28) Nomadland

Il biglietto da acquistare per “Nomadland” è: Sempre (con riserva).

“Nomadland” è un film di Chloé Zhao. Con Linda May, Frances McDormand, David Strathairn, Charlene Swankie.
Drammatico, 108′. USA 2020

Sinossi:

Empire, stato del Nevada. Nel 1988 la fabbrica presso cui Fern e suo marito Bo hanno lavorato tutta la vita ha chiuso i battenti, lasciando i dipendenti letteralmente per strada. Anche Bo se ne è andato, dopo una lunga malattia, e ora il mondo di Fern si divide fra un garage in cui sono rinchiuse tutte le cose del marito e un van che la donna ha riempito di tutto ciò che ha ancora per lei un significato materico. Vive di lavoretti saltuari poiché non ha diritto ai sussidi statali e non ha l’età per riciclarsi in un Paese in crisi, e si sposta di posteggio in posteggio, cercando di tenere insieme il puzzle scomposto della propria vita.

Recensione:

Esistono molti modi di elaborare un lutto. Se poi alla perdita del proprio compagno di una vita si aggiunge il fatto che la tua città si è trasformata in una città fantasma dopo la chiusura di una grande industria allora ti trovi di fronte a un bivio: lasciarsi sopraffare dal dolore oppure cambiare tutto.

“Nomadland” di Chloé Zhao, presentato in concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2020, è il racconto di un viaggio fisico e spirituale che la protagonista Fern, che he perso prima il marito, poi la sua casa, decide di compiere senza mai voltarsi indietro.

Fern è una donna orgogliosa, determinata, che porta con sé un bagaglio pesante, il malinconico ricordo di una vita felice. È anche una persona che non vuole aiuti, commiserazione o sussidi. “Io non voglio andare in pensione, non posso permetterlo. Voglio lavorare”.

Partendo dal racconto di inchiesta omonimo di Jessica Bruder, la regista di origini cinesi Chloé Zhao torna a raccontare l’America dei grandi spazi e delle grandi contraddizioni, una terra senza confini abitata anche da persone ai margini, capaci di mostrare enorme solidarietà. continua su

21) Judas and The Black Mesiah

Il biglietto da acquistare per “Judas and the Black Messiah” è:
Di pomeriggio.

“Judas and The Black Mesiah” è un film di Shaka King. Con Jesse Plemons, Daniel Kaluuya, Lakeith Stanfield, Martin Sheen, Dominique Fishback. Biopic, 126′. USA 2021

Sinossi:

A Chicago, verso le fine degli anni Sessanta, il criminale minorenne Bill O’Neal accetta di fare l’informatore per l’FBI dopo il suo arresto. Infiltrato da un agente nell’influente Black Panther Party, O’Neal scala le gerarchie del partito e si avvicina al leader Fred Hampton, prima arrestato e poi liberato in attesa dell’appello. Militante di giorno e traditore stipendiato la notte, Bill vive in maniera tormentata la sua doppia natura, da un lato aderendo alla visione politica di Hampton ma dall’altra contribuendo in maniera decisiva alla sua violenta uccisione, avvenuta per mano dell’FBI nel dicembre 1969.

Recensione:

Tradire una persona che si fida di noi è probabilmente uno degli atti più spregevoli che possiamo compiere – non è un caso che Dante collochi questa categoria di peccatori nell’ultimo cerchio dell’Inferno, il “peggiore”, potremmo

E nella bocca stessa di Lucifero, insieme a Cassio e Bruto, per restare in tema dantesco, troviamo lui, Giuda, IL traditore per eccellenza. Colui che, secondo i Vangeli, vendette il suo benefattore, Cristo, per trenta denari con un bacio. E che dopo, travolto dal rimorso e dal senso di colpa, si impiccò.

La figura biblica dell’apostolo, tradimento e senso di colpa sono i punti centrali della sceneggiatura di “Judas and the Black Messiah” di Shaka King, che arriva in streaming nel nostro Paese a poche settimane dalla notte degli Oscar – dov’è in lizza come miglior film.

Sull’onda emotiva dell’uccisione di George Flyod, il 25 maggio, negli Stati Uniti sono esplose nuovamente le proteste e la mai sopita “questione razziale”. Hollywood, non ci pronunciamo se per reale convinzione o per intercettare il favore del pubblico, è scesa in campo con una serie di film a tema – per citarne un paio, “Il processo ai Chicago 7” e “One night in Miami”.

“Judas and the Black Messiah” ha il merito narrativo, creativo e stilistico di discostarsi in larga parte dai cliché e dagli stereotipi di genere, raccontando da una prospettiva insolita il movimento Black Panthers ed evidenziando come, già negli anni ‘60 e ’70, esistessero molti gruppi di protesta, animati da personalità diverse e con visioni differenti, tutt’altro che uniti.

Shaka King descrive i rapporti umani oltre che politici all’interno del movimento con sguardo realista, superando il tradizionale approccio ideologico da duri e puri. continua su

16) Una donna promettente

Il biglietto da acquistare per “Una donna promettente” è:
Sempre (con riserva).

“Una donna prometente” è un film di Emerald Fennell. Con Carey Mulligan, Bo Burnham, Laverne Cox, Clancy Brown, Jennifer Coolidge. Titolo originale: Promising Young Woman. Thriller, 108′. USA 2020

Sinossi:

La trentenne Cassie ha buttato al vento ogni speranza: da quando ha abbandonato gli studi di medicina lavora in un piccolo bar, vive coi genitori e ogni weekend gira per locali facendosi abbordare da sconosciuti. Cassie in realtà ha un piano: fingendosi ubriaca, intende dimostrare come ogni uomo che la abborda nasconda il desiderio di violentarla o possederla con la forza. Nel suo passato c’è un trauma che ha segnato il suo destino, un evento che l’incontro con Ryan, ex compagno del college, riporta a galla. Combattuta fra l’interesse per Ryan e il desiderio di chiudere i conti con il passato, Cassie darà una direzione definitiva alla sua vita.

Recensione:

Recita un detto che: La vendetta è un piatto che va servito freddo. Lo spettatore, dopo aver visto “Una donna promettente” (Promising Young Woman), candidato a cinque premi Oscar, tra cui miglior film, miglior regia e miglior attrice protagonista, non potrà non pensare che, se a compierla è una donna, questa vendetta possa diventare ancora più letale e meticolosa…

Sarebbe però semplicistico catalogare la pellicola come la storia di una giustiziera che si batte contro il genere maschile. Perché Emerald Fennell, al suo fulminante quanto magistrale esordio, firma un potente manifesto sociologico, etico e oserei dire quasi antropologico delle contraddizioni della società americana e dell’ipocrisia imperante verso i diritti delle donne. continua

58) I Miserabili

Il biglietto da acquistare per “I Miserabili” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto (con riserva). Sempre.

“I Miserabili” è un film di Ladj Ly. Con Damien Bonnard, Alexis Manenti, Djibril Zonga. Drammatico, 100′. Francia 2019

Sinossi:

Montfermeil, periferia di Parigi. L’agente Ruiz, appena trasferitosi in loco, prende servizio nella squadra mobile di polizia, nella pattuglia dei colleghi Chris e Gwada. Gli bastano poche ore per fare esperienza di un quartiere brulicante di tensioni tra le gang locali e tra gang e forze dell’ordine, per il potere di dettare legge sul territorio. Quello stesso giorno, il furto di un cucciolo di leone dalla gabbia di un circo innesca una caccia all’uomo che accende la miccia e mette tutti contro tutti.

Qual è il vero volto della Francia moderna? È il Paese multirazziale che meno di 12 mesi fa festeggiava la vittoria ai Mondiali di calcio in Russia, oppure quello incarnato dal movimento dei gilet gialli che con la loro protesta stanno mettendo Parigi a ferro e fuoco da mesi?

Quello che è certo è che l’illusione del cambiamento impersonificata dal giovane e rampante Presidente Macron è svanita, lasciando il posto a un nuovo clima di violenza e tensioni sociali. E in questo clima tornano alla ribalta questioni mai superate come il problema razziale, lo stato delle banlieue, il ruolo e l’azione delle forze di polizia.

“I Miserabili”, pellicola d’esordio della regista Ladj Ly, presentata in concorso a Cannes, è destinata a far parlare molto di sé. Il film, per certi aspetti, ricorda il premiato “Trainining Day” con Denzel Washington, e permette al pubblico di accompagnare una pattuglia di poliziotti durante un turno di servizio.

Attraverso l’esperienza dell’agente Ruiz (Bonnard), appena trasferitosi nella squadra mobile di un quartiere periferico di Parigi, il film punta il dito contro la corruzione e l’ambiguità delle forze dell’ordine e contro l’incapacità dello Stato di comprendere come la repressione violenta sia tutt’altro che una soluzione al problema delle periferie e alle proteste. continua su

“I Miserabili”: un film che nasconde un messaggio chiaro

 

12) Green Book

Il biglietto da acquistare per “Green book” è:
Nemmeno regalato. Omaggio. Di pomeriggio. Ridotto. Sempre (con riserva)

“Green Book” è un film di Peter Farrelly. Con Viggo Mortensen, Linda Cardellini, Mahershala Ali, Don Stark, Sebastian Maniscalco. Commedia, 130′. USA 2018

Sinossi:

New York City, 1962. Tony Vallelonga, detto Tony Lip, fa il buttafuori al Copacabana, ma il locale deve chiudere per due mesi a causa dei lavori di ristrutturazione. Tony ha moglie e due figli, e deve trovare il modo di sbarcare il lunario per quei due mesi. L’occasione buona si presenta nella forma del dottor Donald Shirley, un musicista che sta per partire per un tour di concerti con il suo trio attraverso gli Stati del Sud, dall’Iowa al Mississippi. Peccato che Shirley sia afroamericano, in un’epoca in cui la pelle nera non era benvenuta, soprattutto nel Sud degli Stati Uniti. E che Tony, italoamericano cresciuto con l’idea che i neri siano animali, abbia sviluppato verso di loro una buona dose di razzismo.

Recensione:

Quali solo le condizioni per cui, tra due persone che più diverse non si potrebbe, possa nascere una duratura amicizia? La mia domanda potrebbe sembravi, apparentemente, sciocca quanto provocatoria ma provate a immaginare questa storia in un preciso contesto storico.

Siamo nel 1962 e il mondo guarda con ottimismo e speranza alla presidenza Kennedy, nonostante negli Stati Uniti ci siano alberghi, servizi igienici e mezzi di trasporto divisi tra bianchi e neri. Il razzismo, la ghettizzazione e l’intolleranza sono evidenti soprattutto negli Stati del Sud, tanto che è difficile pensare che ci troviamo così avanti nel tempo.

Ebbene è proprio in questo contesto che si conoscono e diventano amici Tony Lip (Mortesnsen) e il dottor Donald Shirley (Ali), un ex boxer italoamericano di umili origini e un raffinato e talentuoso pianista di colore.

Se avete applaudito pellicole come “Quasi amici” e soprattutto “A spasso con Daisy”, allora non potrete non amare “Green book” di Peter Farrelly, una sorta di rivisitazione che inverte i ruoli, mantenendo sempre identità, anima e pathos. continua su

http://paroleacolori.com/green-book-road-movie-spassoso/

47) Lady Bird

Il biglietto d’acquistare per “Lady Bird” è: Ridotto

“Lady Bird” è un film del 2017 scritto e diretto da Greta Grewig, con : Saoirse Ronan, Laurie Metcalf, Tracy Letts, Lucas Hedges, Odeya Rush, Timothée Chalamet, Kathryn Newton, Jake McDorman, Lois Smith, Laura Marano.

Sinossi:
Lady Bird è il sofisticato, ricercatissimo soprannome che l’adolescente Christine MacPherson (Saoirse Ronan) sceglie per sé stessa. Nata e cresciuta a Sacramento, in California, Christine sogna di trasferirsi in una grande città cosmopolita della costa orientale (“o nel luogo in cui gli scrittori si appartano nei boschi”) per frequentare una prestigiosa università dove vivere avventure e scovare opportunità a ogni angolo. Giunta all’ultimo anno di liceo, la sua domanda di ammissione al college è povera di crediti extracurriculari, così per accedere al corso di studi dei suoi sogni, la diciassettenne è costretta a iscriversi al club teatrale del suo liceo. Animata da un incontenibile spirito di ribellione, una dispettosa indole anarchica e un’ambizione sfrenata che sogna di appagare lontano da casa, Christine scoprirà nel teatro un posto accogliente, un luogo dove incontrare nuovi amici e fare nuove esperienze; un rifugio dal rapporto complicato con la madre ipercritica e affettuosa, che vorrebbe che sua figlia diventasse “la migliore versione di sé stessa”, e da un padre rimasto da poco disoccupato. Il giorno della partenza si avvicina, ma l’eccentrica Christine ha ora l’opportunità di esplorare le tappe dell’adolescenza che ha sempre rimandato: le mascalzonate, i balli scolastici, i primi amori.

Recensione:
È inutile girarci troppo intorno l’ultimo anno del liceo è senza dubbio il periodo più difficile, folle, contraddittorio, divertente, unico che qualsiasi persona abbia vissuto o vivrà.
Se poi sei una ragazza di 17 anni come nel caso di Christine (Ronan), nata e cresciuta a Sacramento per giunta nella parte “sbagliata della ferrovia”, sognando d’essere qualcuno agli occhi di una severa e rigida madre e di fare sesso per la prima volta con il ragazzo giusto, allora l’’ultimo anno scolastico può rivelarsi una vera via crucis.
Arriva finalmente nelle nostre sale “Lady Bird” di Greta Grewig, brillante esordio alla regia, nonché acclamato dalla critica di mezzo mondo e carico di premi.
“Lady Bird” a livello drammaturgico non è altro che il classico e già visto racconto di un “coming age” di una ragazza e della sua trasformazione da brutto anatroccolo a bel cigno, non solo fisicamente, ma soprattutto sul piano emotivo ed esistenziale
Allora perché molti, vi starete chiedendo, hanno gridato al “quasi capolavoro” per il film della Grewig?
Perché, caro lettore, Greta Grewig ha il merito d’aver firmato una sceneggiatura densa d’amore, d’umanità, raccontando soprattutto in modo autentico ed acuto il rapporto conflittuale quanto profondo tra una madre e una figlia, rivelandosi il vero cuore narrativo oltre che psicologico del film.
“Lady Bird” ci porta indietro nel tempo fino al 2002 negli Stati Uniti, ancora sotto shock per gli attentati dell’undici settembre e con l’inizio di crisi economica che ben presto avrebbe sconvolto tutto il mondo.
In una realtà sociale ed economica sfiduciata e sofferente, la Grewig accompagna lo spettatore nella vita di Christine, che sta vivendo il momento più travagliato della propria esistenza. Non è più una bambina né ancora una donna, eppure sente forte l’urgenza di fuggire dall’angusta Sacramento, da una famiglia costretta a tirare la cinghia dopo il licenziamento del papà e di poter studiare in Università prestigiosa dove poter dimostrare finalmente i suoi veri talenti.
Christine odia tutto della propria vita, il suo stesso nome tanto da imporre a tutti di chiamarla “Lady Bird”.
“Lady Bird” è anche la pellicola delle prime volte e delle inevitabili e dolorose delusioni amorose Si innamora di Danny (O’Neill), bravo e gentile compagno di classe, per poi vederlo baciarsi di nascosto, appassionatamente un altro ragazzo
Lady Bird decide di fare l’amore con il colto e dark Kyle (Chalamet), illusa di poter condividere la comune emozione della prima volta, per essere delusa, ancora una, volta dal disarmante cinismo del ragazzo.
“Lady Bird” segna la definitiva consacrazione e l’ingresso nell’Olimpo attoriale della giovane e talentuosa Saoirse Ronan.
Saiorse Ronan stupisce per la naturalezza, personalità e semplicità con cui regge il peso dell’intero pellicola, donando umanità, dolcezza e fragilità al suo personaggio e risultando credibile e trasmettendo emozioni al coinvolto pubblico. continua su

http://www.nuoveedizionibohemien.it/index.php/appuntamento-al-cinema-46/

76) Elle

Il biglietto da acquistare per “Elle” è: 1)Neanche regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto (con riserva); 5)Sempre.

Un film di Paul Verhoeven. Con Isabelle Huppert, Laurent Lafitte, Virginie Efira, Christian Berkel, Anne Consigny. Drammatico, 2016

Tratto dal romanzo “Oh…” di Philippe Djian.

Paul Verhoeven è un regista che nel corso della sua carriera ci ha abituato a pellicole che spaziano tra i diversi generi cinematografici, senza mai mancare di talento. Molti dei suoi film sono diventati dei cult – su tutti “Basic instict” e “Robocop”.

Il vecchio leone olandese conferma ancora una volta il suo talento, presentando in concorso al Festival di Cannes “Elle”, un film particolare e divertente, assai difficile da collocare.

Nella prima scena lo spettatore assiste al brutale stupro subito da Michelle (Hupper) da parte di un uomo incappucciato. Invece di chiudersi in se stessa, la donna va avanti con la sua vita – è l’affermata manager di una società di videogiochi –, come niente fosse accaduto.

Dopo questa premessa potreste aspettarvi una pellicola drammatica e introspettiva, incentrata sull’elaborazione del dolore. Invece il film assume fin da subito i toni della commedia noir o, se preferite, dell’assurdo, viste le reazioni e i comportamenti poco convenzionali della protagonista.

Michelle ha in sé alcuni tratti della sociopatica, come il padre che trent’anni prima ha massacrato degli innocenti, e per questo fatica a gestire i rapporti con la famiglia e l’ex marito. La donna non vuole denunciare quanto le è successo, per evitare qualsiasi forma di pubblicità negativa. Vuole però scoprire l’identità del suo aggressore, avendo sviluppato per lui una sorta di strana sindrome di Stoccolma.

La sceneggiatura è ben scritta, sarcastica, pungente, mescola con efficacia dramma e commedia. Paradossalmente il limite sta nell’assenza di una vera identità drammatica, che finisce per penalizzare la completa riuscita del film. “Elle” diverte, con un’ironia feroce e surreale, e nello stesso tempo mostra il lato peggiore, più animalesco, dell’essere umano. continua su

http://paroleacolori.com/festival-del-cinema-di-cannes-concorso-elle/

Vittorio De Agrò e Cavinato Editore presentano “Essere Melvin”

54) Barriere

barriere

Il biglietto da acquistare per “Barriere” è: 1)Neanche regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio (con riserva); 4)Ridotto; 5)Sempre.

Un film di Denzel Washington. Con Denzel Washington, Viola Davis, Mykelti Williamson, Saniyya Sidney, Russell Hornsby, Jovan Adepo, Stephen Henderson. Drammatico, 138′. 2016.

“Barriere” è tratto dall’omonima pièce teatrale del 1987 di August Wilson, che valse all’autore il Pulitzer e vinse numerosi premi interpretata a Broadway da James Earl Jones.

Nel 2010 Denzel Washington e Viola Davis hanno ripreso l’opera per portarla nei teatri, bissando il primo successo.

Leggendo queste poche righe tratte dal materiale stampa di “Barriere” nel sottoscritto è sorta una domanda spontanea: un ottimo spettacolo teatrale può diventare un bel film?

Degli esempi di trasposizioni di successo esistono. In questo caso specifico, però, la risposta per me è “nì”. Portata sul grande schermo, infatti, la storia originaria perde molta della sua forza, tutta giocata sui dialoghi e sul talento degli interpreti, e parte della sua essenza.

Troy (Washington), ex promessa del baseball, lavora duramente come netturbino a Pittsburgh. La sua vita è scandita dal rapporto con l’amata seconda moglie Rose (Davis), e dalle complicate relazioni con i figli e gli amici.

Quella di “Barriere” è l’America post bellica, in cui i neri soffrono e lottano per avere un posto al sole dove i loro diritti possano essere rispettati.

Troy è un uomo nato e cresciuto in un ambiente povero e senza prospettive, deluso da una vita priva di soddisfazioni, che giorno dopo giorno sente crescere dentro di sé il seme del malcontento e della frustrazione.

Tutto quello che di negativo c’è nella sua vita, Troy lo sfoga essendo un padre autoritario, incapace di ascoltare i bisogni dei figli e di sostenerli. continua su

http://paroleacolori.com/al-cinema-barriere/

Roberto Sapienza presenta “Ninni, mio padre”

53) Jackie

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Il biglietto da acquistare per “Jackie” è: 1)Nemmeno regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio; 4)Ridotto; 5)Sempre.

Un film di Pablo Larrain. Con Natalie Portman, Peter Sarsgaard, Greta Gerwig, Max Casella, Beth Grant. Biografico, 95’. 2016.

Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna. Questa massima saggia e sempre attuale può senza dubbio essere applicata alla coppia formata da John e Jacqueline Kennedy, la cui storia fu brutalmente interrotta da un colpo di fucile il 22 novembre 1963 a Dallas.

Le immagini dell’auto presidenziale che corre disperatamente verso l’ospedale, del Presidente accasciato tra le braccia della moglie, con il suo bel completo rosa insanguinato, sono entrate nella storia e nell’immaginario collettivo di milioni di persone così come la straziante compostezza di Jackie in quei momenti.

Quello che forse non tutti ancora sapevano è il modo con cui la First Lady statunitense seppe gestire i giorni successivi alla sparatoria, con una fermezza, un decoro e un’eleganza che non vennero mai meno.

Pablo Larrain, dopo aver firmato il biopic onirico e a tratti caotico “Neruda” presentato a Cannes (qui la recensione), porta in concorso alla Biennale di Venezia un film più lineare, composto e minimalista, che copre quattro giorno, a partire da poco prima dell’assassinio del presidente americano.

Al centro di tutto c’è la figura di Jackie e lo spettatore viene messo nella condizione di entrare dentro la storia e condividere da un lato i sentimenti intimi della donna, dall’altro le reazioni degli Stati Uniti davanti a quel brutale episodio. continua su

http://paroleacolori.com/biennale-di-venezia-concorso-jackie/

Vittorio De Agrò presenta “Amiamoci, nonostante tutto”

46) Manchester by The Sea

manchester

Il biglietto da acquistare per “Manchester by the sea” è: 1)Nemmeno regalato; 2)Omaggio; 3)Di pomeriggio (con riserva); 4)Ridotto; 5)Sempre.

Un film di Kenneth Lonergan. Con Casey Affleck, Michelle Wiliams, Kyle Chandler, Lucas Hedges, Gretchen Mol. Drammatico, 135’. 2016.

Per affrontare un lutto, elaborarlo e superarlo esistono vari modi, ogni manuale di psicologia spicciola potrà spiegarvelo. C’è chi però da questa esperienza dolorosa viene travolto, e non riesce più a riprendere la propria vita.

Esistono due modi anche per raccontare un film come “Manchester by the sea” – che diciamo subito, tagliando la testa al toro, non è un brutto film -, incentrato su una tematica così delicata: con sensibilità ed empatia, o con animo più disincantato. Sfortunatamente per voi, il sottoscritto da vecchio cinico qual è non poteva che utilizzare il secondo.

La pellicola di Lonergan racconta una bella e tragica storia d’amore, i sentimenti sono ben descritti, ma come dice un vecchio detto “a tirare troppo la corda il rischio che si spezzi è alto”. Il limite del film sta tutto nella sua lunghezze e lentezza, che finiscono per smorzare il coinvolgimento del pubblico.

La struttura narrativa, pensata per portare lo spettatore con garbo e delicatezza dentro la vita del protagonista, il burbero tuttofare Lee (Affleck) costretto a tornare a casa alla notizia della morte improvvisa del fratello, risulta nel complesso azzeccata e funzionale. continua su

http://paroleacolori.com/al-cinema-manchester-by-the-sea/

Roberto Sapienza presenta “Ninni, mio padre”