Melvin è un ragazzo di trent’anni appassionato di fiction. Guardando la TV si innamora dell’Aspirante Diva e decide di conoscerla. Anni dopo Melvin racconta la sua storia allo Splendente, il suo psichiatra. Il tempo è galantuomo.
“Marcel- The Shell” è un film di Dean Fleischer-Camp. Con Jenny Slate, Dean Fleischer-Camp, Isabella Rossellini, Joe Gabler, Shari Finkelstein. Commedia, animazione 90′. USA 2021
Sinossi:
Marcel è una creatura minuscola e strana: una conchiglia con un occhio di plastica, una bocca disegnata e scarpe da ginnastica ai piedi. Non è più grande di una noce e vive in una casa gigantesca con la nonna Connie, anche lei una mezza conchiglia, solo un po’ più grande. Marcel si racconta alla camera di Dean, un regista che ha affittato su Airbnb la casa, un tempo abitata da una coppia poi separatasi: parla di sé, delle sue idee, dei suoi giochi, dei suoi piccoli stratagemmi per mangiare e divertirsi. Dopo aver caricato su internet alcuni video, Marcel diventa una celebrità e non crede ai suoi occhi quando gli autori dell’adorato programma 60 Minutes lo contattano per esaudire il suo sogno: ritrovare la sua famiglia (cioè altri piccoli esseri animati ricavati da conchiglie o noccioline) e tornare a vivere in una comunità.
Recensione:
Appartengo a una generazione per cui con l’aggettivo “virale” ci si riferiva a malanni e influenze, grazie alle quali saltare magari qualche giorno di scuola. Nel corso degli anni questa parola ha ampliato il suo significato, diventando anche l’unità di misura con cui stabilire il successo e la popolarità di un personaggio oppure di un evento sul web.
Personalmente rimango fedele all’originale, perché dal mio punto di vista i fantomatici contenuti virali si rivelano molto spesso grandi bluff e meri fenomeni costruiti ad hoc.
Non me vogliano Dean Fleischer-Camp e Jenny Slate ideatori del cortometraggio “Marcel the Shell”, divenuto virale su YouTube nel 2010 e poi sviluppatosi negli anni in altri due lavori, e adesso diventato anche un lungometraggio, candidato anche agli Oscar come miglior film di animazione. continua su
“Decision to Leave” è un film di Park Chan-wook. Con Wei Tang, Go Kyung-pyo, Hae-il Park, Yong-woo Park, Lee Jung-hyun. Drammatico, 138′. Corea del Sud 2022
Sinossi:
Hae-joon è un detective infallibile e un marito insoddisfatto: quando si trova alle prese con un caso di suicidio, ritiene che si tratti in realtà di omicidio. Per questo indaga sulla moglie cinese della vittima, Seo-rae, ma se ne innamora all’istante. Attraverso una sottile rete di seduzione, Seo-rae sembra soggiogare Hae-joon, che però ha un’intuizione che potrebbe ribaltare il corso dell’indagine.
Recensione:
Parafrasando il titolo del film, “Decision to leave”, il vostro inviato è rimasto incollato alla sedia fino alla fine della proiezione, nonostante l’istinto di fuga.
Lo sapete: i film orientali sono la mia personale spina nel fianco cinematografica. Nonostante il doloroso forfait della collega Valeria Lotti, era però impensabile che la direttora li depennasse in toto dalla sua lista di Cannes 2022. Ed eccoci qui.
La mia recensione sul nuovo film di Park Chan-wook si basa sulle sensazioni provate e sulle riflessioni fatte qualche ora dopo l’anteprima. I fan del regista sudcoreano e in generale i puristi del cinema asiatico potrebbero avere qualcosa da ridire, ne sono consapevole.
Quest’anno il buon Frémaux pare si sia preso una cotta per i thriller/noir, selezionandone diversi per il programma. Dopo “Holy Spider”, ambientato in Iran, è il turno di “Decision to leave”, che almeno inizialmente trasmette la sensazione di una storia già vista. continua su
Il biglietto d’acquistare per “Profeti” è : Omaggio (con riserva)
“Profeti” è un film del 2023 diretto Alessio Cremonini, scritto da Alessio Cremonini e Monica Zeppelli, con : Jasmine Trinca, Isabella Nefar, Ziyad Bakri, Omar El-Saeidi, Mehdi Meskar, Marco Horanieh, Orwa Kulthoum.
Sinossi:
Sara Canova è una giornalista italiana che vive da un anno in Egitto e sta facendo un servizio in Siria sulle donne che lottano contro l’Isis in quanto “regime di oppressione femminile”, quando viene catturata dai fondamentalisti islamici e fatta prigioniera. La sua detenzione sarà destinata a durare molti mesi, passando dalla prima linea del combattimento ad un campo di addestramento nel Califfato in cui dividerà l’alloggio con Nur, una giovane donna nata in Siria ma cresciuta a Londra, e andata in sposa (volontariamente) a un mujahidin, ovvero un miliziano della jihad. Se da un lato Sara è atea e senza marito o figli, dall’altro Nur è devota al coniuge con cui sogna di creare una famiglia e ad Allah, senza se e senza ma. Al dubbio occidentale si contrappone dunque la certezza mediorientale, incomprensibile per Sara dato che i suoi occhi nell’Islam “le donne non contano niente”
Recensione:
Non è semplice recensire il nuovo film di Alessio Cremonini , sapendo di rischiare il qualunquismo socio -politico oltre che cinematografico.
“Profeti” è la sintesi narrativa e creativa di un lungo e certosino lavoro compiuto dal regista nell’annottare e soprattutto ascoltare i racconti degli uomini e donne fatti prigionieri dai terroristi islamici nel corso degli anni.
Cremonini voleva raccontare, descrivere e far sentire allo spettatore la paura, l’angoscia e solitudine provata dagli intervistati durante i lunghi mesi di prigionia.
Un progetto ambizioso quanto delicato sul piano registico e drammaturgico realizzando un film di finzione al posto di un più semplice docu- fiction.
Cremonini ha voluto aggiungere un ulteriore livello di difficoltà, mettendo a confronto o sarebbe più corretto realizzando uno scontro di “civiltà” tra Occidente e Oriente ,avendo due donne come protagoniste.
Due tipologie di donne opposte, dure, orgogliose, apparendo l’una la nemesi dell’altra.
Il confronto/scontro non si svolge però in condizioni di parità e di libertà.
Sara (Trinca) è l’esempio della donna moderna occidentale: “sposata” al proprio lavoro, indipendente ed agnostica in campo religioso.
Invece Nur (la brava e convincente Isabella Nefar) incarna la donna islamica che sebbene istruita e cresciuta in Occidente, ha sposato un mujahidin e diventando ella stessa una combattente dell’Isis.
Se formalmente Nura è la carceriera e Sara la prigioniera, nei fatti entrambe le donne sono recluse tra le mura di un appartamento mentre fuori si sentono colpi di mitra ed esplosioni.
Nura e Sara si studiano, si osservano , parlano ,pur rimanendo distanti e ferme nelle rispettive convinzioni sul ruolo della donna nell’Islam e soprattutto nel Califato.
La prima parte di Profeti è un lungo e soporifero prologo del film, dove il regista ha cercato di ricostruire il passaggio di Sara, da reporter di guerra al ruolo di prigioniera degli uomini dell’Isis.
Lo spettatore è “costretto” alla visione cruda, sicuramente dettagliata dell’inizio del calvario della protagonista, ma senza possedere gli elementi necessari per giustificarne la lunghezza e ripetitività delle scene di interrogatorio da parte del comandante /aguzzino.
Il vero film inizia con il trasferimento della giornalista nel nuovo campo base e l’ingresso nella casa /prigione di Nura.
In questa seconda parte la storia prende quota, diventando abbastanza interessante a livello psicologico oltre che culturale.
Questa seconda parte potremmo definirlo con un iperbole una sorta di “Carnage” ambientato all’epoca dell’Isis.
Sara e Nura ingaggiano una guerra di silenzi, di gesti e di sguardi alternata a secchi ed intesi dialoghi su chi sia il vero responsabile di questa guerra tra l’Occidente ed il Califfato.
Jasmine Trinca dà prova di maturità attoriale ed intelligenza artistica adattandosi ad un personaggio frutto di diverse esperienze e poco armonizzate in fase di scrittura.
Sara risulta così un personaggio senza una chiara identità, poco definita nel suo travaglio interiore e mentale.
Perché Sara alla fine accetta d’abbracciare l’Islam? Per stanchezza? Per rompere l’esasperante monotonia della sue giornate? Non è dato saperlo chiaramente, minando in parte la missione del regista su questo versante.
Tra le due donne, vince il confronto decisamente Nura, rivelandosi tragicamente coerente con le scelte fatte, rese potenti e chiare dalla grande personalità e grinta messa in scena da Isabella Nefar.
Il finale aperto o sarebbe più corretto definirlo sospeso, sottolinea una volta di più i pregi e soprattutto i difetti strutturali di un film ambizioso , utile , ma sfortunatamente incompiuto.
Il biglietto d’acquistare per “Il primo giorno della mia vita” è : Omaggio (con Riserva)
“Il primo giorno della mia vita” è un film del 2023 diretto da Paolo Genovese, scritto da Paolo Genovese, Paolo Costella, Rolando Ravello, Isabella Aguilar, basato sull’omonimo romanzo scritto da Paolo Genovese e pubblicato da Einaudi nel Maggio 2018, con : Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Margherita Buy, Sara Serraiocco, Gabriele Cristini, Giorgio Tirabassi, Lino Guanciale, Antonio Gerardi, Lidia Vitale, Vittoria Puccini, Elena Lietti, Thomas Trabacchi, Davide Combusti.
Sinossi:
Il primo giorno della mia vita, il film diretto da Paolo Genovese, mette al centro della storia l’enorme valore della vita di ogni essere umano. Nel film si intrecciano le vicende di un uomo (Valerio Mastandrea), due donne (Margherita Buy e Sara Serraiocco) e un ragazzino (Gabriele Cristini). Ognuno di loro ha un motivo preciso per essere disperato, tanto da arrivare a chiedersi perché mai dover continuare a vivere.
Un giorno tutti questi personaggi in momenti diversi della loro vita si imbattono e conoscono un uomo misterioso (Toni Servillo). Sarà quest’ultimo a dare loro la possibilità di osservare cosa potrebbe accadere nel mondo, quando non ci saranno più.
È così che i quattro protagonisti avranno a disposizione una settimana per osservare sé stessi dal di fuori, per vedere cosa lascerebbero e come reagirebbero parenti e amici alla loro dipartita. Quest’esperienza rappresenterà per tutti l’occasione per tornare ad apprezzare di nuovo la vita.
Recensione:
Strano a dirsi, caro lettore /spettatore, ma in questo caso il vostro vecchio inviato aveva letto quattro anni fa il romanzo di Paolo Genovese, dando per scontato l’adattamento cinematografico.
Un adattamento arrivato probabilmente fuori tempo massimo causa pandemia e guerra, obbligando Genovese a riporre nel cassetto il sogno di girarlo negli Stati Uniti.
Infatti la prima differenza tra il libro ed il film, è la città in cui si svolge i fatti.
Da New York a Roma, il passo è “breve” se la produzione non si è potuta permettere i costi della trasferta.
“Tutti mentono “ci ha insegnato il geniale quanto corrosivo Dr. House.
Chi vi dice di non aver pensato, almeno una volta nella vita, alla proprio morte ed in un momento di sconforto personale anche al suicidio: mente due volte, senza alcun dubbio.
La morte è un argomento delicato, terribile quanto affascinante e complesso.
Chi possiede il dono della fede vede nella morte il necessario passaggio per poter ambire alla vita eterna.
Chi invece per scelta, moda, indolenza, cinismo non crede a niente e nessuno, si limita a vivere una vita evitando d’affrontare il minor numero di rotture di coglioni di decimo livello, si rivela discepolo oltre che fan del vice questore Rocco Schiavone.
Esiste, purtroppo, anche una terza categoria fortemente legata alla tematica, tragicamente e quotidianamente in crescita: tutte quelle persone colpite dal demone più feroce e subdolo esistente: il mal di vivere alias depressione capace d’infettare qualsiasi anima.
La depressione non dà alcun preavviso, avvinghia la propria preda e raramente l’abbandona fino a quando non ha portato termine il compito: distruggerla fisicamente e spiritualmente.
Chi decide di suicidarsi, non è un vigliacco come molti dicono e scrivono con estrema facilità, ma bensì un soldato stanco di una guerra lunga, sfibrante e soprattutto combattuta in solitaria.
La depressione e il suicidio sono diventati spesso fonte di ispirazione narrativa ed artistica per scrittori, registi uniti nel folle ed ambizioso tentativo d’indagare l’animo umano e capirne i lati più intimi e profondi.
Paolo Genovese da un uomo curioso oltre che regista, sensibile ed attento agli usi e costumi della nostra società, ha rinnovato questa sfida artistica ed umana , stavolta in campo cinematografico.
La seconda differenza risiede nella sceneggiatura scritta ad otto mani, modificando in modo consistente la prospettiva e forza dell’idea e paradossalmente facendone perdere intensità, unicità e profondità interiore
“Il primo giorno della mia vita” non era il romanzo più originale, innovativo, dirompente esistente in letteratura su questa tematica, ma conteneva spunti e passaggi narrativi sicuramente intensi, delicati e non scontati per il lettore.
Invece la sceneggiatura si rivela confusa, dilatata, autoreferenziale e piuttosto fredda e stereotipata su alcuni personaggi.
“Il primo giorno della vita” era un romanzo “cinematografico”, nel senso più positivo del termine, poiché lo stile semplice, diretto quanto avvolgente di Genovese permetteva al lettore d’ immaginare ,fin dalla prima pagina, i luoghi, personaggi e situazioni inseriti nell’intreccio , invece una volta che i personaggi hanno preso vita sulla scena, non è scattato l’atteso coinvolgimento.
Se Il lettore entrava subito in empatia con i protagonisti della storia condividendone i dolori, dubbi e contrastanti emozioni, lo spettatore fatica più del dovuto nel sostenere e condividere un viaggio interiore confezionato in stile americano.
“Il primo giorno della mia vita” mostra come “il mal di vivere” possa colpire chiunque, non risparmiando neanche un indifeso e dolce bambino, non ascoltato ed “amato “in modo egoistico dai propri genitori.
Genovese si chiede e ci chiede quale sarebbe la nostra reazione di fronte alla possibilità d’ assistere al proprio funerale e osservare ed ascoltare le reazioni dei nostri cari ed amici.
Da tale esperienza potremmo ricavare qualche insegnamento ? Saremmo disposti a cambiare qualcosa nella nostra esistenza?
Chi ha compiuto il gesto estremo, potendo usufruire di tale dono per 7 giorni, tornerebbe poi sui propri passi ?
“Il primo giorno della mia vita” come romanzo evitava, fortunatamente, una deriva narrativa ed emozionale totalmente prevedibile e melensa riguardo la scelta finale compiuta dai cinque protagonisti, lasciando al lettore l’ inevitabile quanto necessaria dose di cinismo e delusione, mentre allo spettatore scioccamente viene imposto un quasi totale cambio di tono e di stile.
Il prestigioso cast artistico svolge il compitino senza lode e senza infamia, lasciando poco in dote allo spettatore.
La vita è un dono d’apprezzare e godere, nonostante le avversità, ogni giorno come fosse il primo.
Allo stesso tempo chi decide altrimenti , non va il nostro stolto biasimo , quanto semmai la sincera preghiera affinché la sua anima sia finalmente libera e serena, magari in veste più utile per gli altri aspiranti suicidari.
Il biglietto d’acquistare per “A letto con Sastre” è : Di pomeriggio
“A letto con Sastre” è un film del 2021 diretto da Samuel Benchetrit, scritto da Samuel Benchetrit Gábor Rassov, con : Joey Starr, Bouli Lanners, François Damiens, Ramzy Bedia, Vanessa Paradis, Gustave Kervern, Valeria Bruni Tedeschi, Raphaelle Doyle, Constance Rousseau, Vincent Macaigne, Bruno Podalydès, Jules Benchetrit, Thierry Gimenez, Jean-Pierre Martinage.
Sinossi:
A letto con Sartre, film diretto da Samuel Benchetrit, è ambientato in una cittadina nei pressi di un porto a nord della Francia, dove le persone trascorrono la loro vita isolate e col tempo si sono abituate alla violenza. La loro esistenza viene sconvolta improvvisamente da arte e amore, che iniziano a influenzarle fortemente.
Tra di loro c’è il boss locale, Jeff (François Damiens), che cerca di conquistare la cassiera di cui si è innamorato con poesie d’amore, alquanto discutibili. Poi abbiamo i suoi due tirapiedi Jesus (Joey Starr) e Poussin (Bouli Lanners), impegnati a organizzare un party per la figlia adolescente di Jeff e perfino disposti ad aiutare la ragazza a fare colpo sul tipo che le piace. Infine, Jacky (Gustave Kervern), uno scagnozzo che grazie all’amore per una donna scopre l’arte del teatro e, pur di starle vicino, si ritrova a recitare in una pièce sulla vita sessuale di Sartre e Simone de Beauvoir.
È così che la poesia, l’arte e il teatro aiuteranno questi personaggi a dare un senso alla loro vita, mostrando come spesso anche i più “duri” abbiano un cuore tenero.
Recensione:
I romantici e gli artisti in generale sono convinti che l’Amore e l’Arte possano realmente influenzare, trasformare, determinare la vita di un uomo.
Ma è davvero così o è solamente l’utopica illusione di queste due categorie di persone?
E’ possibile che un uomo gretto, magari un criminale innamoratosi di una giovane cassiera , decida di iscriversi ad un corso di poesia per far colpo ?
Riuscite ad immaginare uomini duri e violenti dediti alla lettura di testi filosofici o diventare attore di teatro per amore?
“A Letto con Sastre” è il divertente, surreale, commovente tentativo creativo e stilistic del regista Samuel Benchetrit di dimostrare il potere salvifico e catartico del teatro , della poesia e soprattutto dell’Amore.
La scelta narrativa di raccontare tre storie intrise di violenza, solitudine si è rivelata complessivamente azzeccata e convincente , nonostante il film presenti un inizio piuttosto lento e farraginoso.
Benchetrit insieme con l’altro sceneggiatore Rassov hanno improntato l’intreccio narrativo su tempi lunghi.
Scena dopo scena sale il pathos, si è conquistati dalla disarmante quanto potente anima del film: nessuno resta immune al fascino della poesia e richiamo dell’amore.
Un concetto semplice ma allo stesso tempo complesso da trasmettere e comprendere sulla scena dovendo evitare cadute retoriche, melense e soprattutto auto referenziali.
“A Letto con Sastre” è un viaggio introspettivo, allegorico, grottesco che non lascia indifferenti, ritrovando un po’ di noi stessi nei diversi personaggi ben costruiti in scrittura e resi credibili dagli interpreti davvero all’altezza.
“A Letto con Sastre” non è un film per tutti o quanto meno bisogna essere pazienti, facendosi trascinare dalle emozioni e sensate provate e vissute dai personaggi alla ricerca di un cambiamento o di riscoperta di una moglie un po’ abbrutita (una meravigliosa Bruni Tedeschi)ma sempre bella e presente.
“A letto con Sastre” è quel genere di film autoriale capace di toccare il cuore anche dello spettatore poco incline alla riflessione ed all’interiorità.
Asterix e Obelix – Il Regno di mezzo è un film di Guillaume Canet. Con Guillaume Canet, Gilles Lellouche, Vincent Cassel, Jonathan Cohen, Marion Cotillard. Commedia, 111′. Francia 2023
Sinossi:
Nel 50 A.C. la Gallia è quasi interamente terra romana, fatta eccezione per un’irriducibile sacca di resistenza: il grande Cesare non è ancora riuscito, infatti, ad averla vinta sul villaggio dell’Armorica in cui vivono Asterix e Obelix. Romani e Galli si ritrovano ora di nuovo gli uni contro gli altri nella lontana Cina, dove l’imperatrice, vittima di un colpo di stato, ha affidato la sua bella e unica figlia, Fu Ji, al mercante Maidiremaïs e, per suo tramite, ai nostri eroi con i baffi, mentre l’usurpatore Deng Tsin Quin ha chiesto e ottenuto l’appoggio delle sterminate legioni di Cesare.
Recensione
A distanza di ben undici dall’ultimo film, Asterix e Obelix tornano sul grande schermo con “Il regno di mezzo”, una nuova avventura (la prima a non ispirarsi a un albo a fumetti specifico di Goscinny e Uderzo) di stampo gallo-orientale, che ha l’intento di ampliare l’universo del franchise e rinverdirne i fasti.
Buoni anche gli innesti di Marion Cotillard e Vincent Cassel come Cleopatra e Giulio Cesare, spassosi al punto giusto, e l’atteso cameo di Zlatan Ibrahimovic nel ruolo dell’invincibile soldato romano Caiu Antivirus.
La svolta orientale, invece, che doveva essere il punto di forza del film e il cuore della sceneggiatura si è dimostrata piuttosto debole. segue