176) Mary Shelley

Il biglietto da acquistare per “Mary Shelley” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“Mary Shelley” è un film di Haifaa Al-Mansour. Con Elle Fanning, Bel Powley, Maisie Williams, Tom Sturridge, Douglas Booth. Drammatico, 120’. USA, 2017

Sinossi:

La storia di Mary Godwin Wollstonecraft, figlia di un filosofo e libraio londinese e della prima teorica del femminismo, del suo incontro con il poeta Percy Bysshe Shelley, del loro amore anticonformista, della vacanza in Svizzera, a Villa Diodati, assieme al maudit Lord Byron, al suo medico Polidori e alla sorellastra di Mary, e della notte in cui si sfidarono nella creazione di un racconto gotico. Nacque così Frankenstein.

Recensione:

Ci sono dei momenti o delle esperienze che segnano così profondamente la vita di una persona da diventarne lo spartiacque, il punto rispetto al quale pensiamo che c’è stato un prima, e un dopo. Riprendendo un titolo cinematografico, potremmo parlare di slinding doors.

Quello che definisce ogni scrittore degno di questo nome, indipendentemente dal successo, è la forza e il coraggio di guardarsi dentro, non temendo di affrontare i propri demoni né di restare sempre fedele a se stesso.

“Mary Shelley” di Haifaa Al-Mansour non è solamente un tradizionale quanto prevedibile biopic sull’autrice di “Frankenstein”, quanto il racconto del viaggio fisico ed esistenziale che portò Mary Godwin Wollstonecraft (Fanning) a capire prima di tutto se stessa, e a diventare donna e scrittrice.

Elle Fanning si conferma giovane veterana del cinema internazionale, con una performance toccante, intensa e matura. L’attrice si cala nel personaggio con grande cuore, passione e personalità, risultando credibile e autentica, senza mai eccedere nei toni e nello stile recitativo. continua su

http://paroleacolori.com/mary-shelley-il-viaggio-anche-interiore-che-porto-alla-nascita-di-frankenstein/

175) Ho ucciso Giovanni Falcone -La Confessione di Giovanni Brusca (Saverio Lodato)

“Ho ucciso Giovanni Falcone -La Confessione di Giovanni Brusca” è un saggio /intervista di Saverio Lodato pubblicato per la prima volta nel 1999 da Mondadori Editore.

Sinossi:
Saverio Lodato ha incontrato in una cella blindata del carcere di Rebibbia Giovanni Brusca e ne ha raccolto la testimonianza: la voce del primo boss della “mafia vincente” che ha scelto la strada della collaborazione con la giustizia. In queste pagine il boss dei corleonesi racconta la storia della sua vita, senza censurare alcun particolare: il padre mafioso, gli studi interrotti, il primo omicidio, il viaggio di iniziazione dai “cugini” americani… Spiega come si svolge la vita di un latitante, rivela i retroscena della sua cattura e di quella di Riina, i segreti e le connivenze politiche, ricostruisce i giorni drammatici in cui si preparò la strage di Capaci.
Recensione:
Qualunque persona può sbagliare, dire e fatti atti terribili, macchiarsi anche di delitti sangue e poter comunque aspirare al perdono, almeno divino, se il suo pentimento è davvero sincero.
Riconoscere i propri errori e chiedere perdono alle vittime per le indicibili sofferenze subite è il primo indispensabile passo per dimostrare la reale volontà di un cambiamento esistenziale.
La storia dell’uomo e dell’Arte è ricca di numerose e diverse forme di pentimento, contrizione da parte di uomini malvagi e sanguinari.
Il “pentimento” manzoniano dell’Innominato è diventato nel tempo non solamente a livello letterario il punto di riferimento e di paragone per raccontare la decisiva e sofferta scelta di un “villain”.
Fin dall’inizio “Il pentimento mafioso” è stato oggetto di controverse e furiose polemiche e critiche da parte dell’opinione pubblica e soprattutto dei politici, poiché considerato uno strumento “delicato” quanto “ambiguo” nelle mani della magistratura.
Giovanni Falcone fu il primo a coglierne l’enorme potenzialità giuridica ed investigativa nel comprendere prima la mentalità ed organizzazione della “misteriosa” Cosa Nostra e successivamente utilizzando le dichiarazioni dei pentiti per sconfiggerla.
Lo Stato può fidarsi delle parole di mafioso, autore di disumane efferatezze e suo strenuo nemico fino al giorno dell’arresto?
È arduo dare una risposta chiara e definitiva su questo difficile quesito, ma sicuramente il lettore può ottenere utili quanto indispensabili elementi di valutazione leggendo il libro/intervista di Saverio Lodato all’ex boss Giovanni Brusca.
Giovanni Brusca è l’esecutore materiale della strage di Capaci e responsabile della.
morte di Giovanni Falcone, della compagna e degli agenti di scorta.
È quasi impossibile anche solo immaginare un ‘azione umana più feroce terribile di quella compiuta dall’ex boss di Corleone e resistere al legittimo senso di disgusto e rabbia nei confronti di questo assassinio.
Ma superando l’iniziale turbamento il lettore ha l’opportunità di “vedere” e “conoscere” da un’inedita prospettiva la realtà mafiosa di Cosa Nostra.
“Ho ucciso Giovanni Falcone” è un crudo, spietato, autentico e sconvolgente viaggio dentro la vita e l’anima di un uomo divenuto consapevolmente un mostro sanguinario, ma in origine un ragazzo privo di un un modello familiare alternativo o di tessuto sociale ed economico allettante e soprattutto legale per fuggire al proprio infausto destino.
Giovanni Brusca pur non rinnegando il proprio passato e la “filosofia mafiosa” che ha ispirato la sua esistenza, ha scelto di raccontarsi mostrando molti degli scomodi scheletri presenti nel suo “armadio”.
“Ho ucciso Giovanni Falcone” è una lettura angosciante potente, illuminante quanto tragica della storia recente del nostro Paese che da una parte scuote e sgomenta il lettore e dall’altra gli fa compiere con un efficace “Virgilio “ un viaggio dentro una realtà infernale e soprattutto prendendo coscienza dei criminosi e tragici piani sovversivi di Cosa Nostra.
Recitano i manuali di guerra:
“Conoscere il proprio nemico è il primo necessario passo per poter vincere qualsiasi tipo di guerra”.
In qualche modo il pentimento di Brusca ha permesso allo Stato d’arricchire la propria conoscenza dell’avversario mafioso.
Una ricchezza da sfruttare bene e soprattutto nei modi e tempi opportuni, evitando che l’amara ed inquietante profezia “di Giovanni Brusca possa realizzarsi “. Purtroppo Per Parlare di Mafia, ci vogliono certi morti; altrimenti l’argomento non interessa a nessuno, come è stato detto più volte. E mi dispiace che a ripeterlo devo essere io”

174)“Cacciatore di Mafiosi- Le indagini , i pedinamenti, gli arresti di un magistrato in prima linea” (Alfonso Sabella)

“Cacciatore di Mafiosi- Le indagini , i pedinamenti, gli arresti di un magistrato in prima linea”” è un saggio scritto da Alfonso Sabella e pubblicato da Mondadori Editore per la prima volta nell’aprile 2008.
Sinossi:
Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Pasquale Cuntrera: nomi famosi, nomi infami, che rimangono scolpiti nella memoria di tutti perché rappresentano la mafia delle stragi dell’estate del 1993, dell’uccisione di Giovanni Falcone e Pietro Borsellino, del potere di Toto Riina e Bernardo Provenzano. Catturare questi uomini, spesso latitanti per anni, nascosti tra le pieghe di una Sicilia e di una Palermo in cui il territorio spesso sfugge al controllo dello stato, è un’impresa investigativa di grande difficoltà: si tratta di saper parlare con i pentiti, conoscere il modo di ragionare dei mafiosi, muoversi tra la criminalità comune, le donne dei capimafia e alcuni spietati assassini. Alfonso Sabella è stato per anni magistrato inquirente a Palermo, al tempo del pool antimafia guidato da Giancarlo Caselli. Ha catturato Bagarella e Brusca, ha visitato le camere della morte dove avvenivano le torture e le uccisioni più cruente, ha raccolto i racconti di pentiti maggiori e minori e soprattutto ha accumulato una enorme riserva di storie. Storie con tutta la violenza delle guerre di mafia di cui fanno le spese anche gli innocenti, storie di intercettazioni telefoniche e imboscate per strada, storie in cui le gesta dei mafiosi si modellano sui film e la televisione. Soprattutto storie vere, che ci fanno vivere in prima persona le emozioni, i drammi, le delusioni e i trionfi di un magistrato che per anni è stato un cacciatore di mafiosi di professione.
Recensione:
“Ho voluto scrivere questo libro sulle mie esperienze professionali per due motivi. Il primo era far sapere agli italiani come lo Stato seppe reagire alle stragi di Capaci e Via D’Amelio e successivamente alla stagione del terrore mafioso del ‘93. In pochi sanno o ricordano che lo Stato riuscì a smantellare parte della Cupola, arrestando uno dopo l’altro mafiosi del calibro di Bagarella e Brusca. Non ci siamo arresi, non ci siamo fermati solo al processo contro Giulio Andreotti. Il secondo era scalfire l’aura che pellicole celebri come la saga del “Padrino” hanno costruito intorno ai mafiosi. Non è vero che non erano capaci di nefandezze come sciogliere un bambino nell’acido. I mafiosi sono belve senza scrupoli e io ho voluto raccontarne l’orrore e le brutalità compiute da questi uomini. Speravo che il mio romanzo potesse diventare la base per realizzare un progetto televisivo o cinematografico, ma devo ammettere che mai avrei pensato che questa serie potesse raggiungere simili livelli.”
Ho avuto l’opportunità d’ascoltare queste parole durante l’intervento del Dott Alfonso Sabella alla presentazione dell’apprezzata serie Tv “Il Cacciatore” andata in onda la scorsa primavera su Rai 2, ispirata dal saggio/romanzo biografico scritto dallo stesso ex magistrato .
Poche ed intese parole che mi convinsero fin da subito della qualità e validità artistica del progetto televisivo e soprattutto come potesse rappresentare per l’opinione pubblica una vera novità a livello “narrativo “e “sociale”.
Vi consiglio vivamente di recuperare, durante questo periodo estivo, la prima stagione sul portale RAI play, ma solamente dopo aver letto la “fonte” originaria per conoscere e comprendere in che modo lo Stato seppe reagire all’attacco frontale di Cosa Nostra.
“ Cacciatore di Mafiosi” è il racconto vivido, inteso, quanto coinvolgente della fulminante “carriera” del giovane ed ambizioso magistrato Sabella all’interno del Pool Antimafia guidato dall’allora Procuratore Generale Giancarlo Caselli.
Alfonso Sabella è un magistrato atipico, diverso rispetto agli altri colleghi del Pool, rivelando fin dal suo primo giorno di “lavoro” una ferocia determinazione, un formidabile istinto e la giusta dose di “superbia” nell’affrontare ogni delicato fascicolo sulla latitanza di un mafioso
Alfonso Sabella consapevole che lo Stato deve affrontare e vincere una guerra totale e devastante contro Cosa Nostra, si trasforma in un magistrato “cacciatore” operando direttamente su “strada” affiancando oltre che coordinando le forze dell’ordine, anche a rischio della propria incolumità personale.
Alfonso Sabella da siciliano prima ancora che da magistrato conosce bene il modo di pensare e d’agire dei mafiosi riuscendo così spesso ad intuire ed anticipare le mosse di quest’ultimi.
Sabella affronta a viso aperto questa immane sfida sentendo forte la responsabilità del proprio compito e soprattutto l’urgenza di dimostrare con i fatti al popolo italiano che dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio, lo Stato non ha abdicato al proprio ruolo e funzione.
“ Cacciatore di Mafiosi” ha una struttura narrativa lineare, diretta, incisiva capace di conquistare il lettore fin dalle prime pagine, facendoli rivivere con forza e crudezza quei frenetici e terribili anni e mettendo in luce da una parte i lati più sanguinari e brutali dei boss di Cosa Nostra e dall’altra la loro paradossale umanità e calore nei confronti delle rispettive famiglie.
“ Cacciatore di Mafiosi” è un flusso di pensieri, emozioni, riflessioni e considerazioni dell’uomo Sabella prima ancora del magistrato che scuotono cuore e mente del lettore e soprattutto facendolo interrogare su quali furono i motivi per cui la “caccia” di Sabella fu bruscamente e misteriosamente interrotta prima della sua conclusione.

173) La vera storia di Olli Maki

Il biglietto da acquistare per “The happiest day in the life of Olli Mäki” -“La vera storia di Olli Maki” è: 1)Neanche regalato; 2)Omaggio (con riserva); 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto; 5)Sempre.

Il giudizio di critici e addetti ai lavori è molto spesso in netto contrasto con quello che pensa lo spettatore medio. Questa affermazione è quanto mai vera quando si parla delle pellicole presentate – e magari premiate – ai festival cinematografici.

Recensire “The happiest day in the life of Olli Mäki” del regista finlandese Juho Kuosmanen, vincitore della sezione “Un Certain Regard” di Cannes è molto difficile, per me, essendo il mio pensiero estremamente diverso da quello della giuria che lo ha premiato.

Sebbene non abbia seguito molto questa sezione – articolata in ben 18 pellicole -, ho avuto modo di vedere “Captain Fantastic ” di Matt Ross (premiato come migliore regista), rimanendo piacevolmente colpito.

Ma bando alle ciance, torniamo al vincitore. Chi è mai questo Olli Mäki? Non è altro che il Rocky Balboa di Finlandia, che nel 1962 sfidò il campione del mondo di pugilato, lo statunitense Davey Moore.

Il film, girato in bianco e nero, è pensato per far seguire allo spettatore la dura preparazione fisica di Olli (Lahti) in vista della grande sfida. Una scelta narrativa ben precisa, che però convince poco, sia dal punto di vista del coinvolgimento che del ritmo.

È un Rocky senza pathos e passione, però, quello scandinavo, che ha in comune con l’eroe americano più l’amore per una donna che quello per la boxe. L’Adriana di Olli si chiama Raija (Oona) e mentre tutto il Paese conta su di lui per ottenere quell’importante successo sportivo internazionale, lui sogna solo di sposare l’amata. continua su

http://paroleacolori.com/festival-di-cannes-film-premiati-happiest-day-life-olli-maki/

172) Most Beautiful Island

Il biglietto da acquistare per “Most beautiful island” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto (con riserva). Sempre.

“Most beautiful island” è un film di Ana Asensio. Con Ana Asensio, Natasha Romanova, David Little, Nicholas Tucci, Larry Fessenden. Drammatico, 87′. USA 2017

Sinossi:

Luciana è una giovane immigrata spagnola a New York, che lotta per sopravvivere mentre prova a fuggire da un traumatico incidente del suo passato. Per sbarcare il lunario accetta lavori di ogni sorta: un giorno distribuisce volantini pubblicitari mascherata da pollo, un pomeriggio fa la babysitter, una sera si veste elegante per andare a una festa esclusiva, apparentemente solo per farsi guardare. Luciana dovrebbe sostituire una sua amica, che le promette “non devi far niente di ciò che non vuoi”, in cambio di duemila dollari solo per partecipare al party. Ma la serata prenderà ben presto una piega imprevista e pericolosa, e sarà troppo tardi per abbandonarla.

Recensione:

Gli Stati Uniti rappresentano da sempre, nell’immaginario collettivo, la terra delle opportunità, il luogo in cui realizzare i propri sogni e ricominciare, superando condizioni di partenza svantaggiate. Ancora oggi, milioni di persone cercano di ottenere la green card che permette di vivere regolarmente nel Paese.

New York, la città che non dorme mai, incarna perfettamente il bello e il brutto degli States: chiunque può trovare lavoro e tagliare i ponti col passato, ma il rischio di essere inghiottiti senza lasciare traccia del proprio passaggio è alta.

“Most beautiful island” di Ana Asensio, nonostante il titolo ingannevole, è un racconto doloroso, sorretto da una struttura narrativa precisa, lineare, semplice quanto accurata e avvolgente.

La prima parte può essere considerata preparatoria alla seconda. La vita della protagonista Luciana, mostrata con uno stile di racconto da docu-fiction, arriva fino alla tragica implosione che non lascia alla donna altra scelta se non quella di cambiare aria. Con il trasferimento a New York si cambia musica e registro.

Da questa sorta di “Alice nel Paese delle meraviglie” in chiave dark, cupa e angosciante si passa a una via di mezzo tra thriller e noir dal grande impatto emotivo, sensoriale e visivo. Le domande nella mente dello spettatore si moltiplicano: chi è Olga? Perché ha scelto Luciana? Chi sono gli ospiti della festa e perché la paga è così alta?

Ana Asensio firma una sceneggiatura in cui le parole e i dialoghi sono ridotti all’osso. Alle immagini e alla bravura degli attori è lasciato il compito di mostrare e trasmettere le emozioni. continua su

http://paroleacolori.com/most-beautiful-island-ana-asensio/

171) Fiori sopra l’Inferno (Ilaria Tuti)


“ Fiori sopra l’Inferno” è un romanzo scritto da Ilaria Tuti e pubblicato da Longanesi Editore nel Gennaio 2018.
Sinossi:
«Tra i boschi e le pareti rocciose a strapiombo, giù nell’orrido che conduce al torrente, tra le pozze d’acqua smeraldo che profuma di ghiaccio, qualcosa si nasconde. Me lo dicono le tracce di sangue, me lo dice l’esperienza: è successo, ma potrebbe risuccedere. Questo è solo l’inizio. Qualcosa di sconvolgente è accaduto, tra queste montagne. Qualcosa che richiede tutta la mia abilità investigativa. Sono un commissario di polizia specializzato in profilino, e ogni giorno cammino sopra l’inferno. Non è la pistola, non è la divisa: è la mia mente la vera arma. Ma proprio lei mi sta tradendo. Non il corpo acciaccato dall’età che avanza, non il mio cuore tormentato. La mia lucidità è a rischio, e questo significa che lo è anche l’indagine. Mi chiamo Teresa Battaglia, ho un segreto che non oso confessare nemmeno a me stessa, e per la prima volta nella vita ho paura».
Recensione:
“Ilaria Tuti vive a Gemona del Friuli, in provincia di Udine. Da ragazzina volava fare la fotografa, ma ha studiato Economia.
. Ama i romanzi di Donato Carrisi…”

Generalmente le note biografiche dell’autore le leggo quando mi ritrovo a metà lettura dell’opera letteraria, per non farmi influenzare nel giudizio dal suo passato umano e professionale.
Ma Ilaria Tuti ha rappresentato la classica e proverbiale eccezione al mio consolidato e rigido schema, avendomi subito colpito alcuni passaggi e soprattutto il suo principale di riferimento letterario.
Il lettore leggendole può subito cogliere l’anima, creatività e versatilità dell’autrice e comprendere come queste doti abbiano decretato l’immediato e meritato successo di critica e pubblico di questo romanzo.
“ Fiori sopra l’inferno” è un romanzo capace di conquistare ed avvolgere il lettore fin dalle prime pagine trascinandolo dentro una storia in cui alternano costantemente orrore e bellezza, amore e morte all’interno di una chiusa e misteriosa comunità montanara.
Una comunità caratterizzata da terribili segreti, gelosie ed ipocrisie che rievocano nel lettore l’atmosfera e tensione del primo Twin Peaks.
“ Fiori sopra l’inferno” è un romanzo intenso, cupo, violento quanto delicato come soltanto pochi e talentuosi autori sono capaci di realizzare oltre che stimolare la fantasia e colpire cuore del lettore.
Ilaria Tuti si rivela una degna “allieva” di Donato Carrisi nel talento ed abilità di raccontare e descrivere i personaggi con uno stile chiaro, semplice, diretto oltre a firmare una struttura narrativa efficace quanto “cinematografica”.
Teresa Battaglia è uno dei quei personaggi letterari destinati a vivere ben oltre le pagine di un romanzo riscontrando l’apprezzamento, la simpatia ed affetto del lettore come è stato negli anni per il commissario Montalbano ed il vice questore Schiavone.
Teresa Battaglia è una donna ruvida, spigolosa essenziale quanto intuitiva nel proprio lavoro. E’ dotata di una sensibilità ed umanità che le permette di vedere la profondità dell’animo umano non temendone la parte più oscura e brutale.
Teresa Battaglia può essere considerata come l’alter ego femminile del vice questore Rocco Schiavone, anche se abbiamo trovato molte similitudini caratteriali e soprattutto emotive ed esistenziali con il ruvido quanto geniale Dottor House della serie tv.
Ilaria Tuti ha anche il merito d’aver dato vita a un personaggio femminile nuovo e diverso nel panorama letterario italiano, evitando fortunatamente qualsiasi tentazione romantica e sessuale assolutamente fuori luogo sul piano narrativo.
“ Fiori sopra l’inferno” è una lettura totalizzante e sconvolgente fino all’ultima pagina che non potrà non segnarvi nel profondo ed allo stesso tempo regalandovi una sincera ed amara commozione anche per il presunto carnefice, a sua volta vittima della follia umana di voler piegare, ai propri voleri, Madre Natura.

170) Shark- Il Primo Squalo

Il biglietto da acquistare per “Shark – Il primo squalo” è:
Nemmeno regalato. Omaggio (con riserva). Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“Shark- Il Primo Squalo” è Un film di Jon Turteltaub. Con Jason Statham, Bingbing Li, Rainn Wilson, Ruby Rose, Winston Chao, Cliff Curtis. Azione, 113′. USA 2018

Sinossi:

Un sommergibile viene attaccato da un’imponente creatura che si riteneva estinta, uno squalo preistorico di quasi 23 metri conosciuto come Megalodon, e trascinato sul fondo della fossa più profonda del Pacifico con il suo equipaggio intrappolato all’interno. Per salvare gli uomini – e l’oceano – viene chiamato l’esperto di salvataggi subacquei Jonas Taylor (Statham).

Recensione:

Da isolano che ama la montagna e l’inverno più dell’estate potrei non essere il candidato più adatto a parlare di questo film, ma neppure io, nonostante le mie preferenze, ignoro il fascino che il mare ha esercitato da sempre su scrittori e registi.

Il buon Steven Spielberg, ad esempio, deve parte del suo successo alla fortunata saga de “Lo squalo” che ha conquistato intere generazioni di spettatori, più per l’ipnotica e avvolgente colonna che per la storia, tutto sommato ripetitiva.

Nel panorama contemporaneo, dove si punta alla riproposizione di spunti già visti piuttosto che alla creazione di altri ex novo, non sorprende più di tanto l’operazione messa in piedi dal regista Jon Turteltaub e dagli sceneggiatori di “Shark – Il primo squalo”.

Il film guarda al passato, addirittura alla preistoria, adattando per il grande schermo il romanzo “Meg” di Steve Allen, uscito nel 1997. Il megalodonte – squalo preistorico tre volte più grande del suo parente più stretto, il grande squalo bianco – è un soggetto dall’enorme potenziale.

Purtroppo “Shark – Il primo squalo” è imbarazzante sia nella costruzione dell’intreccio che in quello dei personaggi. I dialoghi sono stiracchiati, poco credibili, talvolta inutili. La sceneggiatura sembra tagliata con l’accetta, ogni scena sembra ideata, scritta e poi girata in modo frettoloso. continua su

http://paroleacolori.com/shark-il-primo-squalo-un-film-estivo-che-diverte-senza-colpire/

169) The End?L’inferno fuori

“The End ? L’inferno fuori” è un film di Daniele Misischia. Con Alessandro Roja, Euridice Axen, Claudio Camilli, Carolina Crescentini, Benedetta Cimatti. Horror, 100′. Italia 2018

Sinossi:

Claudio è un importante uomo d’affari, cinico e narcisista. Una mattina, dopo essere rimasto imbottigliato nel traffico di Roma, arriva in ufficio ma rimane bloccato da solo in ascensore. Peccato sia proprio il giorno in cui deve concludere un lavoro cruciale per la sua azienda. Ma questo inconveniente sarà solo il primo. Mentre cerca di non farsi sopraffare dalla disperazione per aver perso l’appuntamento, parlando con la moglie al telefono e leggendo le news realizza che sta succedendo qualcosa di terribile: la città è in preda al delirio, colpita da un virus letale che sta trasformando le persone in zombie. Bloccato nell’ascensore fermo tra due piani, Claudio dovrà affidarsi al suo istinto di sopravvivenza per affrontare l’apocalisse che travolge la città eterna.

Recensione:

Dicono che non sia mai troppo tardi per cambiare, per prendere atto dei propri errori e atteggiamenti da persona difficile, per non dire st***za, e cercare di porvi rimedio.

A innescare questa forma di “illuminazione interiore” alla Ebenezer Scrooge è solitamente un evento straordinario, drammatico. E cosa può esserci di più drammatico di ritrovarsi, una mattina romana come tante, prigioniero dentro un ascensore mentre intorno si sta scatenando un’apocalisse zombie?

“The end? L’infero fuori” di Daniele Misischia è sì una pellicola horror ambientata a Roma, ma la comparsa degli zombi, le devastazioni, il sangue sono solamente la cornice narrativa per raccontare allo spettatore come il protagonista Claudio viva la notte più sconvolgente e terribile della sua vita, e cambi.

Il pubblico condivide con lui, chiuso dentro l’angusto spazio dell’ascensore, angoscia e orrore, in un’immersione che non è solamente visiva ma uditiva (molto forte la sequenza dove Claudio ascolta le urla della moglie e dell’assistente al telefono).

“The End? L’inferno fuori” è nel complesso un progetto apprezzabile e coraggioso sia a livello produttivo (Manetti Bros.) che artistico, col suo rivendicare il diritto/dovere del cinema anche italiano di realizzare film di genere e d’autore. continua su

http://paroleacolori.com/the-end-inferno-fuori-alessandro-roja/

168) Il tuo Ex non muore mai

Il biglietto da acquistare per “Il tuo ex non muore mai” è:
Nemmeno regalato. Omaggio (con riserva). Di pomeriggio. Ridotto. Sempre.

“Il Tuo Ex Non Muore Mai” è un film di Susanna Fogel. Con Mila Kunis, Kate McKinnon, Justin Theroux, Sam Heughan, Gillian Anderson. Commedia, 116′. USA 2018

Sinossi:

Audrey e Morgan, due amiche trentenni che vivono a Los Angeles, si ritrovano al centro di una cospirazione internazionale, quando l’ex fidanzato di Audrey si presenta nel loro appartamento per nascondersi da un gruppo di spietati assassini che lo stanno inseguendo. Incredule e stupite, le due saranno costrette a entrare in azione e trasformarsi in spie provette. Dovranno fare i conti con i killer e con un agente segreto britannico, misterioso e affascinante, mentre cercano di salvare il mondo… e la pelle.

Recensione:

Possiamo mai dire davvero di conoscere qualcuno, fosse anche il nostro partner? E se dopo un anno di felice convivenza questi dovesse lasciarci improvvisamente, tramite messaggio, sarebbe solo uno st**o senza possibilità di perdono o magari potrebbe avere un motivo per le sue azioni? Qualcosa che ci tiene, appunto, nascosto?

Sarà capitato a molti di porsi domande come questa, magari dopo la fine di una relazione sentimentale. Altrettanto spesso questi temi sono stati presi come spunto narrativo per realizzare commedie romantiche o drammi esistenziali strappalacrime.

Ebbene, caro spettatore, se pensi che “Il tuo ex non muore mai” di Susanna Fogel rientri in una delle due categorie rimarrai deluso. Il film parte da una rottura, è vero, quella tra Audrey (Kunis) e il fidanzato, ma poi si configura come una spy story tutta al femminile, incredibile quanto divertente.

A sequenze d’azione degne del miglior James Bond o di Mission Impossible se ne alternano fin da subito altre da commedia romantica. Cosa unisce le due anime, all’apparenza tanto diverse? Il personaggio di Drew (Theroux), ex di Audrey, che porterà le due amiche a essere coinvolte in un pericoloso intrigo internazionale.

Il fatto di giocare sulla mescolanza tra commedia e azione convince, ma solo fino a un certo punto. Alla lunga, infatti, “Il tuo ex non muore mai” risulta piuttosto pasticciato, un ibrido che non riesce ad assimilare il meglio né di un genere né di un altro. continua su

http://paroleacolori.com/il-tuo-ex-non-muore-mai-spy-story-e-commedia-romantica/

167) A Bocce Ferme ( Marco Malvadi)


“A Bocce Ferme” è un romanzo di Marco Malvadi, pubblicato da Sellerio Editore nel Luglio 2018.

Sinossi:
Un cold case per i Vecchietti del BarLume. Un vecchio omicidio mai risolto, avvenuto nel fatidico 1968, si riapre per una questione di eredità. In questo giallo comico Marco Malvaldi coniuga una formula felice di leggerezza intelligente e intricato delitto, un sottile pennello che dipinge l’acquerello di un’Italia esclusa dalla ribalta mediatica, e che del Paese vero, anche quello più attuale, fa capire molte cose.

Recensione:
Hai voglia d’assistere ad un memorabile ed infuocato dibattito politico, sociale e culturale?
Sei curioso di vedere degli estranei o magari alcuni tuoi cari amici litigare come non mai?
Ti sarà sufficiente pronunciare, scrivere od anche solamente rievocare il 1968 per dare vita a un putiferio senza precedenti in qualunque contesto pubblico, privato od anche solamente sui social network.
Il controverso e delicato dibattito sul 68 è, senza dubbio, la madre di tutti i dibattiti capace ancora oggi di dividere profondamente e nettamente l’opinione pubblica.
Gli scontri verbali e non solo tra gli ex sessantottini e chi li ha avversati, combattuti e denigrati fanno apparire come “semplice scaramucce” la guerra tra guelfi e ghibellini.
Molti scrittori, saggisti, poeti hanno scritto del 68, potendo contare su grandi e forti potenzialità e suggestioni drammaturgiche oltre che emotive.
Marco Malvadi, da persona intelligente oltre che scrittore esperto, pur inserendo la tematica 68 nel suo nuovo romanzo ha evitato con furbizia ogni trappola ideologica e sociale, trasformandolo in un efficace pretesto narrativo per dare allo spettatore una diversa e originale prospettiva di quel contestato e storico anno.
“A Bocce ferme” racconta come l’anno dell’illusoria rivoluzione culturale, sociale e politica, sia divenuto un perfetto alibi per nascondere uno spietato assassinio e traendone dei vantaggiosi benefici ereditari ed economici
Il 68 caratterizzato anche dalla libertà sessuale ed indipendenza femminile, offrì in vero a qualche insospettabile mascalzone l’opportunità di sedurre vigliaccamente ingenue studentesse.
Le “contradizioni “e “criticità” del 1968 riemergono con la clamorosa confessione omicida di Alberto Corradi allegata alle sue ultime volontà testamentarie.
Una confessione che sconvolge la quiete della Pineta riaprendo vecchie ferite e scaldando gli animi e ricordi degli amati vecchietti del Bar Lume, mai come questa volta protagonisti per la risoluzione del delicato e misterioso “Cold Case”
“A Bocce ferme” è una resa dei conti agrodolce ben scritta ed articolata da Malvadi nel costruire una storia in cui passato e presente si alternano sulla scena in modo armonioso e brillante regalando sincere ed intese emozioni al lettore.
“A Bocce Ferme” segna anche un significativo spartiacque nella vita personale e sentimentale del “barista” Massimo, finalmente persuaso nel formare una famiglia con la tosta fidanzata e vice questore Alice Martelli.
“A Bocce Ferme” conquisterà e divertirà ed appassionerà il lettore per i numerosi colpi di scena e nello scoprire scomode verità riguardo i protagonisti , trovando altresì ulteriore conferma come il 68 sia stata un ‘epoca unica, beffarda  e per alcuni aspetti anche dannata.