104) La Padrina

Il biglietto d’acquistare per “La Padrina” è : Omaggio (Con Riserva)

“La Padrina” è un film del 2020 scritto e  diretto da   Jean-Paul Salomé , il film è tratto dall’omonimo romanzo di Hannelore Cayre.

Interpreti e Personaggi:

Isabelle Huppert   

Patience Portefeux

Hippolyte Girardot         

Philippe

Farida Ouchani     

Kadidja

Nadja Nguyen      

Colette Fo

Sinossi:

Patience Portefeux (Isabelle Huppert), una traduttrice giudiziaria arabo-francese. Nonostante il suo lavoro sia sottopagato e sovraccarico, la donna svolge un ruolo importante nel commissariato di polizia, perché addetta alla traduzione delle intercettazioni telefoniche.

Quando viene incaricata dalla polizia antidroga di entrare a far parte di un’indagine per scovare alcuni spacciatori, Patience si rende conto di conoscere uno dei pusher: è il figlio dell’infermiera, che si prende amorevolmente cura di sua madre. Per coprirlo, la donna si addentra sempre più nel traffico di droga, fino a ritrovarsi a capo di una grossa partita e grazie alle sue conoscenze giudiziarie, intesse una propria rete criminale sotto il nome di Mama Weed.

Recensione:

Da quando ho iniziato a frequentare i festival internazionali e le anteprime è inevitabilmente  aumentata la mia curiosità riguardo la figura dell’interprete.

Ai miei occhi o meglio udito  l’interprete  risulta  come un ‘entità invisibile quanto presente durante le conferenze stampa e le intervista.

La voce dell’interprete  diventa quasi familiare ascoltandola per giorni  nella traduzione dei “bla bala” dell’attore di turno.

Ma chi è davvero un interprete? Chw tipo di vita ha? Ha una famiglia? Sogni ? Ambizioni? Ama o detesta il proprio lavoro?

Mi sono sovente posto queste domande  a cui la 7 arte in parte ha dato riposta ritagliandogli un ruolo più o meno di spessore in alcune pellicole.

Ma mai prima d’oggi l’interprete aveva assunto cinematograficamente il ruolo di doppiogiochista e criminale in un film in costante bilico tra il noir e la commedia.

“La Padrina”  si dimostra strutturalmente come un ibrido di  generi che punta  gran parte della propria scommessa autoriale sulla presenza di Isabelle Huppert come assoluta protagonista nel cast.

Isabelle Hupert è Patience: una  donna elegante, colta, vedova da tempo nonchè madre di due figlie.

Patience lavora come interprete per la polizia, ma sia il suo lavoro come la sua intera  stessa esistenza appaiono procedere su binario morto.

La donna è malinconica, annoiata ,dovendo anche  sopportare i capricci della vecchia madre  gravemente malata, trasferita da qualche tempo in un costoso residence per anziani.

Patience   fatica a stare dietro a tutto , mostrando un mal celato distacco  anche per  il  sincero e profondo sentimento esplicitato dal suo superiore Philippe ritenuto “troppo  poliziotto onesto”.

Così come dice il saggio proverbio “l’occasione fa l’uomo ladro”, Patience ascoltando una conversazione tra spacciatori   coglie l’opportunità di cambiar radicalmente vita  trasformandosi né: la “Padrina” dello spaccio a Parigi.

Nonostante il tema della droga sia delicato e controverso, i due sceneggiatori decidono di dare da una parte un taglio  leggero ,  brillante, quasi ironico alla script  e dall’altra comunque di tenere  insieme l’elemento  poliziesco con quello romance.

Un equilibrio drammaturgico e stilistico che però  solo in parte si dimostra davvero solido, credibile ed efficace. 

Lo spettatore avverte spesso durante la visione di ritrovarsi davanti ad un progetto in bilico, dispersivo nell’evoluzione dei personaggi e discontinuo nei toni, non avendo il regista trovato la  più adeguata chiave di racconto ed identità cinematografica.

 L’evidenza di una disarmonia creativa  ha costretto  Isabelle Huppert agli straordinari nell’arduo compito di tenere dritta la barra del film fino all’approdo finale.

Il film presenta  diversi punti di svolta che avrebbero potuto cambiare, indirizzare la storia ed il senso intero del film ed invece assistiamo al procrastinare degli eventi e delle scelte facendo emergere incongruenze o passaggi piuttosto inverosimili soprattutto in chiave investigativa.

Isabelle Huppert nelle vesti di carismatica boss funziona  e diverte ma non è sufficiente a coprire i limiti strutturali di un film incompiuto.

“Il crimine non paga mai” recita ancora la saggezza popolare, ma in alcuni rari casi  se tali azioni sono compiute da donne capaci, determinate e scaltre possono sicuramente consentire di dare un nuovo slancio ad una vita grigia e piatta.

103) #IoSonoQui

Il biglietto d’acquistate per “Io Sono qui” è : Di pomeriggio

Regia : Eric Lartigau

Sceneggiatura : Eric Lartigau e Thomas Bidegain

Stepahane: Alain Chabat

Soo:Doona Bae

Sinossi:

Stephane vive una vita tranquilla come chef  ma quando decide di conoscere Soo, una misteriosa donna coreana di cui si è innamorato su instagram, intraprenderà un avventuroso viaggio pieno di scoperte.

Recensione:

Avviso al lettore /spettatore: La recensione di #IoSonoQui  è inevitabilmente condizionata dal coinvolgimento emotivo e personale dello scrivente, che ha vissuto  un ‘ analoga  quanto irripetibile esperienza come il protagonista del film.

Di conseguenza a prescindere da qualsiasi  giudizio, riflessione che leggerete qui o su altri blasonati siti o quotidiani   #IoSonoQui è un film meritevole d’essere visto.

#IoSonoQui rappresenta in modo magistrale quanto agrodolce  come i social media possano essere belli, utili financo preziosi ed  allo stesso ingannevoli e capziosi.

Viviamo in una società iperconnessa, caratterizzata dai social network  in cui  l’apparenza e la forma prevalgono  sulla sostanza.

Pensiamo di conoscere una persona tramite i social . Ci illudiamo che “essere seguiti” da migliaia, milioni di follower  voglia dire avere altrettanto amici ed affetto.

I social media hanno “sdoganato” l’effimero, dando importanza e serietà ad un mondo inesistente.

In un contesto del genere è piuttosto facile equivocare un sentimento, un atteggiamento finendo per costruire il “classico castello in aria” o se volete parafrasando il celebre film di Troisi “ Pensavo fosse un amore..invece era un calesse”.

#IoSonoqui ci  racconta come l’ingenuo e romantico Stephane si illuda  d’aver trovato su Instagram l’anima gemella o comunque una donna con cui vivere una nuova  stagione dell’amore.

Stephane è un uomo di mezz’età, un bravo chef, divorziato con  due figli grandi.

 L’uomo  gestisce con passione la trattoria  fondata dal padre.

Ma la  vita di Stephane è scandita fondamentalmente  da una  noiosa routine, così quando inizia a scambiarsi messaggi con Soo, misteriosa quanto affascinate donna coreana, ne rimane colpito ed incuriosito.

Stephane si convince ingenuamente d’aver iniziato una relazione con Soo, scambiandosi opinioni e momenti delle loro rispettive vite.

Agli occhi di Stephane la Corea del Sud non è più un Paese lontano migliaia di chilometri, ma bensì lo vede e soprattutto sente come  un luogo vicino e denso di significato.

Una sensazione,  una percezione d’affetto nei riguardi di Soo  che spinge il mite Stephane ad un “colpo di testa” ovvero  prendere il primo volo per Seoul annunciandolo alla donna quando si trova già sull’aereo.

Il nostro goffo eroe romantico è sicuro di trovare Soo ad aspettarlo al gate dell’aeroporto, con cui  iniziare una vera frequentazione.

Ma sfortunatamente l’attesa si rivelerà vana  quanto amara per il nostro protagonista

#IoSonoqui si sviluppa nell’intreccio narrativo avendo come punti di riferimento da una parte l’opera teatrale beckettiana “Aspettando Godot” e dall’altra il film “The Terminal” di Steven Spielberg con protagonista Tom Hanks.

Stephane decide testardamente  di aspettare convinto che prima o poi la donna si paleserà in aeroporto.  Il nostro eroe diventa così inevitabilmente un personaggio social trascorrendo le proprie giornate da un negozio all’altro,  parlando con i passeggeri in transito e dormendo dove possibile.

Alain Chabat è davvero bravo nel calarsi nei panni di Stephane, incarnandone in corpo ed animo  l’indole mite, dolce ed ottimistica.

 La sua ingenuità disarma , spiazza chiunque incontri,   rifiutandosi d’accettare che la “sua” Soo  l’abbia tradito.

Quando il caso del “french lover” che aspetta,  diventa anche un caso mediatico arrivando anche sui giornali francesi.

 Stephane rimane travolto, stordito da questa inaspettata e non desiderata popolarità, non capendone il senso.

Quando però dopo 10 giorni d’attesa, la stessa polizia coreana gli “intima” di tornare in patria, l’uomo sebbene deluso, decide di passare all’attacco ovvero lasciando l’aeroporto e mettendosi alla ricerca di  Soo  per tutta Seoul, al fine d’  avere un chiarimento definitivo.

La seconda parte del film così  cambia registro, velocità e se vogliamo genere, passando  così da commedia romantica “auto referenziale” quanto “tout court”,  ad una commedia più esistenziale, agrodolce e se vogliamo evolvendo  in  un scontro culturale quando finalmente i due “amanti” si ritroveranno di fronte.

Lo spettatore assiste a questo atteso quanto crudo confronto, si  evidenzia non solo due opposte  prospettive sulla natura del rapporto nato in Rete, ma soprattutto emergono    due inconciliabili  visioni sulla vita ed utilizzo dei social

I cinici  potrebbero  definire questo passaggio  come una secchiata d’acqua fredda ricevuta da Stephane oltre che a rappresentare un severo monito, ma non vogliamo fare ulteriore spoiler, lasciandovi questo complesso momento della storia.

Chi  pensa  che  un film debba avere un lieto fine per far sorridere e commuovere lo spettatore, commette l’ errore iniziale di Stephane con Soo.

Infatti  il finale #IoSonoQui ci insegna  come “il colpo di testa”  Stephane sia stato, nonostante tutto, comunque formativo e prezioso.

La prudenza sui social media è auspicabile a qualsiasi età, ma seguire il proprio istinto ed aprirsi alle novità  ed al mondo non potrà mai essere fonte di rimorso e/o pentimento , confermato dal volto sorridente Stephane sul volo di ritorno verso casa.

38) Il Cacciatore 3 – Terza Stagione

“Il cacciatore ” è una serie ideata da Marcello Izzo, Silvia Ebreul e Alfonso Sabella. Con Francesco Montanari, Edoardo Pesce, Miriam Dalmazio, David Coco, Francesco Foti, Roberto Citran, Nicola Rignanese. Biopic, drammatico, poliziesco. Italia. 2018-in produzione

Recensione:

La paura è un sentimento naturale per l’uomo, inevitabile, potremmo dire in qualche modo anche positivo. Perché insegna a conoscere i propri limiti, ad agire con maggiore prudenza e responsabilità. Ma ci sono anche casi in cui può diventare il tuo peggior nemico, un nemico invisibile e subdolo.

Su questo tema si gioca la nuova stagione, la numero tre, della serie Rai “Il cacciatore” che ritorna su Rai2 a partire da mercoledì 20 ottobre, con otto nuovi episodi.

Fino a oggi abbiamo conosciuto il pm Saverio Barone (Montanari) come servitore instancabile e tutto d’un pezzo dello Stato nella lotta contro la mafia. La sua dedizione, unita talvolta a metodi poco ortodossi ma sicuramente efficaci, l’hanno portato ad arrestare Leoluca Bagarella (David Coco) prima, Giovanni Brusca (Edoardo Pesce) poi.

Ma nessuno può reggere a una pressione del genere, da uno contro tutti, per sempre. Ed ecco allora che nei nuovi episodi troviamo un Barone diverso. L’uomo che ha sfidato e sconfitto gli uomini più pericolosi di Cosa Nostra è vicino al punto di rottura. Per la prima volta ha paura, per sé e per la sua famiglia. Si sente fragile, impotente.

Barone è finito nel mirino del mafioso Vito Vitale (Ricca). Per questo da mesi vive rinchiuso in un bunker nella procura di Palermo, senza vedere né l’ex moglie Giada né la figlia Carlotta. Intanto continua a lavorare all’indagine segreta su Pietro Aglieri (Gaetano Bruno) e Bernardo Provenzano (Marcello Mazzarella) che gli ha affidato il suo capo. Ma ogni volta che sale in auto è vittima di attacchi di panico. Per quanto smanioso di riprendere la caccia, stavolta è il cacciatore a sentirsi accerchiato . continua su

37) Codice Karim

“Codice Karim” è un film del 2019 diretto da Federico Alotto, scritto da Federico Alotto e Massimo Galimberti, con : Mohamed Zouaoui, Valentina Cervi, Fabio Fulco, Stella Egitto, Aleksandros Memetaj, Aiman Machhour.
Sinossi:
Una spy story ambientata tra Siria e Italia, che spazia dall’action al thriller. Chi è Karim? Un foreign fighter stanco di guerra che vuole solo tornare a casa o è un doppiogiochista che inganna gli uni per servire gli altri? E come può sfuggire allo stretto controllo dei “fratelli” arabi? Gira intorno a lui la vicenda del gruppo terrorista che ha in mente un piano per colpire gli “infedeli”.
Recensione:
Le nostre vite sono cambiate radicalmente dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’undici settembre 2001
Ci siamo sentiti tutti più deboli, indifesi e potenzialmente vittime.
La divisione tra Occidente e Oriente si è allargata, la diffidenza verso il diverso è aumentata.
La “guerra” di religione che abbiamo studiato sui libri di storia ai tempi della scuola, è ritornata tragicamente attuale.
Gli Stati Uniti e l’intero Occidente si sono ritrovati a dover combattere contro un nemico pericoloso quanto invisibile.
La “guerra” contro il terrorismo islamico ha imposto ai servizi segreti un radicale cambio di registro nell’operazione di sicurezza e prevenzione.
Nel terzo millennio non esiste più uno Stato “canaglia” a cui poter dichiarare guerra, ma piuttosto bisogna stanare e colpire le cellule terroristiche “dormienti” dislocate nei luoghi più impensabili.
Nei telegiornali, nei talk show se parla poco o nulla, ma ogni giorno va in scena una “guerra invisibile” combattuta da coraggiosi agenti sotto copertura al rischio della loro stessa vita.
“Codice Karim” ci racconta questa guerra invisibile trascinando lo spettatore dentro una spy story inedita, avvolgente, carica di pathos e ricco di colpi di scena
Federico Alotto compie un coraggioso quanto innovativo salto qualitativo sul piano drammaturgico e registico facendoci vivere questa realtà da un punto di vista sorprendente e totalizzante.
“Codice Karim” è solo formalmente una spy story poiché nel dipanarsi della storia si coglie una lettura più articolata e un significato più profondo del progetto.
Seguiamo, partecipiamo al sofferto e travagliato viaggio interiore del protagonista (Karim), intrappolato da tempo tra due mondi, due vite, rischiando di perdersi fatalmente in questo limbo.
Pur avendo praticamente nessuna informazione su Karim, rimaniamo colpiti dalla tensione scenica e personalità tramessa al personaggio dal bravo e credibile Mohamed Zouaoui.
La sua è una performance volutamente nervosa, fisica, elettrica rendendo così chiaro e forte da una parte il disagio di Karim e dall’altra mantenendo costante tra pubblico il dubbio sulle sue reali intenzioni.
Zouaoui si cala con grande abilità e naturalezza nei panni di Karim, un uomo che per sopravvivere ha imparato a non fidarsi di nessuno.
L’unica eccezione a questo rigido schema di salvezza fisica e mentale, è rappresentato dall’incontro con la bella e sognatrice Iris (Stella Egitto), barista di professione, ma soprattutto amante dei giochi di ruolo.
Iris incarna la libertà, gioia di vivere, il voler dare fiducia al prossimo e soprattutto la semplicità nell’amarsi.
Stella Egitto è solare, buffa quanto sensuale , in altre parole una giovane donna desiderosa di viaggiare, scoprire ed innamorarsi.
Tutti sentimenti a cui Karim non ha “accesso” da tanto, troppo tempo.
Un incontro causale che ben presto diventa la scintilla di una passione breve quanto intesa.
Un momento di illusoria felicità e pace che la coppia rende magistralmente sulla scena.
“Codice Karim” rappresenta, a nostro modesto parere, una ventata di freschezza cinematografica in un panorama italiano all’insegna degli stereotipi e banalità.
“Codice Karim” ci mostra il fenomeno della conversione e radicalizzazione islamica di molti italiani pronti a compiere azioni terroristiche e come in questo “sotto bosco” di fanatismo prevalgono pregiudizi e sospetti tra gli stessi fratelli.
“Codice Karim” unisce con maestria più generi trovando il giusto equilibrio di racconto regalando un mix di emozioni forti e suscitando riflessioni socio politiche che solamente un film ben fatto è capace di donare allo spettatore.

102) Nitram

“Nitram” è un film di Justin Kurzel. Con Essie Davis, Caleb Landry Jones, Anthony LaPaglia, Judy Davis, Annabel Marshall-Roth. Thriller, 110′. Australia 2021

Sinossi

Anni ’90. Nitram vive un’esistenza isolata e frustrante con la madre e il padre in una zona suburbana dell’Australia. Le cose sembrano cambiare quando conosce Helen, una solitaria ereditiera. Ma la fine tragica di questo rapporto porterà l’uomo a sprofondare in una spirale dagli esiti drammatici.

Recensione:

Ispirato al massacro di Port Arthur, in Tasmania, del 1996 che causò la morte di 35 persone e il ferimento di 23, “Nitram” è un dramma ricco di sfumature e ritmo che parte da lontano, della strage si vede infatti solo l’incipit.

Il protagonista di questa storia è un ragazzo (ispirato al pluriomicida Martin Bryant) che fin dalla prima scena ci appare con sguardo allucinato, perso nel suo mondo, intento a sparare felicemente botti vicino a una scuola.

I vecchi genitori, soprattutto la protettiva madre (una bravissima Judy Davis), hanno fanno di tutto per ereggere una barriera tra il figlio e il mondo esterno. Ma questo isolamento affettivo, sociale ed esistenziale, paradossalmente, non hanno fatto che amplificare il suo stato psicotico, curato in modo approssimativo. continua su

47) Il Caso Bramard (Davide Longo)

“Il caso Bramard” è un romanzo scritto da Davide Longo e pubblicato da Einaudi Editore nel Maggio 2014.

Sinossi:

Corso Bramard è stato il commissario più giovane d’Italia. Meditabondo, insondabile, introverso, capace di intuizioni prossime alla chiaroveggenza. Fino a quando un serial killer di cui seguiva le tracce ha rapito e ucciso la moglie Michelle e la piccola Martina. Da allora sono passati vent’anni. Corso vive in una vecchia casa dimessa tra le colline, insegna in una scuola superiore di provincia e passa gran parte del tempo arrampicando da solo in montagna, spesso di notte e senza sicurezze, nell’evidente speranza di ammazzarsi. Perché, come suole ripetere, “non c’è nessuna vita adesso”. Eppure qualcosa è rimasto vivo in lui: l’ossessione, coltivata con quieta fermezza, di trovare il suo nemico. Il killer che ha piegato la sua esistenza e che continua a inviargli i versi di una canzone di Léonard Cohen. Diciassette lettere in vent’anni, scritte a macchina con una Olivetti del ’72. Un invito? Una sfida? Ora, quell’avversario che non ha mai commesso errori sembra essere incappato in una distrazione. Un indizio fondamentale. Quanto basta a Corso Bramard per riprendere la caccia, illuminando una scena popolata da personaggi ambigui e potenti, un dedalo di silenzi che conducono là dove Corso ha sempre cercato il suo appuntamento, e il suo destino.

Recensione:

Non  avevo in programma di leggere “Il Caso Bramard”.

In questi anni  caratterizzati dall’ insaziabile desiderio di  recuperare , almeno in parte, le mie  gravose lacune letterarie  mai l’occhio era caduto su un romanzo di Davide Longo , magari ben esposto in qualche scaffale di una  conosciuta libreria.

La “mia lista” di romanzi  da leggere è  chiara . quasi piena fino alla fine dell’anno.

Il “destino” però  ha voluto che ci creasse “un buco” o se preferite un’attesa di qualche giorno prima di ricevere i nuovi libri desiderati.

Così la mia cortese libraria di  fiducia vedendomi vagare incerto nel suo negozio  alla ricerca di un capolavoro da leggere, mi ha  consigliato  Davide Longo “stimato” dai critici e soprattutto considerato dai librati   un autore dal buon successo editoriale.

Mi dispiace per la mia libraria, ma stavolta il suo sincero  quanto appassionato consiglio è stato “sprecato” .

“Il caso Bramard” non è un brutto romanzo, ma bensì “anonimo”

È un noir  scritto con uno stile asciutto, essenziale, lineare, ma purtroppo rivelatosi complessivamente privo di mordente.

Davide Longo firma un classico noir o se preferite poliziesco muovendosi all’interno di un impianto narrativo piuttosto scontato e prevedibile.

Il lettore avverte chiara la sensazione di vivere un   continuo e costante déjà-vu letterario inoltrandosi in una storia  dove si alternano giallo ed aspetto intimistico del protagonista.

Passato e presente si muovono su due rette parallele , ma destinate ad incrociarsi in un finale sì spiazzante , ma preparato in modo frettoloso e poco coerente e funzionale con quanto letto in precedenza

Ci troviamo davanti ad un intreccio drammaturgico “vecchio” già in partenza , evidenziando come  l’autore non sia  stato all’altezza di rinnovare o comunque adattare alle proprie esigenze creativa   fallendo così l’obiettivo più importante.

“Il Caso Bramard” è una lettura diretta, godibile quanto malinconia, ma raramente coinvolgente ed incisiva. Manca la “zampata” dell’autore che consenta di distinguersi ed elevarsi rispetto ad altri romanzi di genere.

Davide Longo sarà indubbiamente un autore apprezzato e le successive  indagini di Corso Bramard avranno  comprovati e convincenti  elementi di pathos. Ma per noi il “caso Longo” si chiude qui con misto di noia e delusione.

101) Benedetta

Il biglietto d’acquistare per “Benedetta” è : di pomeriggio

“Benedetta” è un film di Paul Verhoeven. Con Virginie Efira, Olivier Rabourdin, Daphne Patakia, Clotilde Courau, Louise Chevillotte. Biopic, drammatico, 126′. Francia, Paesi Bassi 2021

Sinossi:

Benedetta Carlini ha nove anni e una Madonna per bambola. Un intervento divino l’ha salvata alla nascita e promessa alla Vergine Maria. Entrata bambina nel convento di Pescia, che diventa il suo grande terreno di gioco, cresce in bellezza e “santità”. Perché Benedetta ha straordinarie qualità affabulatorie. Le sue visioni, i suoi sogni e le stigmate le valgono il biasimo della badessa e il sostegno popolare. Tra miracoli e comete, Benedetta “fa la volontà” di una figlia che salva dalle grinfie del padre predatore. Sorella intraprendente, Bartolomea alza la posta e la introduce al piacere. Intanto gli ecclesiastici locali provano a trarre profitto da questa mistica esaltata, perché se lo scandalo minaccia l’ordine prestabilito, sovente serve gli interessi della chiesa. Da copione, il Nunzio di turno deciderà di farne un falò. Ma le strade del signore, si sa, sono infinite.

Recensione:

Il vecchio leone olandese Paul Verhoeven non tradisce le attese dei fan e degli addetti ai lavori, provocando stupore, irritazione e pareri contrastanti con il suo controverso “Benedetta”, presentato in concorso a Cannes e adesso al London Film Festival.

Il regista ci ha abituati nel corso della sua carriera a prendere posizioni controcorrente, mettendo tutto e tutti in discussione. In questo caso, lo strale (creativo) è diretto contro la Chiesa Cattolica o meglio contro le sue istituzioni, già piuttosto corrotte e dissolute nel XVII secolo.

Nonostante “Benedetta” sia ispirato a fatti realmente accaduti, il taglio provocatorio, dissacrante e simbolico prevale sulla volontà di ricostruzione e racconto storico e culturale. La storia di Benedetta Carlini, monaca, mistica, esaltata, è un mezzo per raccontare i limiti e le contraddizioni della Chiesa dell’epoca, guidata ampiamente dal desiderio di ricchezza e potere.

Il film è una continua provocazione visiva e linguistica sui dogmi della fede cattolica, sulla figura di Gesù Cristo. Se le scene di sesso lesbo, spinte ed esplicite, colpiscono lo spettatore, quelle mistiche provocano un certo disagio. Sono scene di passione al limite della blasfemia che divideranno il pubblico, ma che hanno un’importante funzione narrativa. continua su

100)The Man who sold his skin

Il Biglietto d’acquistare” per “The Man who sold his skin” è : Ridotto

“The Man who sold his skin ” è un film di Kaouther Ben Hania, con :Monica Bellucci, Koen De Bouw, Husam Chadat, Rupert Wynne-James, Adrienne Mei Irving.

Sinossi:

A Raqqa, nella Siria del 2011, il giovane Sam è innamorato di Abeer, che lo ricambia ma sembra riluttante. L’entusiasmo di Sam nel chiedere la mano della ragazza è mal ricompensato da una soffiata alle autorità che lo mette nei guai per propaganda rivoluzionaria. Sam fugge così in Libano, mentre Abeer finisce in Belgio, sposata con un ricco diplomatico. Passano gli anni, Sam si arrangia come può, ma le circostanze economiche e politiche non gli consentono di raggiungere l’Europa per un tentativo disperato di ribadire il suo amore. Finché l’incontro casuale con un artista, che vuole tatuargli la schiena per farne un’opera d’arte vivente, non cambia le carte in tavola.

Recensione:

The Man who sold vis skin è invece il classico film da festival capace di mettere d’accordo pubblico e critica.
È una pellicola di impegno civile, politicamente schierato, ma avendo anche una bella storia d’amore e la giusta dose di ironia dissacrante.
La regista è stata abile nel mescolare i temi dell’immigrazione, la Guerra in Siria e le follie dell’Arte moderna firmando uno script equilibrato, pungente, amaro e financo divertente nei tempi e modi giusti
Un j accuse al mondo sul totale disinteresse sulla Siria e su quanti vittime stiano morendo nell’indifferenza.
La vita di un siriano non vale nulla ?
E se invece un migrante clandestino diventasse un’ opera d’arte vivente cambierebbe qualcosa?
Un’ idea provocatoria su cui si poggia l’intera storia di ribellione, speranza e dorata prigionia del protagonista, colpevole solamente di voler sposare la sua amata
“The Man who sold his skin ” rievoca per alcuni versi il Ritratto di Dorian Grey e per altri la maledizione del Dr Faust.
Solo che in questo caso Il diavolo veste inganni di un bizzarro artista e la vittima non vende l’anima, ma la schiena.
Un motivo in più per vedere questo film è scoprire che Monica Bellucci è in grado di recitare.
E’davvero brava nel ruolo della spietata manager d’arte.
Biglietto :Ridotto.
Gli amici sono preziosi, specialmente ai festival del cinema..

99) Salvatore – Il Calzolaio dei Sogni -Fiori-Fiori – Fiori – Luca Guadagnino- Venezia 76

Ieri io vostro inviato aveva in agenda una serata a Venezia con Luca Guadagnino. La direttora Turillazzi aveva inserito nella sua lista il corto “Fiori, fiori, fiori!’”, girato dal regista siciliano pochi giorni dopo la fine del lockdown, e a questo è seguita la visione del documentario “Salvatore – Shoemaker of dreams”.

Un cortometraggio di Luca Guadagnino. 12′. Italia 2020

Durante il lockdown per la pandemia del Covid, Luca Guadagnino, con una piccola troupe, scende in Sicilia da Milano armato soltanto di uno smartphone e di un tablet, per bussare alle porte degli amici d’infanzia e capire con loro come hanno vissuto questo momento eccezionale che ha unito il mondo intero.

Il direttore Barbera aveva presentato il cortometraggio come una sorta di blitz di Guadagnino in Sicilia, dove il regista era sceso, solo un cellulare e un tablet alla mano, per rivedere luoghi e amici all’indomani dell’emergenza.

La direttora e voi lettori vi aspettare un mio giudizio su questi dodici minuti. Ebbene, dopo lunghe e ponderate riflessioni, sono arrivata alla conclusione che la migliore recensione possibile sia: “Fiori, fiori, fiori! è un emerita ed evidente minc….a col botto”.

Non è colpa di Guadagnino, semmai del caro direttore della Mostra del cinema, che ha pensato bene di riempire il cartellone con un video amatoriale, che si distingue a malapena dai celeberrimi e temutissimi filmini del matrimonio.

La proiezione è stata accolta da un silenzio assordante, e la colpa, mi duole dirlo, non è stata solo dei numeri ridotti di presenze causa distanziamento e nuove norme Covid.

Un film di Luca Guadagnino. Documentario, 121′. Italia 2020

L’appassionante storia umana, artistica e imprenditoriale di Salvatore Ferragamo, dall’infanzia a Bonito, dove ha realizzato le sue prime scarpe, al viaggio in America in cerca di fortuna, dalle esperienze a Hollywood al ritorno in Italia, dal rischio del fallimento alla rinascita nel suo laboratorio di Firenze fino alla definitiva consacrazione. Carattere, istinto, genio, curiosità e straordinaria intuizione: Salvatore – Shoemaker of Dreams mostra il mistero e il fascino di una figura complessa, un’icona della moda italiana e mondiale che non ha mai perso di vista l’importanza dei legami famigliari. Il docufilm, con la voce narrante di Michael Stuhlbarg, si avvale di immagini inedite e testimonianze che vedono protagonisti, accanto ai membri della famiglia Ferragamo, il regista Martin Scorsese, la costumista Deborah Nadoolman Landis, e numerosi studiosi, docenti, stilisti, giornalisti, critici di moda e cinematografici.

A salvare la faccia e la serata a Guadagnino e soprattutto al caro direttore Barbera è stato “Salvatore – Shoemaker of dreams”, l’interessante documentario sulla vita geniale e di fatica di Ferragamo, alias il calzolaio dei sogni, capace di conquistare il mondo partendo da Bonito, sperduto paesino della Campania.

Ferragamo ha voluto ad ogni costo diventare un calzolaio, andando inizialmente contro la volontà dei genitori. Bisogna pensare che, sul finire dell’Ottocento, il mestiere era considerato estremamente umile. Dopo essere divenuto garzone di bottega, Salvatore, a 12 anni, lascia Bonito per Napoli: è il primo passo di una lunga cavalcata di questo artigiano visionario, testardo e sognatore che appena sedicenne volò negli Stati Uniti. continua su

98) Red Rocket

Il Biglietto d’acquistare per “Red Rocket” è : Di pomeriggio (Con Riserva)

“Red Rocket” è un film di Sean Baker. Con Simon Rex, Suzanna Son, Bree Elrod, Ethan Darbone, Brenda Deiss, Judy Hill. Commedia, 128′. USA 2021

Sinossi:

Dopo anni di carriera da attore porno a Los Angeles, Mikey Saber abbandona tutto e fa ritorno nella sua città d’origine, Texas City, dove però non sembra essere il benvenuto. Rimasto senza una casa, senza soldi e senza lavoro, è costretto ad andare a vivere di nuovo insieme alla sua ex moglie e alla madre di lei. Per riuscire a pagarsi l’affitto, Mikey finisce per riprendere certe sue vecchie abitudini, ma l’incontro con Strawberry, la giovane cassiera di un negozio di ciambelle con la quale trova una intensa affinità, gli donerà la speranza in un nuovo inizio.

Recensione:

Un film dissacrante, ironico, divertente, gioioso ma anche capace di definire con precisione e intelligenza narrativa il contesto sociale e culturale in cui si muovono i personaggi: “Red Rocket” aveva ben figurato sulla Croisette in estate e adesso infiamma l’autunno londinese.

Sean Baker, già apprezzato a Cannes nel 2017 con “Un sogno chiamato Florida” (The Florida Project), si prende la scena con questa commedia ambientata in Texas a pochi mesi della sorprendente vittoria presidenziale di Donald Trump nel 2016.

Gli Stati Uniti stanno attraversando un momento decisivo della loro storia, e molti americani sono alla ricerca di un nuovo posto al sole. Mikey Saber (Rex) il suo sembra averlo perso, quando lo vediamo arrivare nella nativa Texas City malmenato, sporco e senza soldi, costretto a bussare alla porta di due donne che non sono proprio dalla sua parte: la ex moglie e la madre di lei. continua su