack.

Frustrato perché non ha possibilità di dimostrare il proprio valore, nel giugno 1906 accetta l’offerta della Royal Geographical Society di Londra di partire per il Sudamerica per mappare, attraverso la foresta Amazzonica ancora inesplorata, il confine tra Brasile e Bolivia ed evitare una guerra.

Dopo due anni di ricerche, insieme al caporale Henry Costin (Pattinson), Percy scopre i segni di quella che potrebbe essere un’antica civiltà. Nel 1910 tiene quindi una storica conferenza, sostenendo con forza la tesi dell’esistenza di una città Z, e preparandosi per una nuova spedizione.

Lo scoppio della prima guerra mondiale lo costringe a mettere da parte la sua ossessione, ma gli offre anche l’occasione di distinguersi. Decorato e promosso, Percy sembra rassegnato a godersi la pensione, finché il figlio Jack (Holland), non si propone come suo compagno per una nuova esplorazione.

James Gray racconta in modo rigoroso i fatti salienti della vita di un uomo straordinario, trasmettendo però al contempo l’importanza che per lui avevano valori come l’onore. Percy ha affrontato avversità inimmaginabili, lo scetticismo della comunità scientifica, spaventosi tradimenti e anni di lontananza dalla propria famiglia in nome della sua missione. continua su

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Roberto Sapienza presenta “Ninni, mio padre”

153) Lady Macbeth

Il biglietto da acquistare per “Lady Macbeth” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto (con riserva). Sempre.

Un film di William Oldroyd. Con Florence Pugh, Cosmo Jarvis, Paul Hilton, Naomi Ackie. Drammatico, 89’. Gran Bretagna, 2016
Ispirato al racconto di Nikolaj Leskov “Lady Macbeth del distretto di Mcensk”

I giornali e i Tg ci riportano con sempre maggiore frequenza casi di femminicidio – hanno superato quota 30, in Italia, nel solo 2017 – e storie di donne umiliate, vessate, private della libertà e della fiducia nel futuro.

Anche se di battaglie per i diritti femminili se ne sono combattute tante nel corso del tempo, anche se le conquiste fatte sono state importanti, c’è ancora molto da fare.

Eppure la donna, almeno al cinema, si mostra spesso capace di sovvertire i ruoli prestabiliti e trasformarsi da vittima a carnefice. È il caso della protagonista di “Lady Macbeth” di William Oldroyd, presentato in concorso al Torino Film Festival 2016.

Campagna inglese, 1865. A soli 17 anni Katherine (Pugh) viene costretta a un matrimonio senza amore con un uomo di mezz’età, rude, insensibile e succube di un padre severo e autoritario.

Soffocata dalle rigide norme sociali dell’epoca, la giovane inizia una relazione clandestina con lo stalliere Sebastian (Jarvis), ma l’ossessione amorosa la porterà in una spirale di violenza dalle conseguenze sconvolgenti.

Katherine, dietro al volto angelico e delicato, nasconde un cuore nero e spietato e un animo scaltro e cinico. Nonostante l’epoca, lei incarna per certi versi la donna moderna, che non accetta di vivere confinata in un ruolo subalterno rispetto al proprio uomo e sa reagire, quando serve, con forza, personalità, violenza.

Lo spettatore viene trascinato in una storia inizialmente cupa, intensa e passionale che volge poi alla violenza più cieca. continua su

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Roberto Sapienza presenta “Ninni, mio padre”

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152) Una Doppia verità

Il biglietto d’acquistare per “Una doppio verità ” è:
Neanche regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto (con riserva). Sempre.

“Doppia verità” è un film di Courtney Hunt. Con Keanu Reeves, Renée Zelleweger, Gugu Mbatha-Raw, Jim Belushi, Gabriel Basso. Drammatico, 93’. USA, 2016

La realtà è tutt’altro che monolitica, e su uno stesso fatto possono esistere decine di prospettive e punti di vista.

Quando si parla di un delitto al tribunale spetta, sulla carta, l’ultima parola nello stabilire quale sia la verità. Se il giudice – e in certi casi e Paesi, la giuria – hanno il compito di esprimere un verdetto, l’avvocato deve perorare una causa, poco importa se l’assistito è colpevole o innocente.

Ma che cosa passa per la mente del difensore di un reo confesso? Il legal thriller “Una doppia verità” di Courtney Hunt ha l’ambizione di raccontarlo.

Difendere qualcuno accusato di omicidio è di per sé complesso, ma per l’avvocato Richard Ramsey (Reeves) la posta in gioco è ancora più alta. Il suo cliente, infatti, è Mike Lassiter (Basso), 17 anni, accusato di aver ucciso il padre Boone (Belushi).

Ramsey è un amico di famiglia e ha giurato alla vedova Loretta (Zelleweger) di difendere il figlio a ogni costo. Il ragazzo, però, dopo l’omicidio e la confessione si è chiuso in un silenzio ostinato.

Della difesa di Mike fa parte anche Janelle (Mbatha-Raw), avvocato con un grande talento nell’individuare testimoni non affidabili, ma segnata da un situazione personale difficile.

Quello che era partito come un processo già scritto, udienza dopo udienza muta pelle. Fino a che Mike romperà il suo silenzio arrivando a un completo ribaltamento dei ruoli tra lui e il padre. Chi mente? Chi dice la verità? Chi sta coprendo chi?

Fino all’ultimo lo spettatore non sarà in grado di rispondere, merito di una sceneggiatura che per quanto semplice e lineare non è mai scontata o prevedibile, ma anzi ricca di colpi di scena che si inseriscono in un impianto narrativo agile, diretto e coinvolgente. continua su

http://paroleacolori.com/una-doppia-verita-keanu-reeves-e-di-nuovo-lavvocato-del-diavolo/

Vittorio De Agrò e Cavinato Editore presentano “Essere Melvin”

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151) Nerve Il Film

Il biglietto da acquistare per “Nerve” è:
Neanche regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto (con riserva). Sempre.

“nerve” è un film di Henry Joost, Ariel Schulman. Con Emma Roberts, Juliette Lewis, Dave Franco, Miles Heizer, Emily Meade. Thriller, 96’. USA, 2016
Basato sull’omonimo romanzo di Jeanne Ryan, edito in Italia da Newton Compton

Ti rendi conto che il ruolo d’inviato al Festival del cinema di Cannes, per quanto soddisfacente, ti fa precipitare in un triste black out informativo quando, tornado alla routine delle anteprime stampa, cadi letteralmente dal pero davanti a una domanda sul caso giornalistico del momento, alias Blue Whale.

La sera, tornato a casa dall’evento di turno, ho aperto il computer e cercato di colmare il vuoto. Non voglio lanciarmi in analisi del fenomeno, persone più preparate di me hanno già speso fiumi di parole sui suicidi di ragazzi in Russia istigati da un gioco online.

Mi limito a dirvi che ancora prima che scoppiasse il caso, nel 2012, la scrittrice Jeanne Ryan firmò un romanzo, “Nerve”, dove immaginava come i giovani, preda della noia e di un vuoto di valori e creatività, potessero arrivare a mettere a rischio la propria vita per gioco, e per un like in più. Tristemente profetico, non vi sembra?

Il libro è diventato un best-seller e da lì alla decisione di adattarlo per il cinema il passo è stato breve.

Vee Delmonico (Roberts) è una studentessa modello all’ultimo anno delle superiori, stanca di rimanere sempre in disparte. La ragazza sogna di trasferirsi in California, ma non se la sente di lasciare sola la madre (Lewis), ancora traumatizzata dalla morte dell’altro figlio avvenuta due anni prima.

Quando viene umiliata dall’amica Sidney (Meade), accanita giocatrice di Nerve, Vee decide di iscriversi anche lei, solo per provare quello che in apparenza sembra un gioco innocuo e divertente.

Vee viene risucchiata nel vortice della competizione, della fama e dei follower, assieme a un misterioso ragazzo, Ian (Franco), fino a che il gioco diventa inquietante e le sfide sempre più rischiose, in un crescendo che porterà alla prova finale dove la posta in gioco sarà altissima.

“Nerve” è un film che per struttura narrativa, tematiche e cast sembra pensato per un pubblico giovane, ma che si lascia guardare con curiosità e interesse anche dagli adulti. continua su

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Roberto Sapienza presenta “Ninni, mio padre”

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