54) Comedians

Il biglietto d’acquistare per “Comedians” è : Omaggio (con riserva)

“Comedians” è un film del 2021 diretto da Gabriele Salvatores, basato sull’opera teatrale “Comedians” di Trevor Griffiths, adattamento di Gabriele Salvatores

Cast Artistico:
ALE e FRANZ Filippo Marri e Leo Marri
Natalino BALASSO Eddie Barni
Marco BONADEI Samuele Verona
Walter LEONARDI Gio Di Meo
Giulio PRANNO Giulio Zappa
Vincenzo ZAMPA Vincenzo Cacace
con Christian DE SICA Bernardo Celli
Sinossi:
Sei aspiranti comici stanchi della mediocrità delle loro vite, al termine di un corso serale di standup comedy si preparano ad affrontare la prima esibizione in un club. Tra il pubblico c’è anche un esaminatore, che sceglierà uno di loro per un programma televisivo. Per tutti è la grande occasione per cambiare vita, per alcuni forse è l’ultima. Le esibizioni iniziano e ogni comico sale sul palco con un grande dilemma: rispettare gli insegnamenti del proprio maestro, devoto a una comicità intelligente e senza compromessi o stravolgere il proprio numero per assecondare il gusto molto meno raffinato dell’esaminatore? O forse cercare una terza strada, di assoluta originalità? Attraverso le storie di sei comici, Comedians è una riflessione sul senso stesso della comicità nel nostro tempo, affrontando temi di assoluta attualità.
Recensione:
Mai come questa volta non è stato semplice definire, catalogare ed infine “assegnare il tipo di biglietto “.
Assegnare a “Comedians” di Salvatores un biglietto Omaggio (Con Riserva) si è rivelata una scelta sofferta decisa sulla base di personali sensazioni, emozioni, valutazioni che il pubblico probabilmente ribalterà completamente al cinema.
“Comedians” in un mondo “ pre pandemico” probabilmente sarebbe uscito durante l’inverno e magari avrebbe avuto un passaggio festivaliero.
Invece il Covid 19 ha stravolto i piani creativi di Gabriele Salvatores che era impegnato nella pre-produzione di “Casanova”, “obbligandolo” ad un cambio radicale per amore di non tenere “ferma” la sua famiglia cinematografica.
“Comedians” esce il 20 giugno con il nobile quanto coraggioso compito di dimostrare che il cinema italiano sua ripartito invitando lo spettatore a ripopolare le sale cinematografiche.
“Comedians” non è un film per tutti.
Non è un film divertente, frizzante, “nazional popolare” nonostante la presenza di attori abituati a regalarci un sorriso.
“Comedians” è una storia malinconica, realistica, autentica su quanto sia difficile emergere nel mondo dello spettacolo e soprattutto in quello attoriale.
Una gara , una battaglia o se una preferite una guerra tra “poveri” in cui per ottenere il risultato alias l’ingaggio non si guarda in faccia nessuno financo tradire gli insegnamenti del proprio Maestro.
“Comedians” racconta le paure, i sogni di sei uomini desiderosi di dare un calcio ad una vita triste e povera , speranzosi di cambiare grazie al loro “presunto” talento attoriale.
Gabriele Salvatores ha dimostrato d’essere un regista coraggioso , eclettico mettendosi sempre in gioco rifiutandosi di muoversi in una tranquilla “comfort zone” autoriale.
L’adattamento cinematografico della drammaturgia di Trevor Griffiths si può ritenere complessivamente riuscita sul piano della scrittura avendo dato prova di fluidità, coerenza narrativa ed incisività nei giusti passaggi.
Ciò nonostante , personalmente, ho avuto più di una difficoltà nel trovare il giusto “mood” nel comprendere e gustarmi l’intreccio e soprattutto l’impianto registico scelto da Salvatores.
“Comedians” è stato costruito su dialoghi fitti, scambi diretti e continui tra i protagonisti, in cui ogni personaggio risulta magistralmente caratterizzato sul piano umano e psicologico.
Una notte per cambiare le sorti di sei uomini segnati da un vita mediocre, sfruttati nel quotidiano che hanno deciso di seguire il corso del Maestro Eddie Barni, un comico non omologato al sistema.
“Comedians” si trasforma in cinico, spietato confronto tra sei differenti personalità , ma accomunate dal desiderio di riscatto, ma nonostante la carica emotiva, esistenziale il film vive di troppi “stop and go”.
Ci saremmo aspettati un maggiore brio, freschezza, una malinconia meno ingombrante soprattutto dalla coppia Ale e Franz, invece apparsi frenati e legati al copione.
Natalino Basso e Christian De Sica sono assolutamente credibili e convincenti nell’essere la “nemesi” artistica ed esistenziale dell’altro.
I due attori incarnano le due antitetiche ed opposte visioni della comicità. Basso vorrebbe vedere una comicità lungimirante, autonoma, libera da obblighi e clichè, autoriale.
Invece De Sica con il personaggio di Bernardo Celli toglie ogni “poesia” al mestiere del comico evidenziando come sia il pubblico a pagare le bollette dell’attore.
Il giovane Giulio Pranno dopo un inizio piuttosto eccessivo e fuori contesto, è riuscito a prendere le misure al suo personaggio imponendosi sulla scena e diventando con merito e personalità il vero perno della storia.
Alla fine di “Comedians” non vediamo vincitori, ma semmai contiamo differenti esempi di sconfitti, traditori e financo orgogliosi idalisti come avviene in tutti settori della nostra società.
Come per i sei aspiranti comici, ogni giorno dobbiamo optare tra la scelta più vantaggiosa o quella più giusta e se seguire gli insegnamenti del Bravo Maestro o meno. mM ad averceli nella vita maestri come Eddie Barni.

29) The Mosquito Coast

• “The Mosquito Coast” è una miniserie composta da 7 episodi disponibile dal 30 Aprile sulla piattaforma Apple + , diretta da Rupert Wyatt , scritta da Neil Cross e Tom Bissell , basato sull’omonimo romanzo di Paul Theroux
• Cast Artistico:
• Justin Theroux as Allie Fox
• Melissa George as Margot
• Logan Polish as Dina,
• Gabriel Bateman as Charlie
• Kimberly Elise as Jones
• James LeGros as Don Voorhees
• Ian Hart as Bill Lee
• Sinossi:
• Un uomo idealista, disgustato dalla corruzione della società, porta la sua famiglia in America Latina.
• Recensione:
Inizio questa mia recensione ammettendo pubblicamente di non aver mai letto il romanzo di Paul Theroux (1981) né tanto meno di aver visto l’adattamento cinematografico del 1986 di Peter Weir.
Un’ignoranza letteraria e cinematografica che non dovrebbe stupirvi, ma semmai rimarcare, ancora una volta, come la direttora Turilazzi continui nella sua missione impossibile di rieducazione culturale del sottoscritto.
Scevro da condizionamenti pregressi e/o pregiudizi mi sono approcciato con sincera neutralità e curiosità alla visione di tutti i sette episodi della miniserie cercando di capirne il senso e valore artistico.
Leggendo le recensioni, i giudizi sia sul romanzo che sul film , mi è apparso evidente come la miniserie Apple si sia rivelata ben lontana dall’idea e spirito originale immaginato dall’autore Paul Theroux.
“ The Mosquito Coast” ha rappresentato, incarnato il folle quanto testardo desiderio di ribellione, rifiuto radicale del protagonista Allie, , novello Don Chiosciotte, contro il modello capitalistico ed egoistico della società americana.
Una storia bizzarra, controversa, quanto potente che ha influenzato più di una generazione alla ricerca di modello alternativo di vita
“The Mosquito Coast” come miniserie però lascia nello spettatore un senso di incompiutezza narrativa, confusione strutturale ed approssimazione nella costruzione dei personaggi.
La prima stagione di “The Mosquito Coast” possiamo sintetizzarla come una caotica quanto spericolata fuga messa in atto dal bizzarro inventore Allie (Justin Theroux) trascinandosi dietro la sua famiglia decidendo di passare il confine messicano rischiando la morte in più di una circostanza tra sparatorie, inseguimenti o drammaticamente finendo disidratati attraversando lo sconfinato deserto
Allie e sua moglie Margot (la bellissima e brava Melissa George) nascondono un segreto, consapevoli che prima o poi questa ritirata vita nel sud della California si sarebbe conclusa.
Ciò nonostante, la fine della quiete familiare avviene in modo brusco e drammatico quando due agenti dell’Fbi hanno fatto partire un’imponente retata schierando uomini e mezzi come si dovessero arrestare pericolosi criminali.
Perché il governo vuole arrestare Allie e Margot? Quali segreti si portano dietro del loro passato. I due figli sono davvero loro?
Sono soltanto alcune delle numerose domande che lo spettatore inizia vanamente a porsi scontrandosi contro il “muro di gomma” degli sceneggiatori quasi felici nell’aver costruito una storia in cui il rimando delle risposte e l’opacità della verità appaiono i punti essenziali dello script.
Lo spettatore fatica a trovare una logicità narrativa e conseguenza creativa in un intreccio dove sono mescolati , tenuti insieme l’Fbi, una potente famiglia criminale messicana ed infine una misteriosa società.
Tutti accomunati dalla feroce volontà di far confessare ad Allie qualcosa del proprio passato.
Questo continuo rimandare, dire o non dire alla lunga appare fastidioso , irritate per lo spettatore illuso che prima o poi dovrà avere almeno qualche risposta e/o chiarimento.
La prima stagione di “The Mosquito Coast” risulta così come un lungo, prolisso quanto noioso prologo di quanto, probabilmente, sarà svelato nelle future stagioni.
Lo spettatore si impegna nella visione dei 7 episodi confidando di trovare risposte o quanto meno qualche passaggio chiarificatore od utile nel rendere plausibile una stagione tutta improntata alla fuga forsennata ed a tratti inverosimile.
Una scelta autoriale che consideriamo discutibile nella visione creativa quanto nella sostanza poiché rende quasi impossibile un pieno coinvolgimento emotivo con dei personaggi appena abbozzati e in particolar modo nel caso dei cattivi /inseguitori trattati alla stregua di figure caricaturali .
• “The Mosquito Coast” evita il completo fallimento artistico grazie alle toste e convincenti performance della già citata Melissa George e dei due giovani e bravi attori Logan Polish e Gabriel Bateman davvero credibili nel ruolo dei figli della coppia offrendo una diversa quanto suggestiva prospettiva su situazione tragicomica che mette in crisi le certezze dei due adolescenti.
• “The Mosquito Coast” è complessivamente deludente o se preferite negativamente indecifrabile rispetto alle grandi attese della viglia.
• Un prodotto ricco e curato sul piano scenografico ed ambientale non può bastare nell’evitare una bocciatura in altri campi.
• Fino a prova contraria, “The Mosquito Coast” è un occasione sprecata o nei migliori casi un potenziale mal sfruttato.

28) Halston

“Halston” è una miniserie Netflix composta da 5 episodi ideata da Ryan Murphy, diretta Daniel Minahan

Cast Artistico:

Ewan McGregor Halston
Rebecca Dayan Elsa Peretti

David Pittu
 Joe Eula

Krysta Rodriguez
 Liza Minnelli

Gian Franco Rodriguez
 Victor Hugo
Jason Kravits Carl Epstein

Bill Pullman
 David Mahoney
Kelly Bishop Eleanor Lambert
Vera Farmiga Adele

Sinossi:

Segue Halston mentre sfrutta il suo unico nome inventato in un impero mondiale della moda che è sinonimo di lusso, sesso, status e fama, definendo letteralmente l’era.

Recensione:

Mi rendo conto che rinnovare, rimarcare la mia personale ignoranza possa apparire fastidioso oltre che stucchevole.

Ma ancora una volta, caro lettore, dal mio berbero stato culturale devo partire nel tentativo di spiegarti la mia bocciatura su “Halston” come miniserie.

Quando la direttora mi ha dato l’incarico di vederlo, ho subito esclamato in modo sobrio quanto in perfetto stile british: Ma chi m…è 

Halston Frowick? 

Perché Netflix ha deciso di realizzare una miniserie su questo tipo scegliendo come protagonista il bravo quanto ormai agee Ewan McGregor? 

Ho visto tutti i 5 episodi resistendo alla tentazione dell’aiuto del computer (alias Wikipedia) imponendomi un comportamento serio e professionale.

5 episodi dopo e molte ore della mia vita quasi perse, non essendo ancora persuaso di quanto visto e dubbioso su quale fosse stata la vera molle autoriale che   ha spinto Ryan Murphy a realizzarla.

Ho chiesto anche ‘l’aiuto di casa ovvero interpellando mia madre ed un una cara amica se avessero mai sentito, visto, indossato un abito firmato da Halston (si è stato uno stilista è stato uno stilista statunitense assurto a fama internazionale negli anni ’70.)

Il loro silenzio assordante si è rivelato determinante nello scrivere queste considerazioni.

1)la miniserie “Halston” è un progetto rivolto più al pubblico americano rispetto a quello europeo, avendo quest’ultimo pochissima o nulla “percezione” del fenomeno Halston.

2)in questi anni la TV e la 7 Arte in generale hanno creato un vero e proprio sottogenere nella categoria Biopic, dando visibilità e risalto alle vite geniali quanto spericolate di grandi stilisti.

Alcune vite finite nel sangue hanno ispirato miniserie acclamate come “Omicidio Versace” e l’atteso “Gucci” con protagonista Lady Gaga.

Personalmente ho apprezzato il film “Saint Laurent” del 2014 e più recentemente i documentari su Valentino, Pierre Cardin e Ralph Lauren

Tutti progetti che hanno sicuramente colmato le mie mancanze offrendomi altresì da spettatore una prospettiva diversa, originale ed intimo su questi grandi stilisti.

3)ritornando invece ad “Halston”, si ha la sensazione di vedere un canovaccio narrativo, emotivo e storico piuttosto lineare quanto prevedibile e complessivamente noioso.

I primi quattro episodi sono stati scritti, messi in scena ed interpretati seguendo uno stile di racconto classico con lo scopo di raccontare le varie tappe dei successi professionali ed umani di Halston inserendo il tutto in cornice storica dalla fine degli anni sessanta fino a meta anni 80. 

Il ventennio 70-80 scandito dagli eccessi, le feste smodate a base di droga e sesso nel mitico Studio 54 e la tragica diffusione della piaga dell’Aids.

4)lo spettatore acerbo sull’Alta Moda, scopre come i cappelli abbiano rappresentato    l’inizio del successo per Halston avendo Jackie Kennedy come testimonial d’eccezione.

Halston dal quel incredibile successo prese il largo imponendo i suoi design e lineari, spesso realizzati in cashmere rappresentando insieme ai profumi una novità ed un marchio vincente. 

5)Osserviamo crescere giorno dopo giorno   la “corte dei miracoli “dello stilista.

La vita di Halston diviene sempre più dissoluta sessualmente e dipendente dalla droga, potendo contare inizialmente su pochi e fidati

Un’amica leale ed intima fu Liza Minnelli, collaboratori creativi furono. Elsa Peretti e Joe Eula.

6)nei primi quattro episodi sono gli attori diche li interpretano in modo magistrale, credibile e carismatico a dare forza e nerbo ad una storia, altrimenti impantanata nella recitazione imbolsita, piatta e umorale di McGregor.

7)si, avere letto bene, il più grande problema della miniserie è stato proprio Ewan McGregor.

L’abbiamo visto recitare esclusivamente in due modalità: con o senza sigaretta. 

Una performance sempre uguale, stiracchiata, a tratti imbarazzante per l’attore inglese.

Dopo averlo scoperto ed ammirato quasi 30 anni fa in “Trainspotting”, è stato artisticamente doloroso vederlo così nelle vesti di Halston.

8)eravamo pronti a chiedere conto e ragione al regista dell’ inutilità del progetto e della scelta suicida di McGregor.

 Quando nel quinto ed ultimo episodio si  ribalta almeno parzialmente il giudizio . Emergendo la vera anima del progetto e chiarendo l’urgenza narrativa e creativa di Ryan : restituire l’onore perduto alla stilista Halston, farlo decadere dalla “damnatio memoriae” che volontariamente lo stilista si autoinflisse al culmine della sua foga autodistruttiva.

Halston “cedette’ il proprio nome all’azienda illudendosi che tale privazione potesse essere compensata da un milione di dollari all’anno.

Un errore che lo stilista nella parte finale della sua vita sconterà amaramente come una sorte di legge di contrappasso.

Un artista privato del suo Nome è niente.

Per lo stilista Halston fu più doloroso piuttosto che accettare la diagnosi di Aids comunque tenuta segreta.

Il senso di perdita, colpa, stupidità e malinconica impotenza sono incarnati magnificamente da Ewan McGregor   finalmente libero da un ruolo rigido ed imbolsito trovando finalmente, da bravo attore quale, la giusta chiave attoriale oltre che umana nel mostrare l’inquietudine e soprattutto incarnare la disperazione dell’artista come fosse un novello Dorian Gray

In definitiva sarebbe stato sufficiente il quinto episodio per raccontare il dramma creativo/esistenziale del geniale Halston.

Un film od al massimo una mini serie da 2 episodi avrebbero permesso una fruizione più coinvolgente ed avvolgente.

Un grave errore autoriale che ha drasticamente condizionato. la bontà e funzionalità del progetto

Ryan per fare molto paradossalmente ha sbagliato troppo.

Armatevi di pazienza e caffè per gustarvi il senso e piacere di Halston.

27)Jupiter’s Legacy

“Jupiter’s Legacy” è una miniserie Netflix composta da 8 episodi ideata da Steven S. DeKnight e basata basata sull’omonimo fumetto di Mark Millar e Frank Quitely.
Cast Artistico:
• Josh Duhamel è Sheldon Sampson, il capo della squadra di supereroi
• Ben Daniels è Walter Sampson, il fratello maggiore di Sheldon
• Leslie Bibb è Grace Sampson, supereroina molto potente e moglie di Sheldon
• Elena Kampouris è Chloe Sampson, la figlia di Grace e Sheldon
• Andrew Horton è Brandon Sampson, il figlio di Grace e Sheldon
• Mike Wade è Fitz Small
• Matt Lanter è George Hutchen
• Tenika Davis è Petra Small, la figlia di Fitz
• Anna Akana è Raikou
• Tyler Mane è Blackstar

Sinossi:
Lo show segue le vicende della prima generazione di supereroi che hanno ricevuto i loro poteri nel 1930. Nel presente, però, sono i loro figli, anch’essi super dotati, a dover convivere con le vicende leggendarie dei loro genitori.

Recensione:
“Ad ognuno il proprio mestiere” si dice.
Dopo aver visto alcuni film o serie tv, il vostro cronista avrebbe voluto aggiungere “ non è scritto da nessuna parte che un network debba inseguire le mode”

Una volta il mondo dei fumetti sui supereroi era un esclusivo monopolio/sfida editoriale tra Dc Comics e Marvel Comics.
Poi i grandi studios (Fox e Disney) fiutando l’enorme affare si sono buttati nella realizzazione di film, intere saghe invadendo le sale con i vari Justice League e Avengers.
Amazon ha risposto con un discreto successo realizzando la serie “The Boys”
Poteva cosi la “povera” Netflix resistere al richiamo /tentazione? Ovviamente no, purtroppo.
Così è stato messo in cantiere Jupiter’s Legacy rivelandosi un errore produttivo /editoriale dettato dalla stessa presunzione che colpì il buon Icaro.
“Jupiter Legacy” si dimostra fin dai primi episodi un pasticcio narrativo che mescola insieme mitologia, la crisi economica del 29 e la decadenza morale degli Stati uniti d’oggi.
Un mix di storie e passaggi temporali che hanno reso complicata la visione allo spettatore incapace di trovargli un senso e soprattutto di trovare un coinvolgimento con i personaggi .

Jupiter’s Legacy (“l’eredità di Giove”) si dipana su linee temporali che si alternano sulla scena in modo confuso quanto dispersivo: l’America moderna e la Grande Depressione del 29
Lo spettatore è costretto nella difficile impresa d’ unire i pezzi di un script caotico, retorico e piuttosto retorico e ridondante nella messa in scena.
“Jupiter’s Legacy” appare come una forzosa via di mezzo tra gli Avangers e Justice League, non avendo l’appeal carismatico dei primi e la ricchezza visiva del secondo
Osserviamo nel presente quanto siano complicati i rapporti nella famiglia Sampson, nella quale il rigido e ormai stanco leader dell’Unione, Utopian e sua moglie, Lady Liberty (Leslie Bibb ), si scontrano quotidianamente con i figli : la ribelle Chloe e Brandon desideroso quanto vanamente di seguire le orme paterne
Sheldon Sampson è deluso dal comportamento dei suoi due figli, ritenuti inadeguati all’impegnativo ruolo e soprattutto all’altezza dei poteri che gli sono stati concessi.
L’anziano leader teme che i nuovi supereroi si possano allontanarsi dal Codice che è stato il faro, il perno dell’Unione fin dalla fondazione.
Ma chi ha scritto questo Codice? Dove si trova? Si chiede il disorientato spettatore.
Un codice continuamente evocato da Sheldon, mai una volta nell’arco degli otto episodi gli autori hanno la bontà di farlo apparire sulla scena.
La seconda linea narrativa è composta di flashback che descrivono la crisi della società americana dopo il Crollo dell’indice di Wall Street del 1929 che provoca tra l’altro il drammatico suicidio del patriarca Sampson e il successivo crollo psicotico di Sheldon distrutto da questo dolore.
Un crollo psicotico che si tramuta incomprensibilmente quanto improvvisamente in un ossessiva , folle ricerca di una verità da parte Sheldon da quando il fantasma del padre ha iniziato a tormentarlo.
Ciò nonostante Sheldon riesce a mettere su una squadra composta tra gli altri dal fratello, dal migliore amico e Grace all’epoca ambiziosa giornalista per raggiungere un luogo misterioso in mezzo al mare.
Un luogo misterioso che si svela essere un’ isola . Un portale che trascina il gruppo in una dimensione divina.
L’isola li ha resi Dei ma con sembianze umane e con le relative conflittualità e contraddizioni.
Ma per quale motivo Sheldon ed i suoi 5 compagni d’avventura sono stati ritenuti idonei a ricevere questi poteri?

Sfortunatamente anche in questo caso gli sceneggiatori deludono le legittime aspettative dello spettatore ripetendo lo schema del continuo rinvio.

Anche Walt/Brainwave (il machiavellico e bravo Ben Daniels ) fratello telepatico di Sheldon, George/Skyfox (lo vediamo protagonista sono nei flashback del 29) e gli altri fondatori dell’Unione hanno figli con cui coltivano un rapporto conflittuale.
“Jupiter’s Legacy” si snoda sul piano esistenziale/psicologico come un dramma familiare incardinato tra mitologia e senso etico del bene comune faticando a trovare un preciso e chiaro equilibrio.
La prima stagione di “Jupiter’s Legacy” lascia troppe domande inevase, dubbi trasmettendo un senso di incompiutezza narrativa e registica.
Il finale aperto e tragico fa presagire una seconda stagione in cui si spera vengano corretti le evidenti criticità, per sollevare dalla mediocrità il supereoirsmo targato Netflix

53) Tutti per Uma

“Tutti per Uma” è un film del 2021 diretto da Susy Laude, scritto da SOLE TONNINI PAOLA PESSOT.
Cast Artistico :
Ezio PIETRO SERMONTI
Dante LILLO PETROLO
Attila Antonio Catania
Uma Laura Bilgeri
Viktor Dino Abbrescia
Francesco GABRIELE ANSANELLI
Emanuele VALERIO BARTOCCI
Viola CAROLINA REY
Contessa Coco PUJADEVI ELISA LEPORE
Jonas Nico Abbrescia
Moglie Viktor Susy Laude

Sinossi:
I Ferliga sono una famiglia di viticoltori tutta al maschile, composta da Nonno Attila (Antonio Catania), padre padrone all’antica, il fratello minore Dante (Lillo Petrolo), bambinone mai cresciuto, il figlio Ezio (Pietro Sermonti), vedovo che si è dato all’apicoltura, e i nipotini Francesco, appassionato di danza, ed Emanuele, il più piccolo. Maschio anche il cane, Mimmo. Tra continui litigi e reciproche insofferenze, tutti provano inutilmente a raddrizzare l’azienda di famiglia, un tempo famosa in tutta Italia, ma ormai indebitata e quasi in mano alle banche. Con l’arrivo di Uma (Laura Bilgeri), però, le cose cambiano. Invece di scappare da quel manicomio, la misteriosa ragazza deciderà di aiutarli, portandoli a tirar fuori il meglio di loro.
Recensione:
La presenza, il tocco femminile in una casa si sente, vide, si nota.
Una famiglia non è tale se viene tragicamente privata della figura materna/femminile di riferimento.
Noi uomini senza le donne siamo incompleti , spaesati, inconcludenti.
Le donne rappresentano l’anello mancante nella costruzione del cerchio perfetto in ambito familiare.
Susy Laude, al suo esordio cinematografico come regista, dirige una commedia dai tratti “fiabeschi” rivolta alle famiglie riaffermando il principio che solamente una donna può riportare armonia, sicurezza e amore in una famiglia composta da soli uomini.
“Tutti per Uma” presenta uno script piuttosto semplice, lineare quanto prevedibile evidenziando alcuni passaggi narrativi piuttosto retorici e forzatamente melensi.
Gli sceneggiatori hanno cercato di tenere insieme e mescolare gli elementi più positivi della commedia familiare con quelli della fiaba al fine di mettere su carta una storia che fosse via di mezzo tra Tata Matilda e Mary Poppins.
“Tutti per Uma” si sforza con alterne fortune di far sorridere, commuovere e riflette lo spettatore affrontando la sentita tematica del bullismo scolastico, la difficoltà di due bambini di dover crescere senza una madre e l’incapacità degli adulti di crescere davvero e di dialogare tra loro.
Susy Laude ha dimostrati mano ferma , talento oltre che esperienza nel dirigere il cast artistico in un impresa non facile.
Un cast artistico che seppure composto da interpreti di consumata esperienza e valore, solamente in parte è riuscito ad essere all’altezza della situazione.
Pietro Sermonti nel ruolo di Ezio, vedovo e apicoltore incapace e Lillo in quello di Dante sfigato videomaker sono meno incisivi del solito, apparendo non completamente a loro agio in questi due personaggi sopralerighe.
Invece Antonio Catania nel ruolo del patriarca Attile e Dino Abbrescia in quello del “cattivo” Victor risultano complessivamente più credibili, “in parte” e funzionali alla storia.
Laura Bilgeri è Uma, la protagonista sulla carta del film, ma sulla scena risulta sempre “al traino” degli altri personaggi.
La sua “Uma” risulta poco carismatica, gagliarda e fiera come scritto sul copione.
I due giovani interpreti GABRIELE ANSANELLI e VALERIO BARTOCCI si sono rivelate delle belle e piacevoli sorprese non avendo dimostrato alcun timore e/o esitazione sulla scena.
“Tutti per Uma” pur disattendo molte delle aspettative recitative e potenzialità narrative rimane comunque una visione godibile , leggera quanto preziosa nel ribadire la centralità della famiglia.

52) Father -Nulla è come sembra

Il biglietto d’acquistare per “The Father” è : Sempre

“The Father” è un film del 2020 scritto e diretto da Florian Zeller, con : Olivia Colman, Imogen Poots, Anthony Hopkins, Rufus Sewell, Olivia Williams.

Sinossi:
Un uomo rifiuta tutta l’assistenza di sua figlia mentre invecchia. Mentre cerca di dare un senso alle sue mutevoli circostanze, inizia a dubitare dei suoi cari, della sua mente e persino del tessuto della sua realtà.

Recensione:
Ciclicamente il cinema ci “ricorda” l’esistenza di una malattia terribile quanto incurabile capace di rendere fragile e piccolo anche la persona più importante e forte : Il morbo di Alzheimer o se preferite una delle forme più drammatiche della demenza senile.
L’Alzheimer non fa distinzioni di classe, ceto, genere . E’ inesorabile nella sua erosione di ricordi togliendo ogni dignità al paziente.
7 anni fa “Still Alice” di Richard Glatzer e Wash Westmoreland permise alla bravissima Julianne Moore di conquistare l’Oscar come migliore attrice, incarnando in modo toccante quanto credibile il tragico “scivolamento” nelle tenebre di una brillante quanto intelligente professoressa.
Nel 2021 , a nostro modesto parere , l’ambita statuetta finirà nelle mani di Sir Anthony Hopkins capace di regalarci un’altra performance indimenticabile come fu nel 1991 diventando nell’immaginario collettivo: l’inquietante ed affascinante Dr Hannibal Lecter.
Florian Zeller ha deciso d’esordire come regista cinematografico adattando la sua piece teatrale più importante mettendo insieme un cast artistico di grande valore.
“The Father” è un film “teatrale” per eccellenza adatto da una parte ad esaltare il talento, carisma e personalità di ogni singolo interprete, e dall’altra nel creare una vivida , crescente connessione emotiva ed essenziale tra i personaggi in scena ed il pubblico
“The Father” trascina lo spettatore nella vita di Anthony, inizialmente presentato come un vecchio signore burbero quanto elegante ed ironico.
Ma pian piano ci si rende conto come la mente, i ricordi di Anthony siano fragili, confusi, contradditori.
Condividiamo lo sconcerto, timore, esitazione del protagonista ogni volta che le certezze acquisite sono spazzate via da nuove informazioni.

Anthony, affetto da demenza, è instabile emotivamente mostrandosi prima come un ver gentleman e l’attimo dopo come la persona più sgradevole e cattiva.
Sir Hopkins nell’interpretare questo personaggio può attingere alla sua vasta esperienza attoriale accumulata nella sua lunga e formidabile carriera.
Modella i toni , calibra fisicità , sfuma lo stile recitativo plasmando il “suo” Anthony in base alle esigenze narrative e soprattutto all’istinto creativo di un primo attore quale è Hopkins.
Anthony Hopkins è riuscito ancora volta rendere il proprio personaggio amabile e destabile allo stesso tempo.
Una magia attoriale che l’attore inglese rende naturale, semplice quanto ipnotico da vedere
Lo spettatore rimane incantato dalla vis polemica e forza del protagonista e nello stesso tempo è quasi commosso , complice della sofferenza e dolore improvviso che lo attraversa quando ricorda l’amata figlia più piccola, deceduta anni prima in un incidente stradale.
Zeller ci mostra in modo delicato, accurato il dramma della malattia e come essa condizioni oltre il malato anche l’esistenza dei propri cari.
“The Father” si apre con la scena in cui la figlia di Anthony, Anne (una brava quanto misurata Colman), rivela che si trasferirà a Parigi, il che apre il dilemma su cosa fare con il padre malato.
Sembra tutto molto chiaro, ma quando sulla scena appaiono altri personaggi, tutto viene in discussione .
Esiste davvero Anne?
E se si, quale delle due versioni che Anthony si trova davanti è quella reale?
Anne ha un marito oppure è divorziata pronta a rifarsi la vita in Francia un nuovo compagno ?
I due compagni lo odiano fino a picchiarlo di nascosto alla figlia ?
Le scene si ripetono , si contraddicono facendoci sprofondare nella confusa e sempre più angosciata realtà vissuta e vista da Anthony.
L’Alzheimer si rivela l’ideale base nel dare vita ad un noir esistenziale seminato di dubbi ed interrogativi crescenti .
Un mix di paura e smarrimento reso ancora più credibile ed incisivo dal resto del cast artistico in gran spolvero e funzionale al progetto.
Il senso d’abbandono, impotenza, fragilità di questa devastante malattia è magnificamente rappresentato nell’ultima struggente e commuovente scena.
Solo quella bastevole per premiare Sir Hopkins oltre che consigliare vivamente la visione del film.

51) Un Estraneo a Bordo

Il biglietto d’acquistare per “Un estraneo a bordo” è : Ridotto.

“Un Estraneo a Bordo” è un film del 2021 diretto da Joe Penna , scritto da Joe Penna e Ryan Morrison

Cast Artistico:
• Anna Kendrick interpreta Zoe Levenson: una ricercatrice medica.
• Toni Collette interpreta Marina Barnett: il comandante dell’astronave.
• Shamier Anderson interpreta Michael Adams: l’ingegnere del piano di lancio, nonché l’estraneo a bordo.
• Daniel Dae Kim interpreta David Kim: il biologo dell’astronave.
Sinossi:
Estraneo a bordo, film diretto da Joe Penna, racconta una spedizione spaziale biennale diretta verso Marte per poter studiare il pianeta e vedere se un giorno potrà ospitare l’umanità. L’equipaggio è formato da tre persone: il comandante (Toni Collette), il biologo Kim (Daniel Dae Kim) e la ricercatrice medica Levenson (Anna Kendrick).
Poco dopo il decollo i tre rinvengono all’interno della navicella un clandestino, si tratta di un ingegnere del supporto al lancio (Shamier Anderson), rimasto ferito durante i lavori. Il gruppo si prende cura di lui e al suo risveglio cerca di calmarlo. Nonostante l’ingegnere si impegni per aiutare l’equipaggio nel suo lavoro, la sua presenza di troppo causerà conseguenze improvvise che comprometteranno la missione e metteranno in serio pericolo tutti i presenti.
Recensione:
Nell’ultimo anno abbiamo tragicamente imparato quanto siano importanti e preziosi i nostri polmoni.
“Morire per asfissia” è probabilmente uno delle morti più orrende.
Chi ha diritto di vivere in caso di penuria d’aria?
Chi è sacrificabile?
“Un Estraneo a bordo” di Joe Penna affronta quest’annosa e delicata tematica ambientandola all’interno di un’astronave diretta verso Marte.
L’universo infinito, l’ambizione scientifica dell’uomo di poter “conquistare” Marte rendendola abitabile si contrappone in modo stridente quanto efficace al dubbio etico /esistenziale che i tre astronauti dovranno sciogliere relativo alla presenza del quarto passeggero a bordo.
Una spedizione nata su grandi aspettative scientifiche ed ambizioni personali si tramuta ben presto in tragedia quando l’esperto comandante Barnett (Collette) si rende conto che l’impianto di ossigenazione è compromesso definitivamente mettendo così a rischio la vita di tutti.
L’estraneo alias l’ingegnere Adams (Anderson), suo malgrado, è il responsabile di questo disastro oltre a non possedere alcuna preparazione spaziale.
Barnett ha il dovere come comandante di salvare il proprio equipaggio , ma per farlo deve “sacrificare” Adams.
Una scelta dolorosa quanto devastante che provocherà una grave spaccatura con gli altri due astronauti.
Mentre David Kim, il biologo dell’astronave, analizzando in modo asettico i dati comprende fin da subito l’inevitabilità della scelta, mentre Zoe Levenson, giovane ricercatrice medica, rifiuta con ogni forza questa prospettiva.
Con “un estraneo a bordo” da una parte assistiamo all’ angosciante lotta contro il tempo per la sopravvivenza e dall’altra all’ intensa e straziante rappresentazione dell’infinita disputa tra “scienza contro coscienza”.
“Un estraneo a bordo” è un film lineare nella scrittura , essenziale nella messa in scena , quanto potente e dirompente sul piano etico.
Un film carico d’umanità, caratterizzato da vivida sofferenza e paura magistralmente incarnato dai singoli attori bravi nel rendere credibili i rispettivi personaggi.
Lo spettatore vive con grande trasporto il dilemma umano e scientifico dell’equipaggio, trovando una logica e giustificazione in ogni singola posizione.
Un senso di impotenza e frustrazione ci avvolge nell’osservare il coraggioso quanto vano tentativo della Dott.ssa Levenson d’evitare una tragica soluzione.
“un estraneo a bordo” contrappone il pragmatismo militare e scientifico al diritto alla vita/salute che ogni medico giura di perseguire quando ha deciso d’intraprendere questa professione.
“un estraneo a bordo” anche se ambientato nello spazio appare tanto dolorosamente sovrapponibile al grave momento sanitario che stiamo vivendo oggi in Italia e nel mondo.
Il finale seppure tragico ci insega che ogni vita vada tutelata e salvata perché anche nello spazio infinito un medico non può e non vuole abiurare al giuramento di Ippocrate.

50) Senza Rimorso

Il biglietto d’acquistare per “Senza Rimorso” è : Omaggio

“Senza Rimorso” è un film del 2021 diretto da Stefano Sollima, scritto da Taylor Sheridan, Will Staples , basato sul romanzo di Tom Clancy

Cast Artistico :
• Michael B. Jordan: John Kelly
• Lauren London: Pam Kelly
• Jodie Turner-Smith: Karen Greer
• Jamie Bell: Robert Ritter
• Guy Pearce: Clay
Sinossi:
Senza Rimorso, film diretto da Stefano Sollima, segue la storia di John Clark (Michael B. Jordan), agente della CIA, esperto Navy Seal, deciso a vendicare l’omicidio di sua moglie incinta. Nel corso della sua missione, che ha come unico scopo quello di trovare i responsabili del terribile atto commesso, John sarà affiancato da un compagno dei Navy Seal, Karen Greer (Jodie Turner-Smith) e da un misterioso agente della CIA (Jamie Bell). Ben presto John si renderà conto di trovarsi, però, al centro di una cospirazione molto più grande di lui, che minaccia di travolgere gli Stati Uniti e la Russia in una grande guerra.
Nel dubbio se anteporre la sua vendetta personale al rispetto verso il suo paese, riuscirà lo spietato agente della CIA a portare a termine la sua missione?
Recensione:
Chi è nato dopo la fine del secondo conflitto mondiale ha avuto la “fortuna” di poter vivere in un mondo libero, democratico cogliendo tutte le possibilità economiche, sociali e culturali frutto della ricostruzione.
Ma allo stesso tempo tante generazioni (compresa la mia) sono cresciute nella consapevolezza dell’esistenza di un conflitto strisciante quanto pericoloso tra il blocco Occidentale guidato dagli Stati Uniti e quello guidato dall’Urss.
Una “Guerra fredda” giocata sul filo di nervi, spionaggio e soprattutto con la crescente corsa all’aumento dell’armamento atomico da parte delle due superpotenze,
La guerra fredda ha caratterizzato, segnato il secolo scorso portando spesso il mondo ad un passo da un terzo tragico conflitto.
La caduta del Muro di Berlino prima e la successiva dissoluzione della stessa Urss ci aveva illusi che anche la “guerra fredda” potesse essere archiviata.
La “Guerra Fredda” ha “ispirato” tanti autori, registi, artisti dando cosi vita ad un filone letterario /cinematografico ben preciso e spesso politicamente schierato a favore di uno dei due blocchi.
Un filone che ci ha regalato romanzi, film di grande impatto emotivo, narrativo, visivo e financo simbolico.
Lo spettatore /il lettore si è nutrito, appassionato di questo filone arrivando a fare un proprio intimo “Pantheon”.
Personalmente rivedo sempre con piacere pellicole come Rocky 4, Rambo, la saga di James Bond , ma confesso di non aver ,ai letto un rigo dei romanzi di Tom Clancy.
Rispetto alla “nostra” Guerra Fredda, oggi è più difficile poter dare un volto, un nome, un chiara identificazione al nemico.
Chi sono i buoni e chi i cattivi?
Dopo l’undici settembre 2001 abbiamo “voluto” indentificare il male prima con il terrorismo islamico di Al Quaeda, poi nell’Iraq , Iran, ed infine Siria.
L’America non avendo più la propria “nemesi” sovietica , paradossalmente ha “auto generato” i nemici da sconfiggere.
Nel 2021 non esiste più L’Urss alias “L’impero del Male “ di reganiana memoria, eppure l’Occidente continua a confrontarsi con continue e crescenti criticità internazionali.
In un contesto geopolitico così caotico quanto contradditorio, pochi registi avrebbero rischiato nel “riesumare” questo filone , adattando il genere spy story impostato su una possibile guerra fredda tra gli Usa e la Russia.
Stefano Sollima invece da valente e coraggioso regista non ha avuto alcun dubbio nell’accettare questa sfida artistica realizzando “Senza Rimorso”, nuova versione cinematografica del best seller letterario di Clacy .
“Senza Rimorso” appare però narrativamente un’ opera vecchia, fuori contesto quanto banale prevedibile nonostante l’impegno profuso da due talentuosi sceneggiatori di rimanere fedele al testo di Clacy.
Una “fedeltà” che si rivela presto un boomerang per i due sceneggiatori incapaci di “svecchiare” efficacemente personaggi, dialoghi ed ambientazione, trasmettendo allo spettatore un senso di posticcio quanto involontario amarcord di genere.
“Senza rimorso” si muove su linee narrative già viste ampiamente in passato: il perfetto quanto affidabile soldato americano che si ribella ai propri superiori, brama vendetta per il brutale omicidio della moglie, mettendo a “fuoco e fiamme” chiunque si metta in mezzo.
Aver consegnato il ruolo di protagonista all’attore afroamericano Michael B. Jordan, forse accontenterà gli amanti del politically correct, ma si rivela purtroppo poco incisivo e deludente sul piano attoriale.
Michael B. Jordan svolge il compito senza mai incidere o trasmettere un emozione, pathos. Il suo “John” non buca lo schermo, facendosi apprezzare per le sue doti fisiche e presenza scenica.
“Senza rimorso” è un’opera diretta con mano esperta ed occhio attento da Sollima che conferma tutto il proprio talento e visione autoriale, ma non è stato bastevole per salvarci dalla noia facendoci rimpiangere cinematograficamente la vera Guerra Fredda.

49) Bliss

Il biglietto d’acquistare per “Bliss” è : Neanche regalato

“Bliss” è un film del 2020 scritto e diretto da Mike Cahill, con : Owen Wilson, Salma Hayek, Madeline Zima, Nesta Cooper, Joshua Leonard, Jorge Lendeborg Jr., DeRon Horton, Steve Zissis, Erin Flannery.

Sinossi:
Bliss, il film diretto da Mike Cahill, segue la storia di Greg (Owen Wilson), un uomo che si ritrova a fluttuare tra due mondi, uno dei quali crede sia una simulazione.
Greg sta attraversando un momento complicato della sua vita: ha da poco perso il lavoro e si è separato da sua moglie. L’uomo è insoddisfatto fino a quando un giorno incontra l’affascinante e misteriosa Isabel (Salma Hayek). La donna vive per strada e crede che il brutto mondo intorno a lei sia in realtà una complessa simulazione generata al computer, all’interno di un mondo reale felice e pacifico. Greg inizialmente dubbioso, scoprirà presto che le folli teorie di Isabel potrebbero essere vere.
Recensione:
Ammetto con estrema franchezza i miei limiti. Ma non ho capito il “senso”, utilità cinematografica di “Bliss”.
Non ho compreso le scelte narrative, stilistiche e registiche messe in campo da Mike Cahill.
Mi sono sforzato veramente d’entrare in empatia con i personaggi interpretati dalla volenterosa coppia formata Owen Wilson e Salma Hayek, ma il risultato è stato un gran mal di testa.
Che cosa è dunque “Bliss”? Come definirlo e soprattutto in quale genere cinematografico inserirlo?
Sono desolato, caro lettore, non sono in grado di risponderti .
“Bliss” è un “guazzabuglio” creativo che anziché incuriosire il pubblico lo irrita.
La vita di Greg è implosa impietosamente. In poco tempo ha dovuto subire un doloroso divorzio, un brusco licenziamento.
La reazione di Greg è una fuga da tutto e tutti. L’uomo si perde nella “selva oscura” dei suoi pensieri e delusioni rischiando di perdere anche la figlia, l’unico legame affettivo rimastogli.
Alcuni critici l’hanno definito come un mal riuscito tentativo del regista di proporre la proprio versione della saga di “Matrix”.
Magari fosse stato. .almeno alla lontana.
“Bliss” si muove su un arzigogolato schema narrativo in cui in alternano e mescolano passaggi drammatici ad altri vagamente romance ad altri ancora esistenziali impedendo così un visione agevole al pubblico.
Owen Wilson appare un “pesce fuor d’acqua”, frastornato, artisticamente in balia di un personaggio privo di ogni riferimento e logica nella sceneggiatura.
Salma Hayek riesce comunque ad essere quanto meno credibile nel ruolo dell’enigmatica quanto bizzarra Isabel grazie alla sua bellezza, fisicità , carisma.
Parafrasando la famosa frase detta da Forrest Gump , “Bliss” “.. è come una scatola di cioccolatini…non sai mai quello che ti capita!”, ma una volta aperta e provata vorresti riportarla in negozio.

48) La Sentinella

Il biglietto d’acquistare per “La Sentinella” è : Neanche regalato

“La Sentinella” è un film del 2021 diretto da Julien Leclercq ,scritto da Matthieu Serveau e Julien Leclercq, con : Olga Kurylenko, Marilyn Lima, Michel Nabokoff, Martin Swabey, Carole Weyers.

Sinossi:
La bella e coraggiosa Klara, soldatessa e interprete dell’esercito francese, ha fatto ritorno a casa in Francia dopo aver sperimentato sulla propria pelle gli orrori della guerra in Siria.
Traumatizzata nello spirito, la ragazza è alle prese con lo stress post traumatico e assume di nascosto ansiolitici per calmare i propri nervi. Una sera, dopo essersi recata in discoteca insieme alla sorella Tania, la vede andare via insieme a un giovane russo e il giorno dopo scopre che questa è stata vittima di violenza e si trova in ospedale in coma.
Il presunto aggressore sarebbe il giovane Yvan Kadniko, figlio di un importante uomo d’affari, Klara decide così di sfruttare le proprie abilità e avvantaggiarsi del suo status – è ancora membro di pattuglia delle forze armate per i controlli locali – per scoprire sempre più informazioni a riguardo. Quando comprende che il colpevole la farà probabilmente franca, progetta la sua personalissima vendetta, rischiando però di compromettere la sua carriera sotto le armi e le stesse vite dei propri cari.
Recensione:
“Non c’è due senza il tre” recita un vecchio proverbio.
Avremmo sinceramente fatto a meno d’applicarlo anche in campo cinematografico dovendo prendere atto come anche la bella e statuaria attrice ucraina Olga Kurylenko sia sta colpita dalla “crisi artistica” di mezz’età come è accaduto alle sue colleghe Charlize Theron e Jessica Chastain.
E’ il terzo film che vediamo nel giro di pochi anni in cui un’attrice quarentenne dalla bellezza acclamata e fascino da vendere ha sentito l’urgenza d’indossare i panni di un sicario, di un soldato speciale, di spia per esorcizzare la “presunta” vecchiaia dimostrando di stupire anche sul piano atletico.
“La sentinella” di Julien Leclercq delude sul piano narrativo, annaspa in quello strutturale e stilistico e eccede in chiave attoriale.
“La sentinella” è una figura militare voluta dal governo francese nel 2015 come argine difensivo all’avanzata terroristica sul suolo francese e non.
Olga Kurylenko che potrebbe anche essere credibile come soldatessa d’elite per le innate qualità e doti fisiche , appare fin dalla prima scena come “un pesce fuor d’acqua” in una cornice narrativa lontana dai suoi abituali standard recitativi.
“La sentinella” mescola nella sceneggiatura malamente due delicate e complesse tematiche: lo stressa post traumatico ed il desiderio di giustizia contro un atto di femminicidio.
Un miscuglio narrativo, emozionale, stilistico non sorretto da una regia ispirata consapevole vanificando la buona volontà della Kurylenko di buttarsi anima e corpo in un progetto forzato e caotico.
“La sentinella” se volessimo inserirlo in un contesto cinematografico con una certa difficoltà potremmo immaginarlo a metà strada tra le due celebri saghe di “Taken” e “Rambo” con protagonisti rispettivamente Liam Neeson e Sylvester Stallone.
Si è parlato, invocato giustamente d’affidare ruoli tosti e non banali alle attrici, ma francamente non può essere questa la strada creativa e produttiva.
Il rischio di sfociare in disarmanti caricature è più che concreto, rendendo così nulla l’intento cinematografico, sulla carta, rivoluzionario.
“La Sentinella” è un insieme di clichè, luoghi comuni e banalizzazione di scrittura da costringere alla resa anche la più irriducibile delle femministe.
“La Sentinella” pur avendo una durata di soli 87 minuti appare lungo, noioso e lento nello sviluppo quanto “telefonato” in ogni colpo di scena.
Dispiace per la bella Olga Kurylenko, ma di questo pellicola avremmo fatto volentieri a meno.
Piuttosto è opportuno fare “sentinella” sui futuri errori, per evitare che il proverbio potenziale diventi esponenziale.