Melvin è un ragazzo di trent’anni appassionato di fiction. Guardando la TV si innamora dell’Aspirante Diva e decide di conoscerla. Anni dopo Melvin racconta la sua storia allo Splendente, il suo psichiatra. Il tempo è galantuomo.
Non ho l’età, cantava una giovanissima Cigliola Cinquetti al Festival di Sanremo nel 1964, e personalmente, dopo aver visto la serie Netflix “1899” firmata dagli ideatori di “Dark”, avrei la tentazione di cimentarmi a mia volta nel brano, se non fosse che sono stonato come una campana.
Il progetto della rodata coppia Baran Bo Odar e Jantje Friese è sicuramente interessante, ma per chi, come me, ha visto l’avvento di serie come “Twin Peaks” e “Lost”, quelle sì, davvero rivoluzionarie, non è facile gridare oggi al capolavoro.
Niente di particolarmente nuovo sotto il sole, insomma, ma grazie anche alle solide risorse economiche e produttive messe in campo da Netflix “1899” può meritare una visione, sempre che si lascino da parte i superlativi assoluti e gli entusiasmi esagerati. Ecco 3 pregi della serie:
“Rapiniamo il Duce” è un film di Renato De Maria. Con Pietro Castellitto, Matilda De Angelis, Tommaso Ragno, Isabella Ferrari. Drammatico, 90′. Italia 2022
Sinossi:
Aprile 1945: l’Italia è allo sbando, la Repubblica Sociale Italiana è allo sbando, Milano è allo sbando. La Resistenza e gli Anglo-Americani stanno per rovesciare definitivamente quel che resta del regime fascista, e ognuno si arrangia come può: lo fa Isola, ladro e contrabbandiere della borsa nera milanese, assieme ai fidati Marcello e Amedeo; lo fa Yvonne, cantante del Cabiria, che si divide tra l’amore di Isola e le attenzioni pericolose di Borsalino, gerarca fascista; e lo fa lo stesso Borsalino, scisso tra il controllare con pungo di ferro la città e l’organizzazione della fuga in Svizzera per i gerarchi in caso di sconfitta. Quando l’oro di Mussolini arriva a Milano, Isola e soci scoprono la notizia, e decidono di mettere in atto il furto che cambierà le loro vite – e forse anche la storia…
Recensione:
La fine di un regime è notoriamente tragica e convulsa, e quello fascista non ha fatto eccezione. Occorsero due anni di cruenta guerra civile, per porre fine alla Repubblica di Salò e a Benito Mussolini, che venne intercettato mentre cercava di fuggire in Svizzera.
La storia ci racconta la sua fine, appeso in testa in giù a Piazzale Loreto. Ma dove finisce la cronaca inizia la leggenda e il mito, come quello dell’oro di Dongo, ovvero del tesoro perduto del Duce, di cui si è a lungo dibattuto.
È esistito davvero, questo fantomatico tesoro? Di prove concrete non ne sono mai emerse, ma il cinema non si è lasciato ovviamente scappare la possibilità di addentrarsi nel mistero, attraverso documentari e film. Fino a oggi, però, nessuno aveva tentato la strada della commedia bellica. continua su
“Athena” è un film di Romain Gavras. Con Dali Benssalah, Sami Slimane, Anthony Bajon, Ouassini Embarek, Alexis Manenti. Drammatico, 97′. Francia 2022
Sinossi:
Dopo la morte del fratello minore a causa di un presunto scontro con la polizia, Abdel viene richiamato a casa dalla prima linea e ritrova la sua famiglia devastata. Intrappolato tra il desiderio di vendetta del fratello minore Karim e gli affari criminali del fratello maggiore Moktar, cerca con fatica di calmare le tensioni sempre più aspre. Quando però la situazione degenera, Athena, la loro comunità, si trasforma in una fortezza sotto assedio, diventando così la scena di una tragedia per la famiglia e non solo…
Recensione:
Arriva su Netflix oggi, 23 settembre, “Athena” di Romain Gavras, presentato in anteprima alla Mostra del cinema di Venezia, 97 minuti senza un attimo di pausa, di silenzio o di respiro.
Esplosioni, grida, colpi di pistola sono il fil rouge di una sceneggiatura in cui le parole e i dialoghi sono davvero pochi e funzionali al caos rabbioso ed esistenziale magistralmente costruito e inseguito dal regista francese.
La rabbia per un omicidio ingiustificato e orribile romperà gli argini della pace precaria, trascinando il quartiere Athena in una guerra contro la polizia e sconvolgendo la vita dei tre fratelli protagonisti. continua su
È disponibile dal 9 settembre su Netflix la quinta stagione di “Cobra Kai”, la serie ideata da Jon Hurwitz, Hayden Schlossberg e Josh Heald, come ideale spin-off/sequel della trilogia cinematografica “The Karate Kid”.
I nuovi 10 episodi riprendono la storia da dove l’avevamo lasciata. Dopo l’esito scioccante del torneo di All Valley, Terry Silver amplia l’impero di Cobra Kai e cerca di rendere il suo “nessuna pietà” l’unico stile presente in zona. Con Kreese dietro le sbarre e Johnny Lawrence che mette da parte il karate per rimediare ai danni da lui provocati, Daniel LaRusso deve chiedere aiuto a una vecchia conoscenza.
Ralph Macchio, William Zabka e Martin Kove riprendono i rispettivi ruoli, e non sono le uniche “vecchie conoscenze” che il pubblico deve aspettarsi di vedere. Al di là dell’effetto nostalgia, che dopo 5 anni comincia comunque ad attenuarsi, la quinta stagione di “Cobra Kai” ha più pregi che difetti… vediamo 3 motivi per cui, pur a malincuore, ne avremmo anche potuto fare a meno.
1 )LA STORIA È GIÀ STATA SFRUTTATA AL MASSIMO. Lo avevo evidenziato già dopo aver visto la quarta stagione (qui la recensione), e i nuovi episodi lo hanno confermato: ci sono limiti che sarebbe meglio non superare, quando si cerca di ampliare un universo narrativo, se non si vuole diventare monotoni. Al di là di un paio di episodi ispirati, infatti, il resto è una forzatura narrativa, un ripetersi di situazioni e rivalità tra i personaggi già viste. Gli sceneggiatori hanno ceduto alla tentazione, nefasta, di imitare altre saghe cinematografiche e televisive di successo e così facendo hanno persona la loro originalità e purezza. continua su
“Resident Evil , la Serie” è composta da otto episodi disponibile dal 14 Luglio su Netflix, creata da Andrew Dabb, basata sull’omonima serie di videogiochi.
La serie si sviluppa attorno a due linee temporali: la prima di queste coinvolge due sorelle di 14 anni, Jade e Billie Wesker, che dopo essersi trasferite a New Raccoon City, si rendono conto che il loro padre potrebbe nascondere oscuri segreti che potrebbero distruggere il mondo; mentre la seconda sequenza temporale è ambientata quattordici anni dopo, quando sulla Terra sono rimasti solo 15 milioni di esseri umani, a causa del Virus T.[1][2]
Recensione:
Chi vi scrive, pur essendo stato da ragazzo un grande appassionato di video giochi, ha ignorato totalmente il fenomeno “Resident Evil”.
Da spettatore cinematografico si è sorbito ls visione di qualche episodio della saga cinematografica esclusivamente per stima ed amore nutrito nei riguardi della bellissima protagonista: Milla Jovovich.
Ma al netto della Jovovich, la saga cinematografica composta da sei film e reboot ha ampiamente stancato.
Così quando ho letto dell’uscita della serie su Netflix, sono stato attraversato da un sinistro presentimento da vecchio teledipendente.
Un timore che si è concretizzato quando la direttora Turilazzi mi ha dato l’incarico di vederla e recensirla.
Non è stato semplice.
Vi dirò più, mai come in questo caso ho dovuto dare fondo al mio senso del dovere.
“Resident Evil” è una serie che aggiunge poco o nulla al fan del videogioco, se non addirittura provocargli un sentimento negativo e trasmettendo invece un senso di noia al neofità.
La serie creata da Andrew Dabb sviluppata su otto episodi dal minutaggio medio di 50 min non brilla per originalità, pathos e livello attoriale (fatto salvo èer le due interpreti Tamara Smart e Siena Agudong[3], e Paola Nunez nel ruolo della cinica e spietata Evelyn Marcus capo dell’Umbrella)
Otto episodi appaiono oggettivamente troppi oltre che lunghi aggiungendo ulteriore prova alla resistenza e pazienza dello spettatore.
Una struttura narrativa incentrata su linee temporali: passato e presente.
Un prima e dopo dell’evento apocalittico, come ormai sappiamo, ha cambiato per sempre il mondo.
Una scelta narrativa piuttosto classica , ma che in questo caso si dimostra “vecchia” quanto prevedibile. Dopo i primi episodi in cui lo spettatore volenteroso cerca di capire la mission degli autori e l’evoluzione interiore e il legame mutato tra due sorelle (Jade e Billie) tra le due linee di racconto, fatica non poco nel proseguire con la visione
Jade e Billie adolescenti rappresentano la linea temporale del 2022, appena trasferite a New Raccoon City, poiché il padre è il responsabile di un misterioso progetto dell’Umbrella Corporation
Invece il mondo del 2036 è un mondo abitato da zombi, miliardi di morti e l’umanità “sana” si è ridotta solamente a 300 milioni.
In questa cornice tragica e desolante si muove la Jade adulta, scienziata oltre che guerriera disposta a tutto pur di trovare una cura al virus che ha sterminato l’umanità.
L’intento autoriale era quello di unire le due temporali nell’ultimo episodio, fornendo risposte e generando il climax necessario per una seconda stagione lasciandoci con un finale aperto.
Ebbene la missione è decisamente fallita.
Gli ultimi episodi sono decisamente i più sconclusionati, a tratti quasi comici o peggio ancora grotteschi sotto ogni aspetto.
“Resident Evil -la Serie” appare un progetto tardivo per il panorama seriale, dopo che il pubblico e critica sono stati conquistati dalla saga “Walking Dead” e similari.
Il legame tra sorelle , funziona ed appassiona nei primi quattro episodi, per merito delle attrici giovani che interpretano i personaggi di Jade e Billie.
Lo spettatore segue con una certa curiosità ed apprensione le vicende delle due adolescenti “trascinate” in questa città controllata dall’Umbrella.
Ma la tematica adolescenziale e la sorellanza in una città controllata dall’Umbrella non sono sufficienti per dare respiro e verve ad una storia decisamente fiacca e confusionaria.
“Resident Evil- la serie” mischia più generi(horror, fantascienza, dispotico) senza trovare una propria anima e stile registico.
In conclusione “Resident Evil -la serie” è un progetto “fuori tempo” , limitato sul piano narrativo e creativo e privo del quid indispensabile per farsi amare e vedere da un fan seriale di Netflix.
Il biglietto da acquistare per “Il mostro dei mari” è: Di pomeriggio.
“Il Mostro dei Mari ” è un film di Chris Williams. Con Zaris-Angel Hator, Marianne Jean-Baptiste. Animazione, 105′. USA 2022
Sinossi:
In un’epoca in cui terrificanti creature popolano i mari, ai cacciatori di mostri è affidato il compito di inseguirli e predarli. Jacob Holland è il più leggendario e amato tra i cacciatori, considerato un vero eroe. Partito per una nuova avventura in acqua mai esplorate, Jacob scopre che sulla sua nave si nasconde un clandestino: la giovane orfana Maisie Brumble. Nonostante la sua presenza a bordo sconvolga la vita del cacciatore, Maisie si rivelerà un’alleata preziosa…
Recensione:
È un assioma di cui nel corso degli anni e dei secoli ci sono state innumerevoli dimostrazioni: la storia viene scritta dai vincitori. Se a questo aggiungiamo la paura connaturata dell’uomo per ciò che è ignoto e “diverso” avrete un’idea delle premesse su cui si basa “Il mostro dei mari”, il nuovo film d’animazione Netflix diretto dal regista Premio Oscar Chris Williams.
Spiderhead, film diretto da Joseph Kosinski, ambientato in un futuro prossimo, nel quale ai detenuti viene data la possibilità di fare del volontariato, prestandosi come soggetti medici e vedendo così la loro pena abbreviata. Due carcerati (Miles Teller e Jurnee Smollett) accettano di sottoporsi al trattamento del dottor Steve Abnesti (Chris Hemsworth), uno scienziato visionario che ha fondato il penitenziario dove si trovano al momento. Abnesti inietta loro, durante la terapia sperimentale, un nuovo farmaco in grado di alterare la loro mente così da poterli manipolare e ottenere da loro risultati specifici. Nonostante nessuno sia costretto a prede parte alla “cura”, il dottore ha il totale controllo sulle loro menti, fino a quando uno dei detenuti non inizia a mettere in discussione ogni sua emozione, incerto se sia reale o meno.
Recensione:
Esiste un limite oltre che il quale la scienza non dovrebbe spingersi?
Uno scienziato, un medico che sfida le leggi della Natura è un folle o un geniale visionario?
Ed ancora è eticamente ammissibile sottoporre a detenuti a dei trial medici sperimentali come pena alternativa al carcere?
Negli ultimi due anni causa il Covid-19 l’opinione pubblica ha “riscoperto” l’urgenza quanto importanza della ricerca medica al fine di salvare vite umane.
La ricerca medica è altresì costosa, lunga ed oggetto di roventi polemiche.
L’arte in generale ha dedicato molti spazio al sottile confine tra scienza e morale ed al ruolo dello scienziato diversamente pazzo disposto a tutto pur di sovvertire l’ordine delle cose.
Film, libri, serie tv hanno creato un ampio genere di riferimento dando voce ad due opposti schieramenti: i sostenitori della scienza e dall’altra i complottisti duri e puri.
In questo quadro storico , sociologico e financo filosofico è inevitabile inserire e valutare “Spiderhead” di Joseph Kosinski come un tentativo complessivamente malriuscito di rinnovare il genere ed ampliare lo potenziale narrativo puntando sul tema dei farmaci come strumento commerciale e non curativo ed affidando.il ruolo dello “scienziato cinico quanto folle” a Chris Hemsworth bellissimo quanto in questo caso monocorde a livello recitativo e credibilità del personaggio.
Lo script di “Spiderhead” partiva da alcune idee sulla carta molto interessanti : il controllo delle emozioni tramite farmaci e lo sfruttamento del senso di colpa dei detenuti al fine di renderle docili e perfette cavie da laboratorio.
Si potevano prendere diverse strade narrative, decidendo quale aspetto approfondire rispetto ad altri, ma mantenendo un taglio introspettivo molto forte.
Invece gli sceneggiatori rinunciano quasi subito a quest’impostazione di racconto, optando per un’intreccio piuttosto stereotipato e retorico e limitandosi ad abbozzare caratterialmente e psicologicamente i personaggi.
“Spiderhead” si dimostra un grande incompiuta cinematografica sotto ogni aspetto, limitandosi all’intrattenimento dello spettatore specialmente femminile con il duo di bellocci composto da Hemsworth e Teller
Non potendosi definire ne opera utopica tout court e ne una seria ed efficace critica sul pericoloso cortocircuito tra medicina e business.
Le emozioni regolano e sovrastano la mente umana e finché questo potere sarà “libero”, per l’uomo c’è speranza di redenzione e di provare sincero amore
“Fedeltà” è un romanzo scritto da Marco Missiroli e pubblicato da Einaudi nel Febbraio 2019.
Sinossi:
«Il malinteso», cosí Carlo e Margherita chiamano il dubbio che ha incrinato la superficie del loro matrimonio. Carlo è stato visto nel bagno dell’università insieme a una studentessa: «si è sentita male, l’ho soccorsa», racconta al rettore, ai colleghi, alla moglie, e Sofia conferma la sua versione. Margherita e Carlo non sono una coppia in crisi, la loro intesa è tenace, la confidenza il gioco pericoloso tra le lenzuola. Le parole fra loro ardono ancora, così come i gesti. Si definirebbero felici. Ma quel presunto tradimento per lui si trasforma in un’ossessione, e diventa un alibi potente per le fantasie di sua moglie. La verità è che Sofia ha la giovinezza, la libertà, e forse anche il talento che Carlo insegue per sé. Lui vorrebbe scrivere, non ci è mai riuscito, e il posto da professore l’ha ottenuto grazie all’influenza del padre. La porta dell’ambizione, invece, Margherita l’ha chiusa scambiando la carriera di architetto con la stabilità di un’agenzia immobiliare. Per lei tutto si complica una mattina qualunque, durante una seduta di fisioterapia. Andrea è la leggerezza che la distoglie dai suoi progetti familiari e che innesca l’interrogativo di questa storia: se siamo fedeli a noi stessi quanto siamo infedeli agli altri? La risposta si insinua nella forza quieta dei legami, tenuti insieme in queste pagine da Anna, la madre di Margherita, il faro illuminante del romanzo, uno di quei personaggi capaci di trasmettere il senso dell’esistenza. In una Milano vivissima, tra le vecchie vie raccontate da Buzzati e i nuovi grattacieli che tagliano l’orizzonte, e una Rimini in cui sopravvive il sentimento poetico dei nostri tempi, il racconto si fa talmente intimo da non lasciare scampo. Con una scrittura ampia, carsica, avvolgente, Marco Missiroli apre le stanze e le strade, i pensieri e i desideri inconfessabili, fa risuonare dialoghi e silenzi con la naturalezza dei grandi narratori.
Recensione:
Cosa è la fedeltà: Una parola? Un simbolo? Una richiesta? Una predisposizione d’animo? Una condizione morale?
Abbiamo un disperato bisogno di fedeltà.
La pretendiamo in ogni rapporto che costruiamo nella nostra vita.
Rimanere fedeli ad un’ idea, all’amicizia, alla parola data e soprattutto alla persona amata è forse una delle prove più difficili ed impegnative da sostenere.
Quando iniziamo una relazione sentimentale giuriamo “amore eterno” e soprattutto di rimanere fedeli.
Il tradimento è l’antitesi della fedeltà, eppure nessuno dei due avrebbero ragion d’essere senza l’altro.
Si può rimanere comunque fedeli tradendo?
Sono alcune delle domande e soprattutto riflessioni che Marco Missiroli spinge a farci attraverso il suo romanzo “Fedeltà”.
“Fedeltà” è stato acclamato dalla critica e dai lettori divenendo un bestseller fin dalla prima pubblicazione e che il sottoscritto ha “recuperato” solamente ora dopo aver visto tre episodi della deludente serie Tv targata Netflix.
Devo ammettere che la lettura del romanzo mi ha lasciato piuttosto “tiepido”.
Non ho compreso come questo romanzo abbia potuto scatenare l’entusiasmo generale , fare vincere premi allo scrittore e spingere Netflix alla produzione della serie.
“Fedeltà” si è rivelato complessivamente una lettura banale, piena di stereotipi sul matrimonio e sulla vita di coppia.
L’intreccio narrativo mostra rari passaggi originali e/o particolarmente intensi sul piano introspettivo ed emozionale.
Missiroli fa entrare il lettore dentro la vita di Carlo e Margherita, una giovane coppia milanese apparentemente felice quanto innamorata , ma che in vero si rivelerà fragile e pronta a cedere alla tentazione.
Entriamo dentro la testa dei due protagonisti e dei loro amanti, sentiamo i loro dubbi, incertezze esistenziali, ma solo in parte abbiamo una sentita partecipazione con i personaggi.
“Fedeltà” vorrebbe raccontare una storia di sentimenti, di scelte, d’amore , ma poi tutto rimane freddo quanto auto referenziale in scrittura.
Milano è la vera protagonista del romanzo, quella che cambia e pulsa davvero negli anni del racconto.
La casa della “Concordia” inseguita, bramata ed infine acquistata con furbizia da Margherita, incarna l’essenza del libro, ovvero il desiderio impossibile ma alla fine raggiunto insieme da una coppia.
Il matrimonio in quanto tale vive di alti e bassi.
Una coppia si può tradire, litigare, allontanarsi, ma alla fine ritrovarsi per un figlio, per un’affinità elettiva o più banalmente per dover pagare un mutuo monstre di una casa.
“Fedeltà” è un romanzo dal taglio elitario, dall’animo radical chic, ma almeno conserva nel finale quel calore popolare ed universale che solamente l’unità familiare può dare specialmente nei momenti difficili come l’addio ad una persona cara.
Il biglietto d’acquistare per “ I segreti di Marilyn Monroe – Nastri Inediti” è : Di pomeriggio
“I segreti di Marilyn Monroe – Nastri Inediti” è un documentario diretto da Emma Cooper e disponibile su Netflix dal 27 Aprile. Recensione: Essere un attore ricco, famoso, popolare può rivelarsi una trappola mortale. Per qualsiasi attrice divenire un’ icona di bellezza, una star amata da milioni di uomini è un sogno professionale, ma sovente la vita privata non si rivela altrettanta rosea. Una morte inaspettata quanto tragica trasforma la persona in leggenda se non addirittura in un mito. Ed ancora di solito il personaggio pubblico rischia di soffocare l’uomo /donna che c’è dietro. Tutto questo e molto altro è stata Marilyn Monroe in vita e nella sua tragica morte. L’attrice americana fu trovata suicida nel proprio letto il 4 agosto del 1962. Ufficialmente morta per abuso di psicofarmaci Ancora oggi nell’immaginario collettivo la Mornoe incarna la più alta forma di bellezza, fascino, seduzione e carisma come attrice. Mariyln Monroe sedusse Hollywood e poi il mondo partendo da umili origini, conquistando con merito il ruolo di Diva. Una “favola felice” che però nascondeva evidenti segni di tragedia inevitabile. La morte di Mariyln Monroe lasciò sconvolti, scatenando sospetti ed illazioni di ogni tipo fino all’ipotesi dell’omicidio ordinato dai fratelli Kennedy. Nel 1985 fu riaperto il caso ed instituito una commissione parlamentare per valutare le responsabilità del FBI e della Casa Bianca. La commissione dopo lunghe ed accurate indagini concluse il suo lavoro validando la teoria del suicidio. Ciò nonostante tanti, troppi misteri , evidenti depistaggi ed omissioni aleggiano sulle ultime ore dell’attrice ed in più generale sulla sua burrascosa quanto complessa vita privata e sentimentale. Emma Cooper desiderosa di fare chiarezza su uno dei casi più tragici di Hollywood, ha realizzato questo documentario partendo dal lavoro del giornalista Anthony Summers (autore del libro del 1985 Goddess: The Secret Lives of Marilyn Monroe. Summers è stato un importante reporter investigativo e nel 1985 fu incaricato dal suo giornale di seguire i lavori della commissione. Doveva essere un “servizio di routine” con un impegno massimo di due settimane. Ma il fiuto e soprattutto la tenacia del reporter l’hanno trascinato dentro il mistero di Mariyln per ben tre anni. Summers ha intervistato chiunque potesse dargli un parere, ricordo e soprattutto un pezzo di verità sulla donna , sul suo fragile equilibrio ed amori infelici. Summers si è ritrovato così migliaia di registrazioni fino ad oggi inedite. La ricerca della verità, smontare le falsità diventò per il reporter una vera e propria ossessione giornalistica. Emma Cooper le ha rese pubbliche , consentendo allo spettatore d’ascoltare dalla voce reale degli intervistati una diversa , intima e soprattutto sofferente versione della Monroe. “I segreti di Mariyln Monroe” ricostruisce con delicatezza , sensibilità ed allo stesso tempo con approccio da indagine poliziesca i passaggi cruciali dell’esistenza della Monroe : dall’umile e difficile infanzia da “trovatella” quella da donna copertina sulle più importanti riviste degli Stati Uniti. La Monroe era una donna bellissima , desiderata, determinata, un’attrice talentuosa e sulla cresta dell’onda, ma dietro quel sorriso magnetico si celava un’infelicità e solitudine senza fine. Amori infelici, tradimenti, violenze private hanno segnato la vita privata dell’attrice minandone sempre la sua psiche. Un declino psicologico che con gli anni è diventata una drammatica dipendenza dagli psico farmaci. L’incontro e poi frequentazione con i fratelli Kennedy rappresentò l’inizio della fine per la donna. La Monroe si rivelò una presenza troppa scomoda quanto ingombrante per la celebre coppia di fratelli incapaci di contenere e capire i turbamenti della donna. Le registrazioni fanno emergere le fragilità e contradizioni di Mariyln. Una ragazza venuta dal nulla , desiderosa di conoscere ed imparare il mestiere dell’attrice, ma quanto ingenua ed irrequieta Lasciata sola nel momento più buio della sua esistenza ed una morte scritta seguendo un copione per evitare imbarazzo e clamore alla Casa Bianca. Per chi ha amato Mariyln Monroe, apprezzato i suoi film o semplicemente ne ricorda la voce, eleganza non potrà non vedere questo documentario , provando alla fine un senso di amarezza, di commozione e dolcezza nei confronti di una piccola “trovatella “amata da tanti, ma mai veramente protetta da sé stessa.
Ambientata quattro anni dopo che Nadia (Natasha Lyonne) e Alan (Charlie Barnett) sono scampati insieme al loop temporale della mortalità, la seconda stagione di Russian Doll continua a esplorare tematiche esistenziali attraverso una lente fantascientifica e spesso umoristica. Rivelando un destino ancora peggiore della morte infinita, in questa stagione Nadia e Alan si addentrano ancora più a fondo nei loro passati attraverso un insolito portale temporale collocato in uno dei luoghi più famosi di Manhattan. In un primo momento vivono questa esperienza come un’avventura intergenerazionale in continua espansione che attraversa vari periodi, ma presto scoprono che lo straordinario evento ha in serbo più di quanto si aspettassero e insieme dovranno cercare una via d’uscita.
Recensione:
Tre anni fa Natasha Lyvonne stravolgeva, ribaltava tutte le certezze acquisite, consolidate dallo spettatore medio sul tema del loop temporale e sul genere “giorno della Marmotta”.
Lyonne si inventò brillantemente il personaggio di Nadia Vulvokov, la più scorretta, sboccata, impertinente giovane donna bloccata a rivivere il proprio compleanno schivando la morte.
“Russian Doll “ si impose per freschezza, originalità e linguaggio crudo ed politicamente scorretto.
Il personaggio di Nadia fumava, imprecava, era disinibita.
Nonostante tutto Nadia rimase “coerente” durante l’arco della prima stagione anche quando comprese che per interrompere il loop temporale doveva cambiare sè stessa.
“Russian Doll” dimostrò in modo efficace e chiaro che esisteva un diverso approccio al viaggio nel tempo: quello di Nadia
La chioma rossa più “boccaccesca” del mondo Netflix è tornata dopo tre anni, confermando tutte le proprie qualità e carisma.
Non si scherza con il tempo dicono gli esperti, avvertendoci con fermezza di non modificare nulla del passato donde evitare disastrose conseguenze del futuro.
Dalla celebre trilogia cinematografica “Ritorno al futuro” alle serie televisive divertenti come “Quantum Leap” o più serie come “Stargate SG 1”, il mantra comune era “maneggiare con cura “.
Ovviamente prudenza ed altruismo sono parole completamente sconosciute per Nadia . La quale alla viglia del suo quarantesimo, si ritrova nuovamente impelagata nel tempo, ma stavolta potendo modificare il destino della propria famiglia e di conseguenza il proprio non esito un solo istante a “scherzare con il fuoco” alias effetto farfalla.
La metropolitana numero 662 di New York diventa il “portale” per accedere a diverse epoche storiche dalla seconda guerra mondiale agli anni 60 ed 80, dall’Ungheria alla Berlino della Germania Est.
Nadia così entra nel corpo e anima alternativamente della madre bipolare (Sevigny) e della nonna ebrea di origine ungherese sopravvissuta ai campi di concentramento.
Nadia si sforza di cambiare il passato, convinta che soltanto così la sua vita , soprattutto infanzia ed adolescenza sarebbe stata meno problematica.
Questa seconda stagione assume un taglio più introspettivo, simbolico raccontando le origini e passaggi decisivi di Nadia e della sua famiglia.
Non vogliamo svelarvi altro per non rovinarvi la sorpresa.
La svolta intimistica e personale voluta dall’autrice /attrice convince parzialmente . Era difficile mantenere la stessa irriverenza narrativa e linguistica della prima stagione affrontando temi così delicati e privati.
Natasha Lyonne ci ha provato in tutti modi a “piegare” ancora una volta tempo e storia all’egoismo di Nadia, ma stavolta la ciambella è uscita “senza buco”.
“Russian Doll 2” si incarta creativamente e soprattutto stilisticamente su sè stessa.
La storia con la protagonista fa un giro tortuoso quanto noioso per giungere al punto essenziale di questo viaggio-
Nadia è cosi determinata nel suo tentativo di “correzione” del passato, da perdere di vista il presente e soprattutto nel riconoscere con colpevole ritardo quali siano le priorità e punti fermi della sua vita come la bizzarra Ruth (bravissime le due attrici che portano sulla scena le due Ruth di età differenti, ma entrambe dotate d’istinto materno e istinto protettivo)
“Russian Doll 2” rimane una serie spumeggiante, dissacrante per merito dell’istrionico talento e carisma della protagonista, ma rispetto alla prima stagione risulta meno efficace e convincente sul piano narrativo e strutturale.
Il destino è nelle nostre mani, ma non è possibile tornare indietro. È sbagliato quanto rischioso volgere l’attenzione all’indietro. A
alla fine anche Nadia ha dovuto accettare, almeno, questa regola del tempo oltre che di vita.